SOCIETÀ

Alla ricerca del profondissimo Nord

A Sodankyla, cittadina del nord della Finlandia localizzata ben oltre il Circolo polare artico, il 18 luglio scorso la temperatura ha battuto ogni record dal 1908 a oggi, ovvero da quando viene registrata: 32,1° C. La temperatura media di questo periodo è di 20° C.

Nelle medesime settimane, nella Svezia centrale, al culmine di un periodo di siccità con pochi precedenti, è scoppiata una serie di incendi che per vastità e capacità distruttiva non ha precedenti, a memoria d’uomo. 

Non si tratta di fluttuazioni casuali. Il clima sta cambiando nell’Europa settentrionale. E molto più rapidamente che altrove. E se le estati stanno diventando sempre più secche e torride, gli inverni sono ormai diventati piovosi e tiepidi. Col risultato di sovvertire gli equilibri ecologici della penisola scandinava. Gli animali e in particolare le renneche si sono adattati a quegli ambienti sono abituati alla neve e a trovare erba, nella stagione invernale, sotto la morbida coltre bianca. Se invece piove, a causa dell’aumento della temperatura, è un bel guaio: perché la pioggia poi gela. E le renne non sono abituate a trovare l’erba sotto il ghiaccio. Di conseguenza, tutte le renne – quella allevate come quello allo stato brado –, soffrono la fame e muoiono. Lo stress continua d’estate con il calore inusitato e il fuoco.   

La conseguenza di tutto ciò è che stiamo assistendo alla migrazione umana meno attesa. I popoli seminomadi del profondo Nord, i sami – più noti alle nostre latitudini come Lapponi –, sono costretti a lasciare le loro terre, nella Scandinavia centrale, e a cercare non solo un po’ di refrigerio ma una nuova economia nel profondissimo Nord, ben oltre il Circolo polare artico.

Lì, nella taiga che ricopre la zona artica, vivono, si calcola, all’incirca due milioni di persone. Tra loro ci sono i sami – o, se volete, i lapponi –, che popolano la Scandinavia e parte della Russia più occidentale e di cui non è semplice calcolare il numero, refrattari come sono a ogni censimento. Pare che siano 80.000 o forse 100.000 o forse di più.

Si tratta della più antica tra le popolazioni che abitano il settentrione dell’Europa. Probabilmente è anche una delle popolazioni di sapiens più antiche dell’intero continente, visto che le prime testimonianze della loro presenza in quelle terre risalgano ad almeno 10.000 anni fa. Vivono di caccia, di allevamento e dei frutti della foresta. E godono, fin dal 1751, di una larga indipendenza e della sostanziale possibilità di attraversare i confini che dividono Norvegia, Svezia e Finlandia.  

Nel corso dei secoli e anzi dei millenni successivi alla fine dell’ultima Era Glaciale si sono abituati a vivere in un ambiente freddo, ma non ostile: con la neve d’inverno e le timidissime estati. In foreste verdissime in cui la temperatura media annuale è (era) di circa zero gradi e quella media della stagione più calda si attestava intorno ai 20 °C. In questo habitat hanno costruito il loro modo di vivere, la loro economia.

Ma di recente molto è cambiato. Tutto sta cambiando. 

Il cambiamento del clima– con gli inverni troppo tiepidi per non ghiacciare (non sembri una contraddizione) e con le estati troppo siccitose e ora con gli incendi – sta incidendo sull’allevamento. Le renne rendono di meno, perché hanno meno cibo. E anche la caccia – i sami sono gli unici a poter cacciare le renne selvatiche – risente del medesimo problema. Di conseguenza l’economia langue. I sami non ce la fanno. E, dunque, sono portati a indebitarsi, perché anche loro hanno conosciuto le pericolose lusinghe dalla finanza. Ma molti non ce la fanno a ripagare i debiti. Di qui, due tipi di reazioni: molti, troppi debitori insolventi si suicidano. Come ha dimostrato e denunciato un recente convegno tenuto a Roma presso la Food and Agricolture Organization (FAO). La gran parte della popolazione sami, per fortuna, sceglie un’altra opzione, certo meno tragica ma altrettanto certamente drammatica: migrare. Andare sempre più a settentrione. Raggiungere il Nord profondissimo, lassù, fino alle coste che spalancano sull’Artico. Alla ricerca di un po’ di frescura per se stessi e di un po’ di erba per i loro animali.

I sami che lasciano la Scandinavia centrale per raggiungere il profondissimo Nord sono a tutti gli effetti migranti

Una piccola porzione di quelle decine di milioni di migranti ambientali che si muovono ogni anno nel mondo per sfuggire alle catastrofi ecologiche, comprese le conseguenze dei cambiamenti del clima. Ma sono anche migranti economici, perché le due condizioni sono, quasi sempre, indistinguibili.

Per molti versi sono delle avanguardie. Le avanguardie europee di popolazioni che probabilmente saranno costrette a lasciare le loro case nell’Europa del Sud– anche in Italia – a causa dell’eccesso di calore, degli incendi in aumento(si veda il caso greco dei giorni scorsi, o quello italiano e portoghese dello scorso anno), della desertificazione conseguenti al climate change.

Sono scenari che paventano molti rapporti scientifici. La migrazione dei sami dimostra che non sono scenari infondati. Ma come succede nella meglio della letteratura, il romanzo forse, riesce a trasformare in carne viva e sangue le fredde analisi della scienza. Nel suo libro, Qualcosa, là fuori, che è il primo romanzo italiano e uno dei primi in assoluto, che nel sostanziale rispetto delle previsioni scientifiche è ambientato nel futuro dei cambiamenti climatici, Bruno Arpaia immagina lo sviluppo delle migrazioni in Europa nei prossimi decenni. Milioni di persone alla ricerca di un po’ di refrigerio che si spostano dal sud al profondo nord.

Le migrazioni dei sami ci dicono che quel futuro è già presente. A loro non basta il profondo Nord. Sono alla ricerca del profondissimo Nord.

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