CULTURA

Ricordi chi era Osvaldo Licini (prima dei Beatles)?

Forse non tutti sanno chi era Osvaldo Licini, uno dei più grandi pittori della prima metà del Novecento, nato il 22 marzo del 1894 in un piccolo paesino delle Marche, Vincenzo padre disegnatore e litografo, Amedea madre cucitrice di cappelli, spesso a Parigi dove la coppia e la sorella minore Esmé si trasferiscono definitivamente nel 1902, Vincenzo cartellonista e Amedea direttrice di moda (restando lui nella casa natale col nonno Filippo); Accademia di Belle Arti di Bologna dal 1908 al 1914, futurista un poco, poi servizio militare e guerra; ferito gravemente sul Podgora, fronte slavo, a novembre 1915 e da allora claudicante; degenza in ospedale a Firenze e relazione con la crocerossina svizzera Beatrice Müller dalla quale nasce Paolo (1917); rientro a Parigi in costante produzione pittorica (il padre è ormai morto), esperienze avanguardistiche, da subito nel giro dei grandi artisti internazionali con notevoli mostre itineranti, collettive e personali lungo tutto la vita, alternando soggiorni vagabondi a residenze parigine e a lunghe permanenze marchigiane dove pure insegna alcuni anni; marito da fine 1926 della pittrice svedese Nanny Hellström poi mamma adottiva di Caterina (1939), intense amicizie semplici e famose; progressiva svolta astratto-geometrica a partire dagli anni trenta; dopo una militanza clandestina comunista, sindaco di sinistra del suo amato borgo natio dal 1946 al 1956; celebrato in tutto il mondo per la straordinaria forza espressiva dei supereroi Olandesi Volanti, delle sibilline Amalassunte, dei fantasmagorici Angeli Ribelli e per molto altro, prima e dopo la morte l’11 ottobre del 1958, sempre a Monte Vidon Corrado, un cocuzzolo specola sul mondo.

Monte Vidon Corrado è oggi un paesino di meno di 700 abitanti in provincia di Fermo abitato già in epoca medievale sull’asse di comunicazione tra le vallate del Tenna e il Chienti. Se capitate nelle Marche domandatevi sempre sul bacino di quale fiume vi trovate, partono tutti dai Sibillini, arrivano tutti sull’Adriatico, è l’unico modo per collocarvi bene nello spazio, poi aggiungete l’altimetria e siete a casa. Chi percorre gli ecosistemi e i suoli della regione ha la sensazione fisica (motoria) di pettinarsi. La rete viaria (e in parte ferroviaria) è un pettine, il tronco segue la costa per circa 180 chilometri, i denti sono le tredici vallate parallele, simili a prescindere dalla lunghezza dei torrenti (il Musone 65 chilometri, il Tronto 115, gli altri più o meno). Non ci sono pianure, la linea costiera è irregolare (non solo intorno allo splendido Monte Conero), ora sabbiosa, ora sassosa, l’andare è sempre ondulato, si pettina il paesaggio, la morbida linea dei fini capelli biondi e marroni, verdi e rossi, insinuati fra colline e chiome di alberi e di case. La regione ha una scarsa densità della popolazione e ancora un alto indice di ruralità, non ci sono città se confrontate con le metropoli del mondo: borghi, paesotti, fazzoletti piuttosto, strade contorte che li separano.

Il pettine marchigiano conta circa duecentocinquanta quartieri (comuni) e diecimila frazioni di un’unica città metropolitana. Tanti appezzamenti contadini, case coloniche, comunità semi urbane, le millenarie marche marchigiane, ricche umane vicende archeologiche e artistiche, vividi reperti di antenati e famose pitture di paesaggio, le storie di Anselmi, i disegni di Pericoli, le foto di Gatta, i versi e la rivista di Scarabicchi, i paesaggi di Licini, non residenze ma paradisi apparenti, monotoni intensi sapori, antichi moderni residui. Profili, filari, fitte enclosures, viti e olivi ovunque, da una certa stagione in poi il cambio di colori e i lenti mezzi meccanici sempre davanti, da un certo momento in poi il giallo dei girasoli e la voglia di scattare immagini imprimendole su occhi distratti. Un paesaggio “geometrico”, protagonista della pittura e delle arti, della visione e degli altri sensi, consci e inconsci. Il paesaggio di Osvaldo Licini.

