SOCIETÀ

Ritorno al futuro. Curare la nostra dipendenza dalla crescita

L’economia ecologica è oggi un indirizzo economico e una disciplina accademica, con i suoi capisaldi teorici, i suoi testi fondanti, i suoi esponenti di spicco. Questa istituzionalizzazione, avvenuta lentamente e scontratasi a lungo con l’opposizione proveniente dagli ambienti dell’economia convenzionale, è l’ultimo passo di un percorso che parte da lontano, prendendo le mosse, in buona sostanza, da una presa di coscienza.L’economia ecologica è oggi un indirizzo economico e una disciplina accademica, con i suoi capisaldi teorici, i suoi testi fondanti, i suoi esponenti di spicco. Questa istituzionalizzazione, avvenuta lentamente e scontratasi a lungo con l’opposizione proveniente dagli ambienti dell’economia convenzionale, è l’ultimo passo di un percorso che parte da lontano, prendendo le mosse, in buona sostanza, da una presa di coscienza.

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Ascolta l'episodio 14 del podcast "Ritorno al futuro"

Quello dell’economia ecologica, infatti, è solo uno dei tanti nomi sotto i quali si sono via via aggregati gruppi di persone divenuti consapevoli del fatto che il sistema economico capitalista, adottato dalla società odierna, è destinato ad un rovinoso fallimento e che, se la traiettoria attuale non verrà modificata il prima possibile, l’umanità potrebbe trovarsi a condividere un simile destino.

Il merito dell’economia ecologica consiste, fin dalle sue prime formulazioni, nell’aver messo a nudo la contraddizione insita in un sistema che, promettendo sviluppo e benessere, ha invece eroso con sorprendente velocità le risorse su cui le nostre società si fondano.

Uno dei massimi esponenti dell’economia ecologica, nonché uno dei fondatori della International Society of Ecological Economics (ISEE), è Robert Costanza, professore all’Institute for Global Prosperity della UCL (University College London), il quale ha lavorato molto per mostrare i rischi insiti nel modello economico-politico capitalista e neoliberista.

Crescita o sviluppo?

Le alternative esistono, ne abbiamo esplorate molte anche all’interno del podcast Ritorno al futuro. Svincolare il progresso e il benessere umani dalla crescita economica ‘a tutti i costi’ non è soltanto un’irraggiungibile utopia, ci ricorda Costanza: «Potremmo prendere spunto dal mondo naturale: gli organismi crescono per un certo periodo di tempo, dopo il quale la crescita si arresta, sebbene gli organismi continuino a svilupparsi e a migliorarsi. Parlare di decrescita o di stato stazionario non mi sembra nulla di irrealistico, dunque. Il problema è che non riusciamo a capire che è proprio questo il percorso che dovremmo seguire.

Il compito primario dell’economia dovrebbe essere l’accrescimento del benessere dell’individuo e della società, ma anche del restante mondo naturale, proprio in ragione del fatto che siamo tutti parte di un unico sistema interconnesso. È proprio questa la principale differenza tra l’economia ecologica, nelle sue varie diramazioni, e l’economia convenzionale: quest’ultima concepisce la sfera dell’economia umana come una realtà isolata, non connessa con il resto della natura. Ciò riflette la visione del mondo generalmente condivisa dalla nostra società, che pone da un lato gli umani e dall’altro la natura, una visione che non ci aiuterà certo a raggiungere una condizione di benessere che sia anche sostenibile. Ecco perché sono convinto che il primo obiettivo sia modificare il nostro modo di vedere il mondo; ed è proprio ciò per cui l’economia ecologica si sta impegnando».

Seppur lentamente, più lentamente – forse – di quanto sarebbe necessario, questo approccio si sta facendo largo. Certo, non tutti riconducono questo cambiamento di visione all’economia ecologica – esistono numerose discipline e movimenti che agiscono in questo alveo, dall’economia del benessere all’economia della ciambella –, ma i principi che animano questa svolta sono condivisi, secondo Costanza. «Finalmente vediamo sorgere iniziative anche in ambito politico: pensiamo alla Wellbeing Economic Alliance, nata in virtù del principio secondo cui per agire in modo efficace bisogna unirsi, non separarsi. All’interno di questa alleanza è poi sorto un sottogruppo istituzionale: si chiama Wellbeing Economy Governments (WEGo) e nasce dall’iniziativa di alcuni governi nazionali – tra questi Scozia, Galles, Nuova Zelanda, Islanda e Canada – che hanno preso l’avanguardistica decisione di provare a portare avanti politiche miranti ad aumentare il benessere collettivo, e non soltanto a sostenere la crescita economica».

