CULTURA

Rileggiamo: Maestoso è l'abbandono di Sara Gamberini

Maestoso è l'abbandono esce nel 2018 per Hacca ed è l’esordio nel romanzo di Sara Gamberini. Il libro viene travolto dall’amore del pubblico nonostante la forza commerciale di un piccolo editore – si sa – non sia la stessa delle major. È che Maestoso è l’abbandono si rivela essere un unicum nel panorama letterario italiano (non solo per quello che dice, ma soprattutto per come lo fa) e silenziosamente si impone. Vale dunque la pena rileggerlo, o farlo per la prima volta, perché questo libro non solo non “scade” (neanche i libri fossero yogurt) ma soprattutto sembra scritto in stato di grazia.

Come altro definire infatti l’abilità di una narratrice che mette sulla pagina un romanzo in cui trama, voce, tempo, agganci al mondo tangibile e a quello solo pensato o percepito si fondono inestricabilmente diventando inscindibili? La lingua, il racconto, la scansione degli eventi, l’alternarsi delle frasi e di quello che queste mimeticamente vogliono significare hanno un effetto ipnotico: non si legge per sapere cosa succede, né per capire, o per seguire un filo logico; si continua magneticamente per farsi accompagnare in un mondo sussurrato.

La protagonista ci mette a parte del suo percepire la vita – vissuta insieme ai suoi amori, alla figlia, alle amiche, allo psicanalista – attraverso qualcosa di molto simile a un flusso di coscienza in cui è come se le parole venissero coniate per la prima volta, o in cui l’accostamento di pensieri, immagini, oggetti consueti e nuove interpretazioni, superano la sinestesia producendo in chi legge una scossa. “Cosa sta dicendo?” è come si ribellasse la coscienza di chi legge, mentre, al contempo, cuore-corpo-mente-pensiero si sintonizzano proprio su quelle rivelazioni.

Lorenzo [il fidanzato della protagonista] mi sembrava soddisfatto delle nostre parole, le confezionavo di notte, andavano cotte a lungo e versate in un vasetto trasparente, chiuse con un tappo ermetico e poi lasciate raffreddare. La mattina erano pronte, avevano il colore delle fragole e un sapore indicibile”: sono proprio così le parole dell’autrice.

Sara Gamberini è una delle prime (la prima?) ad avvicinare il lettore ai mondi sottili, quelli in cui il rapporto causa-effetto non è, per molti, scientifico abbastanza; la prima a trovare un modo per esprimere uno scarto minimo tra significante e significato che diventa grande a sufficienza per aprire un varco di senso nuovo: “Per rimanere equanimi verso le cose che accadono serve concentrarsi sui movimenti piccoli, saper maneggiare il setaccio che trattiene solo quello che resiste”.

Il risultato è una produzione d’effetto panico, che il lettore introietta senza comprenderla punto per punto e così poterla ricordare nella sua oggettività; chiama alla mente Lispector, ma è più dolce: Gamberini ti abbraccia.

L’universo a mio parere è fatto di stelle e di tempo dimenticato e di scintille. È fatto di stelle e di orsi piccoli e di concerti in do minore. L’universo a mio parere è fatto di stelle, di pezzettini e di compassione. L’universo, mi pare, è fatto di disattenzione, di galassie, e di noncuranza”. Dice bene, in questo suo canto d’epica postmoderna, una Mrs Dalloway inconsapevole: ecco cosa racconta questo libro, una parentesi dell’universo.

Abbiamo intervistato l'autrice.

In Maestoso è l’abbandono domina una voce unica, pastosa, affascinante, che esce dai fatti ed entra nell’intimo e viceversa, come un ago che cuce. Come l’hai cercata? O come l’hai trovata?

In questo romanzo mi sono occupata di inconscio e di invisibile e ho parlato di un amore altissimo, un amore che somiglia anche a una sorta di iniziazione, ho sentito molto naturale affidarmi alla poesia. Ho letto molta poesia mentre scrivevo, e più in generale lo faccio sempre, ma soprattutto ho avuto accesso a un luogo che conservo chissà dove dentro me, abbastanza incolto e insondato al tempo di Maestoso è l'abbandono, un luogo in cui si trova questa piccola dolcezza un po' dadaista e un po' malinconica che forse si avverte nella voce, uno sguardo che raggiungo solo in poche occasioni, ma sempre quando scrivo. Forse anche questa è una specie di iniziazione, chissà.