In ordine: "Paesaggio marchigiano", 1925, olio su tela, collezione privata; "Servigliano", 1926 (con interventi succ.), olio su tela, 59,5x102, Galleria Arte Contemporanea Osvaldo Licini, Ascoli Piceno; "Paesaggio marchigiano" (Montefalcone), 1926, olio su tela, collezione privata, Fermo

La popolazione del borgo dove Licini nacque è in calo da decenni, comunque solo un poco più ampia un secolo fa (1.177 abitanti nel 1861, 1.344 nel 1901, 1.165 nel 1951, 829 nel 2001). Nel Settecento era parte del distretto manifatturiero della paglia (ha ancora accanto la città dei cappelli, Montappone), in buona parte evoluto come uno dei più grandi distretti calzaturieri italiani dopo la seconda Guerra Mondiale, con la fine della mezzadria e la trasformazione di piccoli locali e garage in laboratori artigianali e microimprese. Le Marche non hanno capitali o capoluoghi o centri: la stessa Ancona ha storicamente sempre guardato più il mare dal suo inaccessibile collare, che l’entroterra. Più che le differenze (che pure ci sono, di storia e geografia, di dialetti e stratificazioni) pesano le omologie, le analogie, le continuità. Alcune differenze le fanno singole personalità, ingegni umani abbarbicati al proprio specifico luogo di nascita e a quel modo di interpretarlo con assonanze universali. Licini, per esempio, un grande. Osvaldo Licini ha iniziato a dipingere figurando colline e marine fermane e marchigiane, la costa azzurra a est, il profilo dei monti a nord, la terra coltivata e le piante tutt’attorno allo sguardo colto e poetico d’osservazione e d’immaginazione. Non perdetevi la bellissima mostra a lui dedicata nella sua casa museo, complessivamente 90 oli e 30 disegni, resterà aperta fino all’8 dicembre 2020!

L’esposizione s’intitola “La regione delle Madri. I paesaggi di Osvaldo Licini” ed è stata curata dalla brava studiosa Daniela Simoni, Presidente del Centro Studi intitolato al pittore, con autorevoli collaborazioni. Annovera opere prima mai esposte ed è suddivisa in nove sezioni tematiche. Si parte dalle marine e dai paesaggi “arabeschi” del periodo figurativo (“Lavoro dal vero, quasi sempre”), il tema preferito fin dagli esordi di studente d’arte, poi influenzato dalle lezioni di Cézanne, Van Gogh, Matisse (il primo olio su tela esposto è la Marina di Saint-Tropez del 1921), caratterizzato nelle Marche dalla peregrinazione en plein air e dall’elezione di pochi propri inquieti punti di vista verso palme adriatiche e spiagge deserte (o quasi) con poche barche sul calmo Mediterraneo, profili montani, case solitarie, alberi verdi e giocosi, agglomerati quieti (talora innevati), a poche decine di chilometri da Monte Vidon Corrado: la costa di Porto San Giorgio, la rupe di e da Montefalcone Appennino, le piane intorno a Falerone e Servigliano, la Gola dell’Infernaccio. La seconda sezione dà conto della originaria evoluzione verso geometrie astratte (“poi ho cominciato a ragionare”), anche sull’onda dell’apprezzamento per Kandinskij e del coinvolgimento nel gruppo del Milione con le Archipitture. Licini sperimenta e intraprende percorsi di cammini e di voli per una propria linda poetica intricata e carnale, segnata dai personali riferimenti territoriali e culturali, Leopardi certo, per sempre. Poco più che trentenne per molto tempo iniziò a dedicarsi a un progetto di edizione illustrata dei Canti di Leopardi, il poeta e i paesaggi recanatesi gli erano cari dall’adolescenza. Il volume non vide mai la luce ma fece sempre riferimenti, in più modi in più momenti, alle scritture e ai pensieri di Leopardi, mescolando figurazione, proiezione, astrazione. 

In ordine: "Angelo ribelle", 1949, olio su tela, collezione privata, Milano; "Amalassunta aureola rossa", 1946, olio su tela, collezione privata; "Omaggio a Cavalcanti", 1954, olio su tavola, collezione privata; "Amalassunta", 1949, olio su tavola, Milano, collezione privata; "Angelo su fondo rosso", 1950, olio su tela, Torino, collezione privata