Curare la dipendenza

D’altra parte, la ‘messa a terra’ è l’unico passaggio che ancora manca: «Conosciamo il problema, le soluzioni sono moltissime. E allora mi chiedo: per quale motivo non stiamo facendo progressi, cosa ci trattiene? Credo che il problema sia che siamo assuefatti all’attuale sistema economico, ne siamo divenuti dipendenti. Se interpretiamo la nostra resistenza al cambiamento come dipendenza, dobbiamo anche provare a curarla come tale». E, così come una persona affetta da dipendenza non trae beneficio da chi si limita a sottolineare la presenza del problema, allo stesso modo questo non è sufficiente per una società affetta da dipendenza, spiega il professore.

«La domanda, dunque, è: quale terapia potrebbe essere efficace per curare questa dipendenza?». Costanza ha affrontato la questione in un volume nel quale – racconta – ha provato a prendere a modello le terapie utilizzate per curare le dipendenze a livello individuale. «Tra le varie strategie esistenti, ne abbiamo individuata una, chiamata ‘colloquio motivazionale’ (motivational interviewing), che spinge la persona in cura a visualizzare i propri obiettivi di vita, piuttosto che a focalizzarsi sulle difficoltà che deve superare, e ad impegnarsi per provare a raggiungere quegli obiettivi.

L’analogia con la nostra società è abbastanza chiara: dobbiamo provare a individuare una visione condivisa dei nostri obiettivi di vita, di come potrebbe essere un futuro desiderabile e sostenibile per l’umanità».

Se questo è l’obiettivo, a che punto siamo?

«Credo di poter dire che la consapevolezza di essere dipendenti dalla prospettiva economica della ‘crescita a tutti i costi’ sia sempre più diffusa. Proprio questa prospettiva, però, ci sta portando verso il baratro: affrontarla è quindi una sfida difficile e urgente. Ma credo anche che vi sia speranza, perché, una volta soppesate le alternative possibili, le persone tendono a preferire l’idea di mondo che noi proponiamo. In primo luogo, bisogna diffondere nella società una prospettiva condivisa sugli obiettivi che si vogliono raggiungere, e il modo per raggiungerli dovrà poi essere modificato e adattato in corso d’opera, a seconda delle contingenze».

È un processo, lento, che richiede grande sforzo e molto tempo. Ma tutto questo tempo lo abbiamo?

«Credo – afferma il professore – che questo sia il modo in cui le società si sono trasformate, nel corso della storia. Prendiamo il ‘sogno’ di Martin Luther King: fu quel sogno, quella frase, a dare un’incredibile forza propulsiva al movimento per i diritti civili, che per così lungo tempo era rimasto fermo. Secondo il mio modo di vedere, alcuni cambiamenti avvengono non gradualmente, ma quando si raggiunge un punto di non ritorno: a lungo sembra che non accada nulla e poi, d’improvviso, tutto cambia. Quindi, darsi per vinti e perdere la speranza è quanto di peggio possiamo fare: l’unico modo per far sì che le cose cambino è volere che cambino, e lavorare perché tale cambiamento si realizzi».

Stiamo vivendo una “tempesta perfetta” – crisi economica ed energetica, pandemia, guerra, inflazione e cambiamento climatico – e, spesso, le grandi crisi causano spaccature nel tessuto sociale. Viviamo anche in tempi di grande concentrazione del potere, soprattutto in termini di potere economico. Come possiamo superare tali interessi e cercare di rendere la distribuzione del potere meno diseguale?

«A volte, le crisi possono anche essere delle opportunità. In effetti, a volte c'è bisogno di una crisi per scuotere il sistema, in modo da permettere il tipo di trasformazioni di cui stiamo parlando. Un modo per superare gli interessi di pochi potrebbe essere quello di tagliare tutti i sussidi pubblici che alimentano la crescita economica. Si potrebbero escogitare anche altre misure, ma credo che prima di tutto ci vorrà un movimento e una visione comune per iniziare ad attuare questo tipo di politiche, in opposizione ai gruppi di riferimento che ci tengono bloccati nella direzione in cui stiamo andando».

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