Monte Fitz Roy, Patagonia meridionale al confine tra Argentina e Cile
Sarà per l’impatto visivo o per la vicinanza a una dimensione ritenuta divina, le montagne sono da sempre oggetto di curiosità e studi: quali forze agiscono nel mantenerle sollevate? Su quest’ultimo punto in special modo il dibattito è ancora aperto. Lo dimostra un recente studio del ricercatore tedesco Armin Dielforder e dei suoi collaboratori, pubblicato su Nature il mese scorso, che riapre la discussione su quali fenomeni e forze intervengono nel controllare l’altezza delle catene montuose. Ne abbiamo parlato con Valerio Olivetti, ricercatore del dipartimento di Geoscienze dell’università di Padova.
Prima di approfondire la questione, cerchiamo di chiarire le condizioni che portano alla formazione delle catene montuose. Stando alla teoria più accreditata, quella della tettonica a zolle, i rilievi sono il risultato di una serie di fenomeni geologici e geodinamici profondi: "Il pianeta Terra è fatto da placche che si muovono ed entrano in collisione l'una con l'altra, portando alla formazione di una catena montuosa" spiega Olivetti. Quando si verifica questo fenomeno si parla di subduzione ovvero "un processo che avviene nel momento in cui due placche si incontrano e una delle due, di solito la più pesante, scende al di sotto della placca più leggera che rimane in superficie. Questo produce una serie di stress e forze che contribuiscono al sollevamento della crosta terrestre".
Ora, lo studioso tedesco propone che le forze tettoniche abbiano un ruolo centrale nel controllare l'altezza dei rilievi. Per dimostrarlo, Dielforder ha selezionato come oggetto della ricerca esempi di catene montuose che si sviluppano in conseguenza della convergenza di continenti, in particolare Ande e Himalaya più altri rilievi situati a Sumatra e in Giappone. Si tratta di zone che, come sottolinea Olivetti "riguardano differenti condizioni climatiche e differenti contesti geodinamici e dalle quali è possibile ricavare una disponibilità sufficientemente ampia di dati geofisici profondi". A partire da questi dati e dalla misurazione dello stress esercitato sulla superficie di contatto dei due continenti che si scontrano "Dielforder calcola l'altezza teorica che tali montagne dovrebbero avere in tutti i casi presi in esame l'altezza teorica risulta uguale alla reale elevazione misurata, quindi questa è la prova che l'elevazione è dovuta esclusivamente alle forze tettoniche". In tal modo viene dunque dimostrato che esiste una forte correlazione tra l'altezza reale dei rilievi e lo stress della superficie di contrasto su cui le due placche esercitano la pressione. "L'aspetto interessante dello studio" conclude Olivetti "è la proposta che l'influsso climatico, attraverso le precipitazioni e i processi di superficie, sia meno importante nel controllare l'altezza delle montagne".
Per quanto già prima dello studio di Dielforder la tettonica era considerata un fenomeno importante nel mantenimento dell'elevazione montuosa, essa non assumeva il ruolo centrale e determinante che sembrerebbe rivelare la recente tesi. La scoperta non è scontata, dato che le precedenti teorie in merito hanno valorizzato maggiormente l'intervento di fenomeni di superficie - come erosione glaciale e fluviale - e il principio dell'isostasia. Infatti, secondo una tesi accreditata per spiegare il problema "una montagna che è in equilibrio isostatico, quando viene sottoposta a erosione tenderà a sollevarsi per riguadagnare il nuovo equilibrio: più si erode, più le rocce delle montagne si sollevano. Per essere precisi, i picchi si sollevano, mentre l'altezza media si abbassa leggermente". Tuttavia, negli ultimi anni questa teoria è stata messa in dubbio; infatti, si è notato che "molte catene montuose non sono in equilibrio isostatico, ovvero hanno un'altezza "anomala" rispetto a quella che dovrebbero avere in base allo spessore della crosta".
Con lo studio di Dielforder sembra, invece, che a determinare in modo significativo l'altezza delle montagne non siano né l'erosione né il principio isostatico, bensì un equilibrio di forze: quella della superficie di contrasto e quelle derivanti dal peso e dall'altezza delle montagne - almeno per quanto riguarda catene montuose sviluppatesi in conseguenza della convergenza di continenti. "Ci sono altri casi, più rari, - spiega ancora Olivetti - in cui catene montuose si formano in zone tettonicamente meno attive dove non c'è convergenza tra continenti, come in Antartide. In questi ultimi, i processi sono diversi e l'erosione, o la sua mancanza, hanno un ruolo importante".
Nonostante la ricerca prenda in considerazione un numero limitato di contesti e non possa essere applicata a ogni tipologia di catena montuosa, "sicuramente è uno stimolo per riprendere e riconsiderare in maniera critica molte delle idee che sono state sviluppate negli ultimi anni sulla relazione tra clima e formazione delle montagne e come le variazioni climatiche possano avere un'influenza, anche su scala globale, sulla variazione del rilievo".