Le sezioni successive della mostra illustrano la genesi delle creature fantastiche (i primi “Personaggi”) dalle viscere delle proprie terre marchigiane allo spazio lunare e astrale; lo sguardo antropomorfico sulla natura con l’erotizzazione del paesaggio (mitico “Il capro” con testa e corna fra due cime mammelle); la successiva scalata al cielo per il tramite degli Angeli Ribelli, con cuore rosso e fondi gialli, rossi, blu (“Fuggire! Fuggire! Volare!”); l’ausilio nel dipinto di singole arcane cifre ed enigmatiche lettere (“La bellezza sfuggirà sempre ai nostri calcoli”); la specificità ritmica e ciclica del mare, soprattutto in notturna; i microcosmi allusivi e piccolissimi (la gamba offesa gli impediva di restare a lungo in piedi, le opere di grande formato furono comunque rare); le grafiti e le grafiche su carta accanto ai dipinti, schizzi bozzetti disegni annotazioni frammenti poesie, citazioni di epistole. Una meraviglia! L’interessante accurato catalogo Electa è arricchito, oltre che dalla traduzione in inglese dei testi, anche da altri saggi sui debiti e crediti liciniani verso personalità e luoghi (in particolare grazie alle riflessioni leopardiane), sulla storia espositiva (con le molte motivate ritrosie), sui valori primordiali e le angosce apocalittiche della sua visione, sui dettagli biografici e bibliografici e, infine, essenziale, sul luogo della creazione, quella che da qualche anno è la visitabile Casa Museo “Osvaldo Licini”, dimora patronale settecentesca strutturata su tre livelli (con celebri terrazza e cantina), arredata con mobilio e oggetti originali. 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Nel 1958, l’anno in cui poi morì, il Centro Culturale Olivetti realizzò una grande personale a Ivrea e la Biennale di Venezia conferì il gran premio per la pittura proprio a Osvaldo Licini; si congratulò di persona il Presidente della Repubblica Gronchi, Licini curvo e col bastone. Il pittore era già molto amato dai collezionisti e abbastanza ignoto al grande pubblico, solo trasversalmente menzionato dalla storiografia artistica, pure recente (la situazione è poco cambiata nei decenni successivi). A fine 2018, dal 22 settembre al 14 gennaio 2019, sessant’anni dopo, meno di due anni fa, la sede della Collezione Peggy Guggenheim di Venezia ha reso omaggio al riservato artista marchigiano con una retrospettiva rigorosa e ampia, evidenziandone la ricerca coerente e ironica e l’eccezionale apporto alla vicenda pittorica del secolo scorso (catalogo Marsilio). Forse a taluno non sarà sfuggita, meritava.

A Venezia il biglietto costava 15 euro con poche possibilità di riduzione a 13 o a 9. A Monte Vidon Corrado il biglietto costa 5 euro con svariate possibilità di riduzione almeno a 3. Di mattina e di pomeriggio (ed eventuale apertura serale) si cammina all’interno del Centro studi e della Casa Museo, consiglio di chiedere la visita guidata. Troverete cura per mascherine, distanziamento e disinfezione, così è indispensabile prenotare. E magnifici posti dove dormire e mangiare bene nei comuni limitrofi. All’interno della mostra e in giro fra viuzze e belvedere di Monte Vidon Corrado si respira fresca bellezza, indimenticabile. Cinque euro! Un comune di 694 abitanti! Ecco come si esercitano con onore e disciplina funzioni pubbliche di scuola e cultura, di alfabetizzazione artistica e di servizio sociale! Lode a simili piccoli protagonisti pubblici.

Le opere di Licini proprietà del suo comune o acquisite dal Centro Studi sono meno di cinque, le altre esposte vengono da collezioni pubbliche e private di tutto il mondo, assemblate con perizia filologica e passione civile. Concedetevi un paio d’ore dentro i locali della mostra, fatevi aprire le finestre visto che sono altri mirabili dipinti (alcuni di noi hanno scelto quei paesaggi quando hanno potuto liberamente scegliere dove stanziarsi), gettate lo sguardo in alto (Licini non poteva affrescare ma ha faticosamente dipinto il soffitto della scala grande, la scalata al cielo dopo il terremoto del 1942, e il muro sopra il letto matrimoniale, un’archipittura con oggetti sacri) e in basso (la garbata ristrutturazione edilizia), provate a salire la scala a pioli verso il terrazzo e chiedete il racconto delle riunioni elettorali carbonare nella cantina. Godete dei bei dipinti. Guardate le linee delle opere, osservate bene dentro le cornici, senza contorni e con le diagonali. Scoprirete rifacimenti continui, costanti correzioni, porzioni di tela sparite o ripensate, sostituzioni, numeri, lettere, i profili figurativi precursori delle astrazioni successive, l’astratto del e nel figurativo, e viceversa, gli artifici degli ecosistemi umani.

In occasione della visita alla Biennale di Venezia durante il 1934, nel libro delle firme di un ristorante di Burano, l’allora quarantenne Licini si autodefinisce errante, erotico, eretico, tre significativi aggettivi che lo hanno accompagnato per tutta la sperimentazione sociale e artistica della vita. Divennero il titolo di un libro Feltrinelli nel 1974; da decenni risulta esaurito, fuori catalogo e non acquistabile; è forse rintracciabile in rare biblioteche; raccoglieva gli scritti letterari e le lettere del pittore. Sarebbe proprio il caso di rieditarlo. Magari andate alla mostra e poi vi convincete a promuovere un appello in tal senso. Dopo averlo incontrato, è difficile dimenticare Licini. Dovrete e dovremo parlarne ancora.

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