SOCIETÀ

La povertà educativa, un problema a due dimensioni

Di recente un report di Openpolis, in collaborazione con la fondazione Con i bambini, ha analizzato la situazione della povertà educativa in Lombardia e noi lo abbiamo commentato su IlBoLive. Gli autori del report hanno spiegato come sia importante avere un approccio locale nell'analisi di questo fenomeno, e non dobbiamo dimenticare che quella della povertà educativa è una piaga che caratterizza varie zone dell'Italia, anche le più insospettabili. Il report ha senza dubbio il pregio di aver rilevato come, anche all'interno di una sola regione, e addirittura di una sola città, le disparità siano ingenti, soprattutto per quanto riguarda l'informatizzazione delle strutture.

Per inquadrare meglio il problema e individuare possibili soluzioni, abbiamo sentito la sociologa Chiara Saraceno, honorary fellow presso il Collegio Carlo Alberto di Torino e co-coordinatrice dell'Alleanza per l'infanzia, che di recente ha pubblicato per Policy Press il libro Poverty in Italy (con D. Benassi e E. Morlicchio).

Servizio di Anna Cortelazzo e montaggio di Elisa Speronello

La povertà educativa è un problema a due dimensioni: da una parte abbiamo la disponibilità (o meno) di risorse educative, mentre dall'altra ci sono le conseguenze della scarsità di queste risorse. Si parla quindi della disponibilità e della qualità delle strutture scolastiche e di tutto ciò che ruota intorno a esse (mezzi pubblici per raggiungere le scuole, presenza o meno di computer e di connessioni veloci, di laboratori, palestre,  mense e via dicendo) per quanto riguarda le risorse, mentre relativamente alla misurazione degli esiti della povertà educativa si fa riferimento a indicatori legati allo sviluppo cognitivo.

A cosa è dovuto il problema? Come in tutte le questioni multilivello, non esiste una risposta univoca. C'è sicuramente un rapporto con la povertà economica e con il curriculum scolastico dei genitori, anche se naturalmente ci sono eccezioni, con genitori poco titolati che sono stati ugualmente in grado di fornire ai figli il background più fertile possibile per introdurli all'istruzione e anche ragazzi poco stimolati in famiglia che nella scuola hanno ugualmente trovato la loro dimensione.
"L'Italia - spiega Saraceno - è uno dei paesi in cui è maggiore il divario tra bambini e ragazzi che vivono in condizioni disagiate e gli altri ragazzi più fortunati, e questo significa che la nostra società, a partire dalla scuola, è meno capace di compensare i divari che derivano dall'origine sociale rispetto a quanto succede in altri paesi".

Le ultime prove INVALSI hanno dimostrato come l'approccio locale di Openpolice sia particolarmente azzeccato: il livello di povertà culturale non si limita alle differenze tra Nord e Centro-Sud che già tutti conosciamo, ma cambia di molto non solo all'interno di una stessa regione, ma addirittura di uno stesso comune (è per esempio il caso di Milano, come ha rilevato lo studio citato).
Vale la pena ricordare che i dati di Openpolis sono stati raccolti prima della pandemia: ora il problema della carenza di tecnologia, a scuola ma soprattutto a casa, ha assunto un ruolo preponderante, perché con la chiusura, totale o parziale, delle scuole la didattica a distanza fruita tramite i dispositivi elettronici è l'unico modo che hanno i ragazzi per fruire dell'istruzione ufficiale. In questo senso la didattica a distanza è sia un'occasione per ampliare l'offerta educativa sia un'eccessiva semplificazione dell'intero processo educativo. "Non si può pensare che tutta la didattica possa avvenire a distanza -dichiara Saraceno - perché l'apprendimento e la formazione ha molto a che fare con le relazioni, sia con gli insegnanti sia con gli altri studenti. Se ben utilizzata, però, la didattica a distanza è anche un'occasione per educare all'uso degli strumenti digitali, anche perché le potenzialità sono enormi: fino a ora c'è stata poca lungimiranza per capire che era una via da perseguire e che il mezzo digitale andava considerato come parte integrante, anche se non esclusiva, dei processi educativi. Adesso l'uso del digitale non dovrebbe rimanere circoscritto a questa emergenza, ma richiede una riflessione che coinvolga l'intero modo di fare didattica".

Alla base di tutto, c'è sempre lo stesso atavico problema: la mancanza di investimenti in cultura e ricerca, che su IlBolive abbiamo già rilevato molte volte. Se la politica non arriva a capire che questo è un settore chiave per la crescita del nostro paese, il fenomeno della povertà educativa sarà destinato a peggiorare di pari passo con la crisi economica: non ci resta che sperare che il Governo prenda sul serio indicazioni e richieste degli addetti ai lavori.

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