SOCIETÀ

I pregiudizi di genere invecchiano bene, purtroppo

Non in tutti i luoghi del mondo i pregiudizi di genere sono radicati allo stesso modo. Una visione più o meno patriarcale della società ha radici antiche, in alcuni casi persino secolari, che affondano nella storia, nella cultura e nelle tradizioni popolari. Secondo uno studio condotto dai ricercatori Taylor J. Damann e Jeremy Siow, coordinati dalla professoressa Margit Tavit del Dipartimento di scienze politiche della Washington University in St. Louis, le aree europee in cui nel Medioevo erano particolarmente diffusi i pregiudizi di genere sono ancora oggi quelle in cui le credenze sessiste sono maggiormente radicate. Al contrario, le zone in cui storicamente era diffusa una mentalità meno maschilista sono le stesse in cui oggi vige una cultura più egualitaria.

I pregiudizi di genere sono quelle convinzioni più o meno radicate nell’immaginario comune che riguardano, ad esempio, l’esistenza di una “naturale” divisione dei ruoli in base al genere e che prevedono, cioè, modi differenti di costruire la propria identità, carriera o posto nel mondo per gli uomini e le donne. Una mentalità sessista incoraggia inoltre la diffusione di un sistema di valori patriarcale che avvantaggia gli uomini rispetto alle donne nella vita sia pubblica che privata. I pregiudizi di genere influenzano le opinioni e le credenze personali dei membri della società e si ripercuotono anche sul piano politico e legislativo. Di conseguenza, a seconda di quanto sia radicata un’ideologia sessista in una determinata società, diversa sarà la tendenza dei suoi membri a perpetuare o impedire discriminazioni di genere e, in generale, a promuovare la diffusione di una cultura maschilista.


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Le radici storiche delle moderne ideologie di genere sono oggetto di indagine nei recenti studi di antropologia culturale, sociologia e scienze politiche. Questo filone di ricerca si basa sulla consapevolezza che i valori morali, le opinioni politiche e, in generale, le credenze sul mondo vengono facilmente trasmessi da una generazione all’altra attraverso l’educazione impartita dai genitori ai figli e l’imitazione dei comportamenti e degli atteggiamenti degli adulti da parte dei bambini. Anche i pregiudizi di genere sono soggetti a questo meccanismo di trasmissione intergenerazionale e possono essere quindi tramandati da una generazione all’altra costantemente nel tempo.

Studi precedenti avevano già indagato i meccanismi di trasmissione intergenerazionale del pregiudizio di genere, riuscendo però a ricostruire il processo in questione per due o tre generazioni di fila al massimo. Lo scopo di Damann, Siow e Tavit era invece quello di scoprire la persistenza del pregiudizio di genere in un arco di tempo molto più ampio e capire, in altre parole, quanto le convinzioni sessiste fossero in grado di sopravvivere al passare dei secoli. Per questo motivo, i tre studiosi hanno deciso di approfondire la questione basandosi su dati bioarcheologici tratti dall’analisi di antichissimi denti umani. Per quanto la cosa possa sorprendere, l’analisi dello smalto dentale può dirci molto più di quanto pensiamo sulle popolazioni del passato: le condizioni dei denti, infatti, sono indicative dello stato di salute complessivo di un individuo antico e, riflettono, di conseguenza, le sue abitudini alimentari e il livello di stress fisico a cui era sottoposto quotidianamente. Per valutare la salute dentale si osserva, in particolare, la presenza (o l’assenza) di ipoplasie lineari; si tratta di lesioni permanenti dello smalto causate da traumi, malnutrizione prolungata o malattie. Alcuni studi hanno già dimostrato che l’analisi delle ipoplasie dentali possa fornire una misura storica del pregiudizio di genere. Quando si osserva una quantità significativamente maggiore di ipoplasie nello smalto dentale nei resti scheletrici delle donne, è sensato ritenere che queste ultime non godessero delle stesse opportunità rispetto agli uomini per quanto riguarda l’assistenza sanitaria e l’accesso a un’adeguata alimentazione.

Gli autori dello studio hanno considerato i dati tratti dall’analisi di circa 10.000 singoli denti provenienti da 139 siti archeologici di epoca medievale sparsi in tutta Europa (quasi tutti i siti archeologici considerati erano antecedenti alla peste nera che flagellò le popolazioni europee dal 1347 al 1351). Gli autori hanno poi confrontato questa mappatura medievale dei pregiudizi di genere con quella attuale. Hanno controllato, in altre parole, quanto siano diffusi e radicati i pregiudizi di genere oggi (analizzando i risultati di alcuni sondaggi condotti tra il 2008 e il 2017) nelle comunità contemporanee che abitano alle stesse coordinate geografiche dei siti archeologici considerati.

