CULTURA

Raffaello in sette opere: Ritratto di Tommaso Inghirami, detto Fedra

I ritratti cosa ci dicono di Raffaello? "Io sostengo che Raffaello abbia fatto un uso politico della sua pittura, soprattutto quando si è dedicato ai ritratti - spiega Costantino D'Orazio, storico dell'arte e nostra guida alla scoperta dell'arte e della vita dell'urbinate -. I personaggi, uomini e donne, che ha raffigurato non sono soltanto la prova della sua estrema sensibilità, ma anche della capacità di instaurare rapporti profondi e per nulla formali con i suoi clienti: prelati, signori, mercanti, intellettuali tra i più influenti del suo tempo. In ciascuno dei loro volti possiamo scorgere le loro fragilità, che Raffaello dissimula in atteggiamenti e pose mai pompose o ufficiali. La forte miopia di Papa Leone X serve ad esaltare la sua eleganza, grazie a una lente d’ingrandimento dorata, lo strabismo di Tommaso Inghirami è smussato dalla posa del poeta che riceve l’ispirazione dall’alto, il dolore di Elisabetta Gonzaga è mascherato dalla sua timida eleganza…Raffaello non ritrae mai personaggi, anche se ognuno di loro riveste una posizione pubblica di prestigio, ma persone, che scruta e racconta grazie al suo occhio indagatore, che non approfitta mai delle loro debolezze, ma le trasforma in strumenti di celebrazione".

Il Ritratto di Tommaso Inghirami, detto Fedra, realizzato tra il 1510 e il 1511, oggi è conservato a Palazzo Pitti a Firenze, Gallerie degli Uffizi (una seconda versione, anch’essa considerata autografa, è conservata al museo Isabella Stewart Gardner di Boston). Abbigliato con una veste rossa, stretta in vita da una fusciacca bianca, Tommaso Inghirami indossa anche un copricapo dello stesso colore del vestito ed è immortalato in una posa che ne esalta l'ispirazione: lo sguardo rivolto verso l'alto, la mano pronta a scrivere. Nato a Volterra nel 1470, il nobile e letterato è un protetto di Lorenzo il Magnifico. Si forma a Roma, sotto la guida dello storico e umanista Pomponio Leto, al quale succede nella carica universitaria. Il soprannome gli deriva dall'ottima interpretazione nell’omonima tragedia di Seneca. Tra i molti incarichi ufficiali ricevuti dal Papa, nel 1510 viene nominato prefetto della Biblioteca Vaticana e nello stesso anno Raffaello inizia a lavorare al suo ritratto.

Inghirami è qui presentato in tutta la sua umanità: oltre la celebrazione pubblica, i dettagli narrano una storia privata, intima, mostrando ogni piega del volto, la barba appena rasata, la pelle "debole" del mento, le mani paffute e, soprattutto, lo strabismo, dettagli che non vengono nascosti ma rivelati con rispetto e gentilezza, senza giudizio.

Nel libro Raffaello, il giovane favoloso (Skira), Inghirami ci "svela" un segreto: "Se guardate con attenzione, c’è anche lui in questo quadro. L’ho scoperto per caso un giorno, quando ho alzato gli occhi da un codice antico e ho fissato il ritratto sulla parete del mio studio. Avvicinatevi all’angolo in basso a sinistra, sbirciate con una lente d’ingrandimento il calamaio, il riflesso di luce che lo solca. Distinguerete alcune minuscole pennellate bianche che disegnano il corpo di Raffaello alle prese con la tela: il taglio di capelli, che scendono ai lati della fronte e lasciano libero l’intero volto, è inconfondibile. Non venite a dirmi che è una pareidolia, un’illusione ottica, perché a me funzionerà pure bene un occhio solo, ma è infallibile".

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