SOCIETÀ

Polonia: il fronte dei diritti e la “guerra” con Bruxelles

L’aggressione russa in Ucraina ha prodotto un uragano geopolitico mondiale. Le maggiori ripercussioni si stanno verificando in Europa, dove si sono già visti effetti di portata storica come le richieste di adesione all’Alleanza atlantica da parte di Svezia e Finlandia, Paesi tradizionalmente neutrali. Ci si aspetta inoltre altre conseguenze nei rapporti interni all’Unione, primo tra tutti quello tra Varsavia e Bruxelles, notoriamente conflittuale. Quali carte giocherà la Polonia nel nuovo, drammatico, scenario che più di chiunque altro in Europa la vede geograficamente e storicamente coinvolta nel conflitto? E soprattutto, come influirà l’emergenza legata alla guerra sulle politiche conservatrici e in alcuni casi antiliberali della Polonia sui temi etici e sui diritti?

La strada verso una timida apertura nei confronti di Bruxelles è stata spianata dal timore talvolta latente, talvolta esplicitato, di un’invasione russa. In primis, il governo polacco ha avviato trattative sui due contenziosi per i quali era stato sanzionato dalla corte di giustizia UE: uno relativo allo stato di diritto, l’altro all’uso delle centrali di carbone a Turow in violazione degli standard comunitari ambientali. Più sorprendente è stata la disponibilità all’accoglienza senza precedenti dei profughi ucraini. Il susseguirsi di queste iniziative sembra suggerire un nuovo corso per il partito al governo, il PiS (Prawo i Sprawiedliwość, “legge e giustizia”). Sotto la guida di Mateusz Morawiecki, il partito ultraconservatore si sta allontanando dalle posizioni anti-migratorie del gruppo Visegrad, era alle quali in passato allineato. Se la percezione della minaccia russa è più pericolosa del temuto “imperialismo” di Bruxelles, significa forse che la Polonia di domani è destinata ad affermarsi come membro a pieno titolo nella comunità delle democrazie europee?

Bart Staszewski, regista e attivista per i diritti LGBTQ+, afferma che “siamo più forti e visibili che mai, intendo noi del movimento LGBTQ+, nonostante le intimidazioni, le minacce e i processi aperti contro di noi”. Eppure Katarzyna Gęsiak, direttrice del Center for Medical Law and Bioethics dell’Istituto di cultura legale Ordo Iuris, sostiene che “molti politici che si identificano con i partiti di destra sono favorevoli ad accettare le unioni civili tra persone dello stesso sesso, ma sono fortemente contrari all’aborto, a ciò che anzi preferiamo chiamare l’uccisione del bambino nella fase prenatale”.

Con l’obiettivo di offrire una formazione giuridica su libertà religiosa, diritti civili e famiglia, Ordo Iuris è stata in prima linea nelle azioni di advocacy a favore dell’abolizione del diritto all’aborto per ragioni eugenetiche. L’organizzazione, braccio destro del PiS, può annoverare tra i suoi successi l’aver contribuito ad applicare la legislazione più restrittiva d’Europa in materia di interruzione volontaria della gravidanza. Allo stato attuale, “le uniche circostanze in cui l’aborto è consentito, cioè non è illegale, sono la minaccia alla vita della madre e la gravidanza provocata da uno stupro” dice Katarzyna Gęsiak. Quest’ultimo caso, spiega, richiede l’accertamento del fatto mediante un’indagine in cui il procuratore deve essere affiancato da un’equipe medica. “Le profughe ucraine devono essere consapevoli delle circostanze previste dalla legge polacca. In particolare, la possibilità di ricorrere all’aborto in caso di stupro di guerra deve essere confermata da un procuratore, proprio per evitare che la semplice dichiarazione di una donna si traduca in una forma di aborto senza limiti per tutte le altre. Conosco l’accusa che ci viene fatta, che le donne ucraine faticano a soddisfare i requisiti per accedere all’aborto in Polonia, ma d’altro canto non possiamo applicare una legge speciale per le donne rifugiate, perché dal nostro punto di vista la loro vita non è in pericolo…”.

Diverso è stato il cambio di passo relativo alle politiche migratorie polacche: “Quando è iniziata la crisi nel confine bielorusso – spiega il regista e attivista Bart Staszewski – il governo si è dimostrato chiuso nei confronti dei rifugiati afghani, siriani ed iracheni, per ragioni culturali e per la convinzione che la situazione fosse manipolata da bielorussi e russi”. “L’attacco all’Ucraina – continua Staszewski – ha reso visibile il sentimento antirusso che il partito al governo non ha mai celato, neppure quando era all’opposizione. L’idea della Russia come grande nemico polacco si tramanda dalla generazione dei nostri nonni. Ora, quando vediamo le città ucraine distrutte, siamo in grado di intrecciare la loro memoria con la nostra”. Staszewski è convinto, come molti in Polonia e non solo, che dietro alla benevolenza del governo verso i migranti si celi il tentativo di strumentalizzarli per sbloccare i fondi europei congelati per le controversie pregresse con Bruxelles. Una dinamica che emerge chiaramente dall’assenza di un approccio di lungo periodo sulla questione migratoria. Difficile immaginare che il nazionalismo e la xenofobia che hanno contribuito al successo elettorale del PiS nel 2015 siano svaniti nel nulla.

