Flickr photo by Ryan Somma
Nel 2010, nella provincia cinese del Guizhou, furono ritrovati i resti di un ittiosauro, un rettile marino estinto vissuto circa 250 milioni di anni fa. Ciò che rese interessante questa scoperta fu l’anomalo rigonfiamento sulla pancia, ricco di ossa. Dopo 10 anni di studi, condotti da un gruppo internazionale di ricercatori, si è giunti alla conclusione che questi resti rappresentano la più grande abbuffata della storia, non per le quantità ingerite ma per la grandezza della preda.
Palaeontologists examining the fossil of an ancient sea creature called an ichthyosaur were stunned to find the headless remains of a reptile in its stomach. The find lends weight to the theory that ichthyosaurs were top predators. #ResearchHighlight https://t.co/dojQ3gwjjn
— Nature (@nature) August 27, 2020
L’ittiosauro ritrovato in Cina è lungo quasi cinque metri ed è vissuto circa 230 milioni di anni fa. Si pensava che questi enormi animali marini si nutrissero principalmente di cefalopodi, cioè dei molluschi, ma l’ultimo pasto dell'ittiosauro in questione ci svela un’altra verità: al suo interno, infatti, è stata ritrovata la parte centrale di un talattosauro, un rettile acquatico molto simile, di circa quattro metri. La lotta con un animale di quasi le stesse dimensioni ha portato l’ittiosauro alla morte, dato che i resti ritrovati nella pancia non mostrano segni di digestione avanzata.
Questo scoperta apre una nuova via alla ricerca paleontologica: di che cosa si nutrivano questi enormi rettili marini? Fino a ora, infatti, sono state fatte diverse supposizione, basandosi principalmente sulla confermazione dei denti e delle mascelle. Ma questo è solo uno dei misteri che ruotano intorno all’ittiosauro: la paleontologia moderna ha iniziato da poco a concentrarsi sui fossili di questi animali, sorprendentemente utili per capire quali siano le conseguenze dei cambiamenti climatici sulle specie.
Dettaglio di uno scheletro di ittiosauro conservato al Museo di geologia e paleontologia dell'università di Padova
Come scritto in precedenza, gli ittiosauri si sono estinti milioni di anni fa, durante l’inizio del Cretaceo superiore, ma la loro permanenza sulla Terra è stata notevole, circa 155 milioni di anni. Il primo scheletro completo è stato nel 1811, sulla spiaggia di Lyme Regis in Inghilterra per mano della paleontologa Mary Anning, a cui è stato dedicato un film, Ammonite, che uscirà tra poco nelle sale. La scoperta fu descritta nel primo documento scientifico dedicato agli ittiosauri, uscito nel 1814, anche se i dubbi erano ancora molti per quanto riguarda la classificazione di questo animale. Il termine ittiosauro venne coniato quattro anni dopo dal paleontologo Charles Konig, prendendo come spunto il termine greco ichthys, ovvero pesce.
Una caricatura realizzata dal geologo inglese Henry Thomas de la Beche nel 1830
Durante tutto l’Ottocento sono stati ritrovati diversi resti di ittiosauro in giro per il mondo, dall’Australia alla Germania, dagli Stati Uniti alla Norvegia: sono stata scoperte e poi registrate circa 80 specie diverse, dimostrando così il dominio sui mari di questo animale. Con il Novecento si iniziò a delineare le caratteristiche degli ittiosauri, scoprendo anche la loro importanza sul piano evoluzionistico e accrescendo la loro popolarità nella paleontologia. Il primo in ordine cronologico è Friederich von Huene che dedicò numerosi articoli di fossili sia in Germania, suo paese d’origine, sia in altri stati, in particolare nel Nord America.
Dopo un calo di interesse avvenuto tra gli anni Trenta e Settanta del secolo scorso, anche a causa dei rari ritrovamenti, la ricerca sugli ittiosauri iniziò a porsi sempre più domande intorno alle origini e allo sviluppo di questi animali, grazie anche alle scoperte del paleontologo Christopher McGowan. Concentrandosi sui crani, McGowan scoprì che il cervello degli ittiosauri era molto più grande rispetto quello dei rettili, con un cervelletto particolarmente sviluppato che gli permise di avere dei movimenti del corpo altamente coordinati. Tuttavia notò che una componente dell’apparato uditivo, la lagena, non era molto sviluppata, facendo ipotizzare così che gli ittiosauri non avessero un udito sensibile. Negli anni Novanta si iniziò a discutere sulle possibili cause dell'estinzione: Nathalie Bardet del Museo di storia naturale di Parigi ha ipotizzato che la scomparsa di numerose specie di cefalopodi abbia portato a privare gli ittiosauri della loro fonte primaria di cibo
Dal libro "Reptiles, amphibia, fishes and lower chordata", Londra, 1912
Negli anni Duemila si aggiunsero tra le 20 e le 30 specie di ittiosauro ma le scoperte più stimolanti sono state fatte sulla loro anatomia. Ryosuke Montani, paleontologo e professore dell’università della California ha studiando la loro idrodinamica, confrontando i corpi degli ittiosauri con quelli degli animali marini moderni come i tonni, i delfini e gli squali. Lo sviluppo delle pinne, soprattutto quella caudale simili ai tonni, è avvenuto per consentire viaggi di grandi dimensioni. Mentre le ricerche relative all’apparato visivo di alcune specie di questi rettili antichi hanno dimostrato che gli occhi di grandi dimensioni erano utili per cacciare piccole prede a grandi profondità e per l’interazione tra loro.
Dal libro "The chordates", Philadelphia, 1950
Alla luce di questi accenni, alla ricerca sugli ittiosauri si aggiungono anche le esplorazioni sulla relazione tra l’estinzione di questi rettili marini e i cambiamenti climatici, descritte in uno studio pubblicato su Nature Communication nel 2016. Come raccontano le rocce di tutto il mondo, circa 90 milioni di anni fa ci fu un cambiamento climatico che aumentò la temperatura e i livelli dei mari: secondo i ricercatori, questa non è la causa diretta della scomparsa degli ittiosauri ma bensì le conseguenze ambientali legate a questo come la disponibilità di cibo, la presenza di nuovi specie concorrenti e le nuove rotte migratorie. Pur essendo gli ittiosauri presenti in abbondanza nell’ambiente marino, la loro estinzione fu supportata anche da un rallentamento dell’evoluzione, iniziato all’incirca 100 milioni di anni fa, che non permise loro di “rimanere al passo” con l’instabilità ambientale.
La lotta contro il cambiamento climatico ha bisogno oggi di un’azione concreta nel minor tempo possibile e la ricerca paleontologica mette in luce proprio questo aspetto: tutti i grandi eventi climatici del passato hanno portato non solo a un mutamento degli ecosistemi ma anche alla scomparsa di specie che non riescono ad adattarsi a questo.