SOCIETÀ

Recovery fund: finalmente l’Europa ha battuto un colpo

Sul “cosa fare” tutti d’accordo al Consiglio Europeo (e già questa è una notizia). Sul “come farlo” invece la trattativa è in alto mare. Il che vuol dire ulteriori spaccature, reciproche accuse, tempo che passa, economie che scricchiolano, governi che tremano. La riunione di ieri dei leader dei paesi dell’Unione ha sostanzialmente confermato le aspettative della vigilia: c’è l’ok al piano da 500 miliardi, disponibili dall’1 giugno, per far fronte alle necessità più immediate (le linee di credito del MES senza condizioni, i finanziamenti della BEI e il piano SURE per la disoccupazione). E c’è anche il sì formale alla creazione di uno strumento di debito condiviso («Il Recovery fund è necessario e urgente», ha dichiarato il presidente del Consiglio Ue, Charles Michael), ma nessun accordo è stato raggiunto sulle modalità di erogazione di questa enorme quantità di denaro (titoli garantiti dal Bilancio dell’Unione Europea, per un controvalore stimato di 1500 miliardi di euro).

Il dilemma ricalca fedelmente la divisione tra Nord e Sud dell’Europa, tra paesi “rigoristi” (Germania, Olanda, Svezia, Finlandia) e quelli economicamente più fragili ed esposti (Italia, Spagna, Grecia, con il sostegno della Francia): quanta parte dei fondi raccolti con bond comuni verrà erogata sotto forma di prestiti (che prima o poi dovranno essere restituiti)? E quanta sotto forma di sovvenzioni a fondo perduto? Le posizioni sono inconciliabili, perché riflettono due concetti economici diametralmente (storicamente, culturalmente) opposti. L’unica possibile mediazione si avrà nello stilare una tabella di quote: tot da restituire, tot a fondo perduto. La palla passa ora alla Commissione Europea, che dovrà proporre entro il prossimo 6 maggio un’adeguata soluzione all’impasse, ma uno slittamento, anche corposo, è assai probabile.

Sul “cosa fare” tutti d’accordo al Consiglio Europeo (e già questa è una notizia). Sul “come farlo” invece la trattativa è in alto mare

Perché a questo punto l’ulteriore problema è il tempo. «La Commissione europea lavorerà il più velocemente possibile», ha dichiarato la presidente von der Leyen, che poi ha ammesso: «Dobbiamo trovare un equilibrio tra prestiti e trasferimenti. E’ una buona idea avere il Recovery Program e l’Mff (il bilancio pluriennale comunitario) come pacchetto, perché sono legati l’uno all’altro. Vogliamo impedire che l’impatto ineguale della pandemia sugli Stati dell’Ue aumenti le divergenze nel Mercato unico. Serve una risposta comune dell’Europa. E l’unico strumento che può generarla è il bilancio dell’Unione, cui sarà legato il Recovery Fund». Peccato che il bilancio pluriennale a cui si riferisce von der Leyen copra l’arco temporale 2021-2027. Bisognerebbe dunque aspettare almeno 8 mesi per l’emissione di obbligazioni dell’Unione Europea. Troppi, visto il livello dell’emergenza economica e sociale dovuta alla pandemia. Una via d’uscita la propone David Sassoli, presidente del Parlamento Europeo: «Potremmo rendere subito operativo il fondo con una garanzia temporanea della Banca Europea degli Investimenti, cui poi alla fine si sostituirebbe quella del Bilancio, facendo leva sulle risorse proprie. Sarebbe il modo per venire incontro ai governi europei che chiedono di fare presto». E’ un’ipotesi, sulla quale comunque servirà una piena convergenza tra i paesi dell’Unione.

