CULTURA

I racconti delle piante, avventure botaniche tra le pagine

Formidabili avventure botaniche: potremmo tradurre così la sostanza de I racconti delle piante, libro del giornalista, scrittore ed esperto di botanica Fabio Marzano, che mantiene quello che promette nel sottotitolo e accompagna davvero lettrici e lettori in un viaggio curioso nel mondo vegetale italiano, raccontando storie di orti, giardini, parchi, boschi, foreste ed essere umani.

Quasi trecento pagine ben organizzate, a misura di esploratore: è un volume compatto, perfetto per essere sistemato nello zaino prima di partire, del resto a pubblicarlo è la casa editrice Edt, quella delle famose guide Lonely planet. Si può leggere in due modi: tutto d'un fiato, dalla prima all'ultima pagina, seguendo il metodo disciplinato del bravo lettore, oppure 'a salti', perché ogni storia è indipendente dalle altre, ha un inizio e una fine. 

Collezionisti maniacali, piantatori seriali, custodi della natura e studiosi appassionati: sono innumerevoli (eppure quasi sempre poco conosciute) le vicende di donne e uomini che nel tempo hanno indagato e difeso il mondo vegetale, dedicando alle piante ricerche, tempo e cure. Colpisce la scelta dell'autore di aprire la raccolta di avventure con un fallimento. Sì, perché vi sono molte piante esotiche che in Italia sono state coltivate con successo - pensiamo al pomodoro, originario dell'America latina, o al mandarino, giunto dall'Asia orientale - ma chi ha il coraggio di cominciare da un flop? Dunque, il primo racconto è dedicato al tè, per la cui coltivazione in Italia, a fine Ottocento, venne addirittura interpellato “Odoardo Beccari, l’Indiana Jones fiorentino i cui resoconti hanno ispirato i racconti di Emilio Salgari”. In tanti, nei secoli, ci hanno provato, prima di tutto in pianura padana. Ma la questione è assai complessa, le soluzioni non si sono mai trovate facilmente: le foglie della bevanda delle cinque, tanto amata dagli inglesi, si ricavano dalla Camellia sinensis, “una pianta no-global [che] si riproduce solo a casa sua - spiega Marzano -. Predilige ambienti ombreggiati e ventilati ma con accumuli di pioggia superiori ai mille millimetri all’anno. Una fisiologia da brivido che mette alla prova il più esperto dei pollici verdi con una combinazione di esigenze e bisogni difficili da conciliare alle nostre latitudini”.

Oggi solo il cosiddetto Tè del Lago Maggiore, nato da un esperimento del vivaista Paolo Zacchera che ha cercato in tutto il mondo esemplari resistenti alle rigide temperature invernali trovandoli infine in Turchia, offre qualche speranza per produzioni future, magari non abbandonanti ma sicuramente di altissima qualità. Viene coltivato a Premosello, sulle montagne del Parco nazionale della Val Grande, in Piemonte: “Oggi la Camellia sinensis della Val Grande fiorisce e produce semi senza bisogno di trattamenti con pesticidi o fertilizzanti. Le foglie che sono state raccolte nella primavera del 2021 saranno lavorate e vendute, principalmente nel canale della ristorazione di alto livello, come Tè del Lago Maggiore. Ma nei prossimi anni, secondo i calcoli del proprietario, e a patto di poter meccanizzare parte del processo, si potrebbero vendemmiare fino a quindici tonnellate di foglie fresche che, dopo la selezione, sono equivalenti a circa tre milioni di bustine”.

Sulla quantità non possiamo ancora ragionare, sono ipotesi, visioni, ma un obiettivo già è stato raggiunto perché "nel 2019 un piccolo campione di tè nero di Zacchera, grazie alla lavorazione delle foglie del maestro del tè Marco Bertona, si è aggiudicato in Cina la medaglia d’oro all’International Black Tea Tasting Competition, una sorta di Wimbledon della bevanda". Insomma, dopo tanti tentativi falliti, da Pavia a Lucca, questo è un piccolo esperimento che sembra funzionare. Una cosa è certa, in Italia il tè resta una splendida eccezione, riservata a qualche "isola felice", un sogno che ancora profuma di tradizioni lontane.

