Un Premio Nobel non basato su principi astratti, ma su fatti – emergenziali – concreti e sulle azioni che si possono (si devono) attuare per evitare che possano accadere nuovamente. È quello alla Pace, assegnato, a Oslo, a Denis Mukwege, il medico-ginecologo impegnato da anni a curare le donne vittime di violenza sessuale nella Repubblica democratica del Congo e a Nadia Murad, la yazida irachena, attivista per i diritti umani ed ex schiava sessuale dell’Isis. Il Norwegian Institute di Oslo ha assegnato il riconoscimento “per i loro sforzi per mettere fino all’uso della violenza sessuale come arma in guerre e in conflitti armati”.
Mukwege è soprannominato l’uomo che ripara le donne: dal 1998 a oggi ha curato oltre 40mila vittime di stupri in un Paese – il Congo – in cui la guerra è ufficialmente finita nel 2002, ma che ancora si trascina di fatto in un conflitto civile tra l’esercito regolare e gruppi armati che vogliono impossessarti delle ingenti risorse minerarie. Qui lo stupro è una strategia – come ha spiegato lo stesso Mukwege – “riti” perpetrati per distruggere il tessuto sociale nei villaggi e nelle comunità, per destabilizzare il sistema e terrorizzarlo. L’allora segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, non esitò a dichiarare un “genocidio sessuale” quanto accaduto in Congo.
Nadia Murad – 25enne irachena – venne resa schiava dell’Isis nel 2014, che uccise anche quasi tutta la sua famiglia. Fuggita, nel 2016 divenne ambasciatrice delle Nazioni Unite per la dignità dei sopravvissuti alla tratta degli esseri umani. Nell’annuncio della premiazione si legge: “È vittima di crimini di guerra. Ha rifiutato di accettare i codici sociali che impongono alle donne di rimanere in silenzio e a vergognarsi degli abusi a cui sono sottoposte. Ha mostrato un coraggio non comune nel raccontare le sue stesse sofferenze e nel parlare per conto di altre vittime”.
Un uomo e una donna assieme, uniti in un’unica missione: quella di contrastare la violenza contro il genere femminile.
“Si è voluto puntare l’attenzione sulla condizione della donna – spiega la professoressa Paola Degani del centro diritti umani dell’università di Padova – e sulla gravità delle situazioni che le donne vivono nella dimensione dei conflitti armati”. Non solo: “È importante aver sottolineato – continua Degani – che sia persone di sesso maschile e di sesso femminile possono lavorare in modo costruttivo per proteggere le donne dalla violenza. La protezione e la prevenzione della violenza passa attraverso una diversa consapevolezza degli uomini e delle donne”. Di conseguenza è necessario tener conto che quando si affrontano tematiche di questo tipo, sia in tempi di conflitto, sia in situazioni pacificate, non si può prescindere dalla necessità di coinvolgere sia gli uomini che le donne: “È interessante far notare come si sia voluto premiare una persona di genere maschile e femminile, entrambe coinvolte in una condizione di attiva operatività per la riabilitazione di persone che sono state vittime del crimine di stupro in una situazione di conflitto o di crisi umanitaria”.
Congo e Isis, come purtroppo altri luoghi della terra. Come è possibile intervenire a livello di prevenzione per evitare situazioni gravi come queste: “Sicuramente, nei casi di zone di guerra in cui intervengono forze pacificatrici a livello internazionale – prosegue Degani – è importante che il personale oltre a saper contrastare gli atti, sia addestrato anche a saper trattare le vittime delle violenze. Rimane evidente che lavorare sulla prevenzione implica un processo di rieducazione complessivo che non è automatico e che non è facile da tradurre in contesti in cui i rapporti economici e sociali sono fortemente definiti da una condizione di precarietà e vulnerabilità importante e da una netta divisione dei ruoli, anche nel contesto lavorativo”. E non è purtroppo un caso che proprie in queste situazioni si inseriscano violenze di questo tipo: “Lo stupro etnico – conclude Degani – in certi territori è una pratica di un’aggressività politica e fisica densa di significati simbolici che oltrepassano la portata del ricorso ad armi di tipo diverso”. C’è la capacità di incidere nella società ben oltre alla singola vittima colpita. Non a caso “si denuncia come il ricorso alla violenza sessuale come una condizione che non riguarda solo le donne, ma anche gli uomini”. Tanto che nel dibattito sulle risoluzioni affrontate nel Consiglio di sicurezza dell’Onu si è iniziato a mettere in luce nelle questioni che riguardano le questioni di genere quanto lo stupro e la violenza sessuale siano condotte che riguardano anche gli uomini: “Ci si è resi conto che l’offesa sessuale ha la capacità di avere un’incisività che va ben oltre la tipicità espressa da altre forme di offesa”.