La guerra ha fatto scivolare via l’irritazione per la politica interna della Polonia, trasformandola da Paese periferico e problematico a ponte strategico tra Ucraina ed Europa, aperto all’accoglienza dei profughi ucraini

“La retorica anti LGBT invece è più recente – continua il giovane attivista –, ma senza dubbio siamo noi i nuovi nemici del governo. Tuttavia, il numero dei partecipanti alle parate del Pride è il più alto di sempre. Forse c’è una visione romantica per la quale il popolo polacco deve sempre combattere per qualcosa o contro qualcuno. Se contro i russi e i tedeschi eravamo divisi, ora la solidarietà al movimento arriva da più fronti, dalle nuove generazioni al movimento Fridays For Future”.

Sembra infatti che proprio il PiS al governo abbia generato un effetto shock nella società, aumentando la consapevolezza politica. Se da un lato la retorica contro le libertà individuali si è risvegliata e risuona dai pulpiti delle chiese, dall’altro la resistenza attiva da parte della popolazione, scesa in strada per manifestare per l’aborto e per i diritti LGBTQ+, è stata molto vivace.

Nell’agosto del 2019 Marek Jędraszewski, arcivescovo di Cracovia, parla pubblicamente di “piaga arcobaleno”, in quanto presunta minaccia ai valori e alla solidità familiare della nazione. Nel corso dello stesso anno quasi cento regioni, città e comuni a guida del PiS cominciano a dichiararsi “LGBT free zone”, zone libere dall’ideologia LGBT. Bart, originario di Lublino, una delle prime regioni a dichiararsi LGBT free zone, spiega che queste dichiarazioni hanno una funzione di deterrenza: non c’è alcun bisogno di collocare dei check-point per scoraggiare l’accesso agli spazi pubblici. È un meccanismo più subdolo: “I politici locali del PiS affermano chiaramente che la comunità LGBTQ+ non è accolta e che qualsiasi azione, dall’utilizzo di borse color arcobaleno al tenersi la mano in pubblico, avrà delle conseguenze. Per questo gli insegnanti e le organizzazioni non osano nemmeno organizzare workshop e attività legate ai diritti della comunità LGBTQ+. Molti se ne vanno dalla Polonia solo per vivere serenamente”.

In risposta alle misure discriminatorie delle municipalità polacche, la Commissione europea ha annuncia un’azione legale. La minaccia di congelare i fondi europei, di cui la Polonia è primo Paese beneficiario, spinge Cracovia, Rzeszow e Lublino a cancellare simultaneamente le loro precedenti dichiarazioni. È il settembre del 2021. Questa minaccia però non porta il risultato sperato: “I giornali non hanno dato abbastanza copertura perché la questione principale era la procedura d’infrazione per non aver rispettato lo Stato di diritto”, spiega Bart. Di maggiore impatto è stato il ritiro del Norwegian Fund, dopo che la clausola di condizionalità del prestito relativa al rispetto dei diritti umani era venuta meno. “Tutti usavano quel fondo. Le municipalità erano molto preoccupate di perderlo o di esserne escluse per sempre. Alcuni politici hanno avuto paura e hanno cominciato a ritrattare le loro dichiarazioni sulla base di falsi pretesti. Dicevano di essere stati mal interpretati, di non essere contro le persone ma contro l’ideologia. Molte zone hanno smesso di dichiararsi libere dall’ideologia LGBT, ora ne rimangono circa dieci. Si tratta di piccoli comuni in cui PiS è molto forte e non si è mai ricorsi né ai fondi europei né al fondo norvegese”, racconta Bart Staszewski.

Sul fronte dei diritti riproduttivi Katarzyna Gęsiak, dirigente all’Istituto di cultura legale Ordo Iuris, spera che la Polonia non ceda alle numerose richieste europee di applicare una legislazione che dia accesso ad un aborto sicuro e legale. Spiega infatti che la protezione della vita umana è regolamentata non solo dalla costituzione ma anche dai trattati internazionali come il Patto sui Diritti Civili e Politici e la Dichiarazione internazionale sui Diritti del Fanciullo: “Gli atti dell’Unione Europea devono essere conformi alla nostra Costituzione. Non dimentichiamoci che Unione Europea significa integrazione economica: per ciò che riguarda l’etica e la morale facciamo affidamento alla Costituzione. Per me la legge è legge, non possiamo cambiarla solo perché la società è cambiata”.

La guerra ha fatto scivolare via l’irritazione per la politica interna della Polonia, trasformandola da Paese periferico e problematico a ponte strategico tra Ucraina ed Europa, aperto all’accoglienza dei profughi ucraini. Se da un lato tutto questo sembra aver addolcito Bruxelles, dall’altro è chiaro che tanto l’aborto quanto i diritti della comunità LGBTQ+ rimangono questioni irrisolte e destinate a rendere sempre più esplicita la spaccatura interna della società polacca. Le parole di Bart Staszewski rendono evidenti le spinte interne al cambiamento: “Le nuove generazioni sono cresciute guardando Netflix e su di loro non attacca la retorica anti-LGBT portata avanti dai politici di destra, dagli arcivescovi e da organizzazioni come Ordo Iuris. Ora più che mai sento che il raggiungimento dei diritti sta per arrivare, e questo mi rende veramente ottimista”. Presto la Polonia giungerà al bivio, l’anno prossimo ci saranno le elezioni e difficilmente aborto e diritti LGBTQ+ saranno esclusi dall’agenda politica. È solo una questione di tempo.

Il Bo Live ospita una serie di articoli scritti dai partecipanti al laboratorio di giornalismo sulla crisi ucraina, organizzato da Elena Calandri nell’ambito del corso di laurea magistrale in Relazioni internazionali e diplomazia (Dipartimento di Scienze politiche, giuridiche e studi internazionali) sotto la supervisione di Marzio G. Mian.

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