SCIENZA E RICERCA

Premio Galileo. “La natura geniale” di Barbara Mazzolai tra i cinque finalisti

Quando, poco più di una decina di anni fa, esponeva le sue idee alla comunità scientifica, veniva accolta in modo molto tiepido. Parlava di robot ispirati alle caratteristiche delle piante, ma il nuovo modello biologico era percepito come inusuale e inadatto. Perché le piante? Si obiettava per lo più. Oggi Barbara Mazzolai, Associate Director per la Robotica dell’Istituto Italiano di Tecnologia, racconta il percorso che l’ha portata a costruire il primo robot che cresce e cambia la propria morfologia, come la radice di una pianta, ne La natura geniale. Come e perché perché le piante cambieranno e (salveranno) il pianeta (Longanesi 2019), volume selezionato tra i cinque finalisti della XV edizione del Premio letterario Galileo per la divulgazione scientifica. 

Il modello pianta - spiega Mazzolai a Il Bo Live - viene spesso considerato come un essere statico, che non interagisce con il mondo circostante, non comunica, e soprattutto non si muove, ma in realtà non è così. Tutte queste caratteristiche sono fondamentali nel mondo della robotica e quindi non si vedeva nella pianta una possibile soluzione”. Inizialmente, dunque, non si capiva come si potesse implementare un modello biologico di questo tipo in un robot che fosse in grado di muoversi e percepire l’ambiente con un certo grado di intelligenza. “In realtà invece le piante si muovono, tra l'altro lo fanno per tutta la vita, spesso attraverso una crescita che avviene in maniera indeterminata. Dunque, associano il movimento alla crescita, e in questo modo percepiscono l'ambiente, specialmente a livello apicale delle loro strutture, interagiscono con il mondo circostante, comunicano con l'esterno, fra di loro ma anche con altri organismi: nel mondo della tecnologia, della robotica, noi stiamo imitando tutte queste caratteristiche. Oggi, effettivamente, c'è una  percezione diversa: si inizia a parlare di robot che crescono, è nata una vera e propria area della robotica, soprattutto la robotica bioispirata, la robotica soft, che prende a modello prevalentemente le piante, perché riescono meglio ad associare il movimento alla crescita. Qualcosa sta cambiando, anche nel mondo della robotica, c'è un'altra percezione del mondo vegetale”.  

Intervista completa a Barbara Mazzolai, Associate Director per la Robotica di IIT. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Barbara Paknazar

Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, nel volume l’autrice sottolinea che osservare la natura per fare innovazione è una pratica scientifica ancestrale. “Chi si occupa di robotica bioispirata - racconta durante l’intervista - in realtà non ha inventato nulla, dato che il metodo risale al passato. Leonardo da Vinci è uno dei padri, forse il padre della biomimetica, e ha sempre guardato la natura con un occhio diverso. Dobbiamo riprendere questi insegnamenti e carpirne i segreti, perché non si tratta soltanto di un’imitazione, ma del tentativo di implementare i principi alla base di determinati funzionamenti. Anche in passato l'uomo ha sempre guardato la natura per trovare risposte complesse. Nella robotica bioispirata di fatto facciamo questo: guardiamo al mondo della natura, degli essere viventi, non solo alle piante ovviamente, anzi tipicamente al mondo animale, per imitarne determinate funzionalità, e realizzare poi delle macchine che siano in grado di lavorare in ambienti mutevoli, su quegli ambienti dove poi si trovano a operare anche gli esseri viventi”. 

Prima di soffermarsi nello specifico sui sistemi artificiali ispirati al mondo vegetale, Mazzolai dedica alcuni capitoli iniziali del suo libro proprio ai robot ispirati al regno animale. Insetti, gechi, polpi, salamandre sono solo alcuni dei modelli che oggi vengono utilizzati. Racconta, tra gli altri, di i-Sprawl, una famiglia di robot scarafaggi, di SoFi (Soft Robotic Fish), il robot-pesce del Mit in grado di nuotare per monitorare e registrare la vita acquatica. Ancora, descrive Octopus, il primo “robot soffice” mai realizzato ispirato al polpo, o StickyBot, un robot-geco capace di scalare una vasta gamma di superfici (a novanta gradi) tra cui vetro, acrilico e granito fino a una velocità di 4 centimetri al secondo. Non manca nemmeno il riferimento ai robot umanoidi, come Atlas della Boston Dynamic o Wabian-2R sviluppato all’università di Waseda, a Tokyo. 

Il lettore viene accompagnato, in modo agile e vivace, nel mondo della robotica bioispirata e dei risultati ottenuti nel corso di decenni di studi scientifici, fino ad arrivare agli ambiti di ricerca più innovativi che prendono a modello il regno vegetale. Nel 2012 Barbara Mazzolai coordina il progetto europeo che ha dato vita al “plantoide”, su cui si sofferma ampiamente nel volume, il primo robot che cresce e cambia la propria morfologia, come la radice di una pianta. Ma come è nata l’idea? Chiediamo all’autrice.