Come anticipato, il lavoro di Damann, Siow e Tavit dimostra che l’indagine del pregiudizio di genere medievale in una determinata area europea sia utile a prevedere l’odierno livello di sessismo e maschilismo in quello stesso luogo. Il confronto tra i dati antichi e moderni ha infatti evidenziato che le aree del continente in cui circa un millennio fa le donne erano maggiormente svantaggiate rispetto agli uomini sono le stesse in cui oggi si verifica un maggior numero di discriminazioni di genere in diversi ambiti: da quello economico, a quello religioso a quello istituzionale. Al contrario, nei luoghi in cui storicamente non si sono verificate disuguaglianze di genere, oggi sono quelli in cui è diffusa un’ideologia più egualitaria.

Gli autori hanno constatato, ad esempio, che in un sito archeologico della regione di Dobrugia (Romania) risalente al 550 d.C., ben il 58% degli scheletri femminili riportava gravi danni ai denti, contro il 25% degli scheletri maschili. Stando ai risultati dei sondaggi contemporanei, ancora oggi è largamente diffusa in quest’area una mentalità sessista. Al contrario, nella comunità rurale di Plinkaigalis (Lituania occidentale), anch’essa databile intorno al 550 d.C., le prove bioarcheologiche (il 56% degli scheletri maschili e il 46% di quelli femminili presentano ipoplasie dello smalto) e le testimonianze storiche dimostrano la persistenza nel tempo di norme sociali più egualitarie. Qui sorge oggi un piccolo villaggio chiamato Dainiai, dove le donne sono quasi proporzionalmente rappresentate nella politica locale e, in generale, i residenti riferiscono opinioni più egualitarie rispetto ai diritti e ai ruoli sociali di uomini e donne.

Lo studio conferma quindi che il meccanismo di trasmissione intergenerazionale dei valori possa continuare per secoli; a patto, però, che non avvenga un brusco rimpiazzamento di popolazione su larga scala – dovuto, ad esempio, a una guerra, un’invasione o una pandemia – che causa una sostituzione di popoli (e quindi di culture) in un certo luogo in uno stretto arco di tempo. Infatti, la continuità di valori appena descritta non è stata riscontrata in aree che hanno subito ricambi demografici improvvisi. Questo è avvenuto, ad esempio, in seguito alla peste bubbonica del XIV secolo in molte parti d’Europa. In questi casi si è verificata quella che gli autori definiscono un’interruzione della trasmissione dei valori che ha generalmente smorzato la persistenza del pregiudizio di genere.

Vale la pena osservare che la scelta di limitare l’indagine al territorio europeo ha pregi e difetti. Il nostro continente offre infatti un panorama piuttosto variegato di popoli, condizioni ambientali, religiose e istituzionali differenti in un arco di tempo e uno spazio relativamente ristretto; è inoltre disponibile una buona quantità di dati storici e contemporanei relativi alle ideologie di genere. D’altro canto, le differenze di mentalità tra le diverse aree europee sono minime se paragonate a quelle osservabili a livello globale. Consci di questo limite, gli autori si auspicano che il loro lavoro sia di ispirazione per studi futuri incentrati su altre zone del mondo.

Lo studio di Damann, Siow e Tavit è comunque degno di nota; innanzitutto, perché dimostra l’utilità dei dati tratti dall’archeologia per la ricerca sull’uguaglianza di genere contemporanea. In secondo luogo, lascia comprendere con quanta ostinazione il pregiudizio di genere sia in grado di sopravvivere in una società nonostante il passare dei secoli e il mutamento degli scenari politici e dei paradigmi scientifici. Se consideriamo che gli scheletri da cui sono stati tratti i denti analizzati avevano un’età media di 1000 anni e appartenevano quindi a persone vissute tra il 500 e il 1500 d.C., c’è da domandarsi come sia possibile che ancora oggi sopravvivano pregiudizi di genere così antichi, nonostante gli enormi cambiamenti politici, sociali e tecnologici avvenuti in Europa nell’ultimo millennio. È sorprendente scoprire quanto a lungo riesca a sopravvivere una cultura sessista e quanto fragili, invece, appaiano diritti così faticosamente guadagnati attraverso decenni di battaglie femministe in molti paesi europei.

Per questi motivi, le conclusioni tratte da Damann, Siow e Tavit sono potenzialmente utili a una migliore comprensione della direzione che dovrebbero assumere gli sforzi mirati al raggiungimento di una cultura basata sull’uguaglianza di genere che possa tramandarsi con altrettanto successo con il passare del tempo, una generazione alla volta.

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