In queste settimane si discute di grandi investimenti: è un grande momento della politica, quando la nostra classe dirigente può fare la differenza. Certo, ci sono due aspetti non marginali: tenere d’occhio il debito pubblico e usare il denaro a disposizione per uscire nel miglior modo possibile dalla crisi economica e sociale dettata dal coronavirus.
In questa situazione si stanno moltiplicando gli appelli – a cui mi associo – affinché una percentuale di queste risorse venga dedicata alla ricerca scientifica, alla conoscenza. Pietro Greco pochi giorni fa citava un appello proposto da Ugo Amaldi: vi invito a leggerlo e a diffonderlo. Ci sono proposte concrete: raddoppiare gli investimenti pubblici italiani in ricerca e sviluppo, dandosi un piano preciso per l’uso di questi investimenti, suddiviso in più anni. Amaldi parla di un “ritorno assicurato”: se si investono risorse in questo modo, ho un ritorno pari a tre volte tanto. In questo scenario, aumentare ancora di più la percentuale dedicata alla ricerca di base, quella fondamentale e che genera conoscenza. Come ultimo punto infine c’è la necessità di eliminare i colli di bottiglia post-laurea per aumentare l’accesso al mondo della ricerca con maggiori borse di studio.
Al momento dalla politica non vediamo risposte. È come se i politici balbettassero. Non va bene: in questi mesi si parla tanto di ricerca a causa del coronavirus. Ma non è pensabile appellarsi ad essa solo quando ci è utile, non va bene: non è possibile interessarsi della ricerca scientifica solo quando è necessaria. Si deve finanziare a prescindere. Se perderemo anche questo treno ci sarà, da parte della politica, non ci sarà solo una responsabilità storica, ma anche morale ed etica nei confronti del futuro rubato a migliaia di ricercatrici e ricercatori italiani.