 

“Da una domanda scientifica, ma anche dalla necessità di sviluppare dei robot autonomi per il monitoraggio ambientale, in particolare per il suolo. Provengo dal mondo della biofisica, oltre che da quello della biologia, mi sono sempre occupata in passato di impatto ambientale, quindi di inquinanti, e conducevo analisi con approcci più tradizionali. La robotica può rivoluzionare questo settore, insieme anche all'intelligenza artificiale, attraverso robot autonomi che fanno monitoraggio ambientale. Il suolo è uno degli ambienti più difficili da monitorare sulla Terra, perché è eterogeneo, mutevole, con alte pressioni. Le piante, con le loro radici, sono quelle che maggiormente si sono adattate a questo ambiente estremo: riescono a muoversi in maniera molto efficiente, perché possiedono una strategia di crescita alla punta della radice, aggiungendo cellule. In questo modo, riducono la pressione e gli attriti ed esplorano il mondo attraverso le capacità sensoriali che sono soprattutto nell’apice radicale. Sono, dunque, un modello perfetto. Da lì siamo partiti per implementare queste caratteristiche in un robot che cresce per aggiunta di materiale artificiale, anche in questo caso all'apice radicale: abbiamo tradotto il principio della crescita in un processo che si serve di una stampante 3D miniaturizzata, integrata nella punta del robot, che dunque crea il suo corpo mentre penetra nel suolo”. 

Un robot di questo tipo, approfondisce Mazzolai nel volume, potrebbe essere impiegato per penetrare detriti e macerie ed esplorare  in questo modo siti instabili, o essere utilizzato in agricoltura e per il monitoraggio dei suoli, alla ricerca di acqua, nutrienti o inquinanti. Nell’ambito delle attività spaziali, potrebbe essere usato per esaminare il suolo di pianeti diversi dalla Terra o per l’ancoraggio di altri sistemi. Ancora, in medicina una versione miniaturizzata del plantoide potrebbe funzionare come endoscopio flessibile, capace di muoversi all’interno del corpo senza creare danni ai tessuti. E non va dimenticato, infine, che il robot bioispirato è una “eccezionale piattaforma di studio”, un modo cioè per capire meglio il modello biologico dal quale si parte.  

Se questi sono i risultati raggiunti con caparbietà nel corso di questi anni, il gruppo di ricerca guarda ora a nuove possibilità. Oggi Barbara Mazzolai è a capo del progetto GrowBot per la creazione di robot in grado di arrampicarsi e adattarsi all’ambiente circostante, come fanno le piante. “La nuova sfida” viene definita nel volume. 

“Noi abbiamo proposto per la prima volta la crescita come nuova strategia di movimento in robotica: [con il progetto GrowBot] questo avviene nell’aria e non nel suolo, prendendo ispirazione dalle piante rampicanti che hanno delle strategie adattative diverse dalle altre piante. Solitamente una pianta rampicante non sviluppa un tronco molto robusto, oppure un apparato radicale come un albero ad esempio, ma utilizza la maggior parte dell'energia che ha a disposizione per crescere più velocemente rispetto alle altre piante verso la luce, in una vera e propria competizione. Quindi cresce e adatta il suo corpo all'ambiente circostante, si attacca, crea viticci, spine, sistemi adesivi: noi stiamo imitando tutte queste caratteristiche nel mondo dell'artificiale, per creare robot che si muovano in ambienti difficili, ad esempio tra le rovine, o comunque adattino il loro corpo mentre si spostano e servano per l'esplorazione”. Il fine dunque è principalmente il monitoraggio ambientale, ma questo tipo di robot può essere utilizzato anche nella ricerca di reperti archeologici, o per esplorare ambienti in cui normalmente i sistemi tradizionali non possono essere utilizzati. Mazzoldi sottolinea che le piante rampicanti stanno offrendo molte nuove possibilità: “Stiamo proponendo delle soluzioni anche comportamentali del robot basate proprio sulle strategie di ricerca della pianta rampicante, che non sono basate sulla visione: si tratta di strategie nuove della robotica, perché nuovo è il modello”. 

Nelle ultime pagine del volume, l’autrice propone una riflessione anche sulle responsabilità che si deve assumere chi lavora in questo settore, poiché serve prevedere le ricadute che un certo tipo di sistemi artificiali potrebbe avere sulla vita delle persone, oltre che sull’ambiente circostante. “Dobbiamo sempre considerare l'impatto della tecnologia che sviluppiamo. Queste tecnologie - soprattutto quelle ispirate al mondo della natura che saranno impiegate sempre di più per il monitoraggio ambientale, per un’agricoltura di precisione - dovranno ridurre il loro impatto sull'ambiente: dovremo sviluppare dei materiali che siano biodegradabili, delle forme energetiche che magari utilizzino proprio anche l'ambiente circostante. È anche in questa direzione che stiamo lavorando. È molto difficile, perché significa sviluppare materiali diversi, forme energetiche alternative. È un processo complesso, ma ritengo che chi fa tecnologia debba anche considerare questi aspetti, in direzione di un minore impatto ambientale, di una maggiore sostenibilità della tecnologia che si sviluppa. È un processo che richiede del tempo, ma assolutamente deve essere affrontato adesso per proporre delle soluzioni innovative realizzabili nei prossimi anni”.

 

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