L’amore è un incidente? È un risultato? Una compagnia? Uno specchio?

Oh, che domanda impossibile e quindi bellissima. Io sono fortemente convinta che l'amore sia un destino, ne è conferma la sua potenza irresistibile e inarrestabile. Sono una romantica, una sentimentale rossa, come chiamo nel romanzo i veri rivoluzionari di questo secolo, i coraggiosi, i veggenti. Non posso pensare all'amore se non accompagnato dal destino, personalmente non lo cerco mai, lascio che arrivi e quando arriva non mi oppongo, non valuto, non decido. Credo che anche le storie d'amore più balorde che viviamo rappresentino un incontro mai casuale. Non esiste qualcosa di inutile.

La protagonista va dallo psicanalista e lungo la storia il dottor Lisi è per lei un contraltare quasi fastidioso, eppure accogliente: necessario. Di quale verità siamo in cerca? Quale pace può essere cercata tra il pensiero razionale e quello sfumato, l’intuito? Tra anima e corpo?

Maria va in analisi perché conserva un vuoto nel cuore, è figlia di una madre bambina, poco accudente. Va in analisi anche perché nella nostra società si usa fare così, quando si soffre molto è abitudine diffusa affidarsi a uno psicoterapeuta, così come in altre culture si consulta un guaritore, ma Maria durante le sedute si sente spesso smarrita, sente che non può credere a nulla di quello che le dice il dottor Lisi e avverte invece la presenza di un elemento buono che guida le difese, gli agiti, la forza smisurata di certe pulsioni. Non la appassionano l'indagine delle cause, le interpretazioni, e la appassiona invece la presenza misteriosa dell'invisibile che lei avverte in modo fortissimo. Tanto che a un certo punto si chiede: Ma capire sarà davvero la forma più alta di conoscenza? Ecco, io non lo credo. E però si chiede anche: Si potrà essere in disaccordo con un salvatore e tenerlo lo stesso? A Maria piacerebbe, io credo invece che sia un movimento molto pericoloso.

Una domanda quasi d’obbligo nello scenario editoriale contemporaneo: che relazione c’è tra l’ “io” della storia e il tuo? È vero, anche nel tuo caso, che gli esordi muovono dal personale molto più dei libri successivi?

Nei miei libri c'è sempre un impasto di accadimenti personali e di immaginazione, ma mi piace scompigliare anche le esperienze più autobiografiche e allora magari si possono trovare tratti di mia madre in uno psicoanalista, pezzettini di me in una bambina magica, fidanzati amatissimi che nella storia diventano figli. E lo stesso capita alle storie che racconto. Alcune esperienze le ho vissute, altre le ho immaginate, e altre ancora le ho solo desiderate. Non scelgo come combinare personaggi e fatti, accade tutto abbastanza da sé.

In che relazione stanno Maestoso è l’abbandono e Infinito Moonlit, il tuo libro successivo?

In una relazione inusuale, credo. Li sento diversi, eppure non credo lo siano particolarmente. Quando scrivevo Maestoso è l'abbandono vivevo in uno strano stato di grazia, è stato un momento molto bello e molto particolare della mia vita, lì è accaduto qualcosa di indimenticabile. Questo libro ne è la testimonianza, pur non raccontando nello specifico gli accadimenti di quel tempo. Avevo scoperto i mondi sottili e volevo raccontarlo a tutti, per questo mi sono messa a scrivere. In Infinito Moonlit invece avverto più misura, come se fosse il proseguo della mia esperienza con l'invisibile, meno immediata però, meno selvatica, e circondata da qualche dubbio. I dubbi ci sono sempre, altrimenti il mistero svanirebbe e di mistero si nutre immensamente l'anima.

Smettere di cercare la luce è la luce Sara Gamberini

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