Come spiega lo stesso Marzano, "le piante non parlano eppure hanno molto da dire, su di noi e sul pianeta. Ci parlano del clima, portandoci a riflettere sul cambiamento climatico in atto, di abitudini alimentari, di gusto estetico e, soprattutto, del nostro futuro, che oggi più che mai è minacciato, in pericolo, non scontato ma anche ricco di opportunità offerte dalla ricerca e dall'innovazione tecnologica.

Le affascinanti e primitive Cycadales "sono forse le mie preferite", confessa l'autore. In italiano sono dette cicadine, fossili viventi che "si riproducono a ritmo di lumaca e sono il più antico ordine esistente di piante da seme". La conservazione delle cicadine "è una delle grandi sfide della botanica contemporanea: degrado ambientale, mercato nero e raccolta indiscriminata sottopongono questo remoto ordine di fossili viventi a una pressione insostenibile. Queste piante oggi sono classificate come il gruppo vegetale più minacciato al mondo. Nella Convenzione di Washington che regola il commercio internazionale di piante e animali, spesso citata con l’acronimo Cites, alcune Cycadales rientrano nella stessa categoria di protezione dei celebri gorilla di montagna".

Marzano ci accompagna poi alla scoperta di altre meraviglie, protagoniste di storie avvincenti: piante contese e misteriose, fiori simbolo di amori eterni e destini crudeli, pensiamo alla camelia dell'ammiraglio Nelson, pegno d'amore per Emma Hart, seconda giovane moglie dell'anziano Lord William Hamilton, ambasciatore di sua maestà alla corte dei Borboni. Questa storia è bella e, insieme, dolorosa. "In Italia la prima camelia ornamentale viene piantata a inizio Ottocento nel parco della Reggia di Caserta - si legge -. Sbarca a Napoli da un vascello della marina britannica e diventerà il pegno di un amore clandestino. Di questo storico esemplare sono tuttora visibili solo alcuni polloni non più in grado di crescere e riprodursi. Il proprietario di questa misteriosa camelia non è un mozzo qualunque ma l’ammiraglio Horatio Nelson, l’eroe che sconfiggerà Napoleone nella battaglia di Trafalgar rimettendoci la vita. La pianta è un dono del grande comandante a Emma Hart".

Un amore a prima vista, una relazione inizialmente tenuta segreta, infine vissuta liberamente, alla luce del sole ("la coppia ha anche una figlia che chiama, pur senza eccessiva fantasia, Horatia"). Si potrebbe pensare a un lieto fine, invece l'epilogo è dei più tristi. Alla morte di Nelson, nel 1805, nella battaglia di Trafalgar, le vite di Emma e di Horatia vengono stravolte, nonostante l'ammiraglio avesse chiesto alla corona inglese, in caso di disgrazia, di prendersi cura dell’amante e della figlia. Quel che accade invece è qualcosa di completamente diverso, perché "la rigida morale vittoriana non ammette deviazioni". Le volontà di Nelson vengono ignorate, ad Emma viene proibito persino di partecipare al suo funerale: isolata e poi dimenticata, morirà nel 1815, a soli cinquant’anni a Calais, povera e alcolizzata.

Ma le storie raccolte nel libro non portano solo lacrime: raccontano di piante ritrovate o salvate, di fioriture sorprendenti e anche di vere e proprie ossessioni. Un esempio tra tutti è la storia della famosa (possiamo definirla ormai una star) palma di Goethe. “Le palme sono da sempre oggetto di collezione - scrive Marzano nel suo libro -. Sono tra le poche piante sacre comuni a tutte le religioni monoteistiche. Un esemplare particolarmente venerato è la Chamaerops humilis var. arborescens dell’Orto botanico dell’Università di Padova chiamata la palma di Goethe. Passeggiando nell’orto, dichiarato dall’Unesco patrimonio mondiale dell’umanità, questa palma nana si riconosce facilmente perché è ospitata in una serra ottagonale di vetro disegnata su misura. È coltivata nello stesso posto dal 1585 e detiene il primato della pianta più antica del complesso padovano. Quando Goethe visita la città veneta, nel 1786, la Chamaerops ha da poco superato i duecento anni. Il grande poeta tedesco ne rimane folgorato, tanto da chiederne qualche foglia che poi conserverà, pare con preoccupante ossessione, per tutta la sua vita”.

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