SOCIETÀ

Il reato di tortura in Italia e la dignità umana nelle carceri

Con la proiezione del film Sulla mia pelle alla recente Mostra del cinema di Venezia, si è tornati a discutere di tortura e di dignità umana nel sistema detentivo italiano. La pellicola, che vede l'attore Alessandro Borghi nelle vesti di Stefano Cucchi, è stata insignita del premio Brian 2018 e, soprattutto, ha ricevuto l'approvazione di Ilaria Cucchi, sorella del ragazzo, che da anni chiede che venga fatta luce sulla morte del fratello, avvenuta a una settimana dal suo arresto nel 2009. Inoltre, grazie al nuovo ruolo giocato da Netflix nella distribuzione cinematografica, già dal 12 settembre un pubblico ancora più vasto potrà vedere il film, uscito contemporaneamente al cinema e sulla piattaforma online

Risalgono, invece, al 12 luglio le dichiarazioni di Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d'Italia, sulla necessità di modificare la legge 14 luglio 2017 n. 110 che ha segnato l'introduzione del reato di tortura nell'ordinamento italiano, tramite l'inserimento dell'articolo 613-bis nel nostro codice penale, recependo le indicazioni contenute nella Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti di New York del 1984.

Il reato di tortura in Italia

L'iter che ha portato l'Italia a istituire il reato di tortura è stato lungo, travagliato e sollecitato a livello internazionale. Infatti, a smuovere le acque è stata una sentenza del 2015 della Corte europea dei diritti dell'uomo sul caso Cestaro contro Italia. Venne stabilito che il pestaggio da parte della polizia, avvenuto nella scuola Diaz nella notte del 21 luglio 2001 durante il G8 svoltosi a Genova, fosse classificabile come "tortura". Inoltre i giudici stabilirono una ulteriore violazione da parte dell'Italia, in quanto lo Stato, non prevedendo ancora nel proprio ordinamento il reato di tortura, si era dimostrato inadeguato a far fronte alla punizione di quei crimini nonché alla prevenzione di accadimenti simili.   

D'altra parte, anche l'Onu ha recentemente dichiarato la necessità di modificare la legge, ma per motivi diversi da quelli riportati da Giorgia Meloni: una delle maggiori discrepanze che si denotano tra la definizione di tortura in Italia e quella della Convenzione è la specificità relativa all'autore della tortura, con riferimento al pubblico ufficiale e allo scopo della sua attuazione

Come detto nell'art. 1: "Ai fini della presente Convenzione, il termine "tortura" indica qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze risultanti unicamente da sanzioni legittime, inerenti a tali sanzioni o da esse cagionate."

Questo significa che, secondo la Convenzione, una delle sostanziali differenze tra una semplice violenza e la tortura è proprio il perpetuatore, in quanto pubblico ufficiale o una figura assimilabile che agisca per conto dello Stato. L'Italia essendo uno dei paesi aderenti a questo trattato è vincolata a rispettarlo, perciò ad adeguare la propria legislazione interna. Tuttavia nel nostro codice penale si parla del ruolo del pubblico ufficiale solo tra le aggravanti della fattispecie, cioè se i fatti "sono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio" la pena passa dalla possibile reclusione per un massimo di 10 anni a un massimo di 12 e ciò "non si applica nel caso di sofferenze risultanti unicamente dall'esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti".

Paolo De Stefani, ricercatore e professore aggregato di diritto internazionale presso la facoltà di Scienze politiche dell'università di Padova, si esprime così sull'argomento: "L’art. 613-bis è criticabile anche per altri aspetti. Per esempio, esso richiede che siano realizzate violenze o minacce gravi e ripetute, ma non è chiarito quali siano le violenze o minacce non gravi, né perché se ne richieda la ripetizione ai fini della sanzione penale. La ripetizione non è richiesta se le azioni sono inumani e degradanti, ma secondo i parametri internazionali, i trattamenti inumani e degradanti costituiscono condotte meno gravi rispetto alla tortura. Questo crea un’ulteriore complessità rispetto al quadro internazionale consolidato. In generale, la norma italiana potrà punire le condotte efferate tra privati – sevizie ai danni di anziani o persone con disabilità, per esempio – ma potrebbe risultare poco utile per sanzionare i comportamenti dei pubblici ufficiali, violenze magari meno crudeli, ma devastanti perché incrinano la fiducia che ogni individuo dovrebbe nutrire nei riguardi dei rappresentanti dello stato".

La dignità umana nelle carceri 

"La dignità umana è ontologica, perché esiste in quanto esiste l'uomo. Nessuno può togliere la dignità alla persona a seconda dei comportamenti che questa ha avuto: possiamo decidere di imprigionarla o di sanzionarla, ma non possiamo mai toglierle la dignità. Mai ridurre la persona a cosa - come diceva Kant - altrimenti abbiamo fatto sì che quella non sia più una persona" così si esprime Patrizio Gonnella, presidente dell'associazione Antigone

Eppure, molto spesso, siamo pronti a sacrificare la dignità umana: ad esempio quando certi criminali vengono imprigionati, a seconda dell'efferatezza dell'atto compiuto, ci si augura che la vita che li attenda in carcere sia violenta e che aggiunga una sorta di "giustizia" oltre la legalità, più simile all'occhio per occhio. Qualcosa sui nostri "istinti di pancia" ce lo insegna anche l'esperimento etico dello scenario del Ticking Bomb che consiste nel porre un semplice quesito ai partecipanti: supponiamo che una persona a conoscenza di un imminente attacco terroristico, destinato a uccidere moltissime persone, sia nelle mani delle autorità e che fornirà le informazioni necessarie per prevenire l'attentato solo se torturato. Sarà lecito torturarlo?

Bisogna sforzarsi di restare umani, anche davanti a chi ci sembra che abbia già perso quell'umanità. È un principio etico di fondo: "Non inseriamo in una situazione dove c'è già stata una rottura del patto di legalità - per esempio una persona che ha commesso un reato - un elemento di violenza. Quando si deve interrompere il ciclo dell'illegalità va fatto nel rispetto delle regole, solo in questo modo avremo un esito positivo di un percorso riabilitativo" spiega, Gonnella, e continua: "Se si riempisse la giornata del detenuto di vita ordinaria, di scuola, di lavoro, intrattenimento e socialità, tutti ne gioverebbero: compresi i poliziotti. Infatti col tempo si troverebbero a che fare con persone meno aggressive e sicuramente più facili da trattare".

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato Art. 27, comma 3 della Costituzione della Repubblica Italiana

Allora come si può ottenere che la realtà carceraria, che spesso sembra sospesa in una bolla avulsa dal quotidiano, possa tornare a far parte della società? Patrizio Gonnella spiega: "Esiste un dovere pubblico di controllo che quella privazione di libertà possa avvenire in modo rispettoso della legalità interna e internazionale. Ciò non significa che il carcere debba diventare uno zoo che tutti possano visitare, ma più operatori, volontari e studenti vanno, più la trasparenza fa sì che si riducano i rischi e le tentazioni di illegalità e violenza".  

La pena non deve essere completamente sottratta allo sguardo, perché diventa rischiosa Patrizio Gonnella

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