Conte esulta, Merkel frena, Rutte dialoga

Nel frattempo, c’è chi esulta e chi puntualizza. Il premier italiano Giuseppe Conte è nel primo gruppetto: «E’ passato il principio per cui il Recovery Fund è uno strumento urgente e necessario, e l’Italia è in prima fila a chiederlo. Uno strumento del genere era impensabile, si aggiungerà a quelli già varati e renderà la risposta europea molto più solida, molto più coordinata, molto più efficace». Il presidente francese Macron sa bene che la partita non è ancora chiusa: «Se lasciamo cadere una parte dell’Europa è tutta l’Europa che cadrà. Servono trasferimenti di risorse verso i Paesi Ue più colpiti da questa crisi, non dei prestiti. Una posizione che ricalca al millimetro quella italiana. Angela Merkel è più prudente: «La Germania è pronta, per un certo lasso di tempo, a contribuire con maggiori fondi al bilancio dell’Unione Europea. Quanto al Recovery Fund c’è spirito di collaborazione e un’atmosfera positiva, ma non su tutto siamo della stessa opinione». Anche il premier olandese Rutte lascia la porta aperta al dialogo: «Se le tensioni con l’Italia ci sono mai state, cosa di cui non sono sicuro, ora non ce ne sono più. Abbiamo un buon rapporto». Nessun commento a fine riunione del premier spagnolo Pedro Sánchez, ma il ministro degli Esteri, Arancha González Laya (oltre a rivendicare, giustamente, il ruolo decisivo avuto dalla Spagna nel presentare la proposta che ha sbloccato le trattative), ha rilevato «un cambio di tono nel dibattito» che lascia ben sperare.

Finalmente l’Europa ha battuto un colpo

Cosa resta dunque dell’Europa? E’ più forte o più debole dopo il Consiglio Europeo? Non c’è dubbio che l’entità, la capienza della massa di denaro che sarà messa a disposizione degli Stati membri è assai rilevante (500 miliardi tra Mes, Bei e Sure, più i 1500 dei Recovery Fund). Una risposta adeguata a un’emergenza mai vista (con uno strumento mai utilizzato in passato). Una risposta finalmente “comunitaria”, anche se bisognerà capirne i dettagli prima di dare un giudizio ponderato. Come ha dichiarato Carlo Alberto Carnevale Maffè, economista della Bocconi, a Formiche.net: «Per l’emergenza è ancora un piccolo passo. Ma, in prospettiva storica, questo piccolo passo per il Consiglio è un enorme balzo per il progetto europeo, perché nasce la prima forma ufficiale di debito emesso da un’istituzione federale. E’ un bel giorno per chi crede in un futuro comune delle genti d’Europa».

E’ un bel giorno per chi crede in un futuro comune delle genti d’Europa

Ma è pur vero che, al di là degli accordi trovati (pretesi, sopportati, ingoiati), è evidente che ciascun paese viaggia per sé. Per trovare l’accordo su ogni passaggio si perdono mesi. E rallentare le decisioni, in economia, fa perdere competitività. Come la definizione del Recovery Fund. Il termine sarebbe il prossimo 6 maggio, ma la presidente von der Leyen ha già detto che probabilmente la proposta finale verrà elaborata nella seconda metà del mese. Politico.eu si spinge a ipotizzare un ulteriore slittamento: «Molti funzionari e leader ritengono che sarà impossibile raggiungere un accordo senza un vertice fisico in cui i capi di Stato e di governo possano negoziare faccia a faccia. Ma non è chiaro quando la situazione sanitaria consentirà un tale incontro». Lo stesso premier olandese ha dichiarato che sarebbe «molto utile avere un accordo prima dell’estate».

Insomma, l’Unione Europea continua, nonostante gli sforzi lodevoli nel cercare una sintesi, a presentarsi come un assemblaggio disordinato, un grande puzzle (troppo grande?) con alcuni pezzi difettosi che mal combaciano. «E’ vero, ci sono differenti sensibilità nel Consiglio europeo, e questa non è una sorpresa», ammette Charles Michel, presidente del Consiglio Europeo. «Ma sento che c’è una volontà politica molto forte di lavorare insieme e di riuscire a costruire un compromesso. Il fatto che abbiamo discusso di prestiti e di trasferimenti dimostra che stiamo discutendo delle modalità. Sappiamo che sarà difficile, perché sono questioni complicate, ma il dibattito è stato molto razionale, cosa molto positiva. E c’è la volontà di trovare decisioni nelle prossime settimane». Entusiasti da una parte, prudenti dall’altra. L’Europa più che un’Unione sembra diventata un’opinione, uno stato d’animo: o mezza piena o mezza vuota.

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