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In Salute. Allergia al polline: come "sopravvivere" alla bella stagione

Dopo mesi di freddo invernale, la stagione primaverile ed estiva è attesa con impazienza dai molti che al calore del caminetto e allo sci in montagna preferiscono le gite al mare o le scampagnate sui colli. Non tutti però sono, probabilmente, dello stesso avviso: con la bella stagione, infatti, inizia per molti il periodo dell’allergia al polline che rende gli alberi in fiore un’immagine tutt’altro che bucolica.

Stando ai dati dell’Annuario statistico italiano 2020 dell’Istat, le malattie allergiche si collocano ai primi posti tra le patologie croniche più diffuse, dopo ipertensione e artrosi/artite, e le pollinosi, nello specifico, colpiscono circa una persona su quattro.

Le allergie sono determinate da una eccessiva risposta del sistema immunitario agli allergeni, sostanze estranee di vario tipo – da ingestione, inalazione o puntura – come polvere, muffe, alimenti, acari o pollini. In un soggetto allergico l’esposizione al polline, in particolare, determina la produzione di immunoglobuline E (IgE) che agiscono su particolari tipi di cellule immunitarie dette mastociti, inducendo la produzione di sostanze irritanti come le istamine, causa di infiammazione dei tessuti e delle mucose. L’allergia al polline è una reazione determinata da diversi fattori, di tipo immunitario, ambientale e in alcuni casi anche genetico, e ha una certa stagionalità che dipende dal ciclo della pianta a cui il soggetto è sensibile. “Il mese di marzo – spiega Gianenrico Senna, presidente della Società Italiana di Allergologia, asma e immunologia clinica (Siaaic) con cui Il Bo Live ha approfondito l’argomento – è il periodo della pollinazione del cipresso e, fra un po’, delle betulle e del nocciolo. Le graminacee, in pianura padana, sono l’allergene principale, ma non si deve dimenticare nemmeno la presenza di parietarie, specie in alcune zone del veronese, nella zona del lago di Garda. Ci sono anche gli olivi che, tuttavia, hanno una fioritura abbastanza ridotta di due, tre settimane e non è così rilevante. Va detto, invece, che le specie ornamentali (come la rosa) non danno problemi di pollinosi”.  

Intervista completa a Gianenrico Senna, presidente della Società italiana di allergologia, asma ed immunologia clinica. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Barbara Paknazar

Nelle persone allergiche il polline causa problemi che interessano l’apparato respiratorio e si manifestano con riniti allergiche (dette raffreddore da fieno) e nei casi più gravi anche con attacchi d’asma. I sintomi (starnutazione, ostruzione nasale) sono molto simili a quelli di una normale rinite, ma nel caso di allergia al polline possono essere interessati anche gli occhi, con forme di congiuntivite, e può manifestarsi vellichio tracheale, prurito in gola. “Ciò che fa la differenza è il momento in cui tutto questo accade, dato che i sintomi hanno una stagionalità ben precisa legata al tipo di polline a cui il soggetto è sensibilizzato. A differenza di una comune rinite, in questi casi il periodo è piuttosto prolungato e si ripete sempre nell’anno”. Una persona con rinite allergica, aggiunge Senna, dovrà essere indagata anche a livello bronchiale, valutando una spirometria laddove il quadro clinico lo richieda. “I primi sintomi possono insorgere molto presto, anche a cinque, sei anni – sottolinea il docente –, ma pure le persone anziane non sono esenti da rinite allergica. La grande maggioranza dei pazienti è giovane, sono ragazzi o bambini, ma non è impossibile diventare allergici in età adulta o anziana”.

E, soffermandosi ancora sui sintomi, Senna osserva che l’ostruzione nasale, pur essendo una manifestazione meno “clamorosa” della starnutazione, provoca conseguenze di cui si deve tener conto. “Chi ha ostruzione nasale sicuramente dorme otto ore, ma di queste tre sono destrutturate. È, quindi, un sonno che non rigenera, e se questo fenomeno lo vediamo proiettato su più di un mese, cioè la durata della stagione pollinica, ci si rende conto della ragione per cui una persona con ostruzione nasale dovuta a rinite allergica renda molto meno sul lavoro e nell’attività scolastica, laddove si tratti di uno studente”. È una patologia prevalentemente del giovane e dell’adulto, dunque di persone che hanno una vita attiva, e questo aspetto si può rivelare un problema nel momento in cui, per esempio, una persona debba mettersi alla guida: pur non essendo una malattia grave, infatti, la rinite allergica è estremamente frequente dato che ne soffre circa il 25% della popolazione.

Per il trattamento dell’allergia al polline esiste innanzitutto la terapia farmacologica: Senna spiega che gli antistaminici sono medicinali estremamente sicuri, perché danno meno sedazione rispetto a un tempo e hanno la capacità di agire molto rapidamente: non serve, pertanto, iniziare il trattamento con antistaminici mesi prima, ma ai primi sintomi. Sono un’ottima terapia, dunque, sebbene non siano in grado di curare l’ostruzione nasale, caso in cui l’antistaminico va affiancato ai cortisonici per via inalatoria. “Questo tipo di terapia deve essere seguito anche dalle donne gravide – sottolinea il docente –. In gravidanza molte volte c’è un rifiuto del farmaco per timore che possa creare dei danni al bambino, ma sia l’antistaminico che il cortisonico locale non solo possono, ma devono essere assunti, perché in gravidanza una rinite allergica non controllata può dare notevoli problemi”.

Accanto alla terapia farmacologica, esiste poi la possibilità di trattare il problema con l’immunoterapia che prevede l’assunzione di capsule sublinguali comodamente a domicilio (a differenza di un tempo). “La logica è molto semplice: nel periodo autunnale, invernale, queste capsule che contengono l’allergene, abituano il sistema immunitario, creano una ‘tolleranza’, per cui nel momento in cui in primavera compare il polline, il soggetto tende a essere meno reattivo. Questo tipo di andamento si fortifica negli anni, quindi un trattamento che dura tre, quattro anni riduce in modo significativo la sensibilità del soggetto. La persona ha ancora qualche sintomo, ma lo gestisce molto bene con l’antistaminico e il periodo in cui ha i sintomi si riduce in modo drastico”.  

È possibile ridurre il rischio di sviluppare allergie? “La prevenzione antiallergica non è così semplice e presupporrebbe un cambio nel tipo di vita che conduciamo, dato che l’allergia è molto legata alla cultura occidentale. È l’espressione del fatto che il nostro sistema immunitario è per certi aspetti meno sollecitato, in senso soprattutto infettivologico, e dunque è più facile avere un tipo di risposta che determina la produzione di IgE, dando luogo poi all’allergia”. Oggi i nuclei familiari sono composti da poche persone, i bambini vengono vaccinati e questo determina per l’appunto un minor carico infettivologico, senza contare fattori ambientali come l’inquinamento che possono avere un peso. Può essere utile arieggiare l’ambiente ed evitare l’accumulo di acari negli arredi, sottolinea il docente, sebbene si tratti di accorgimenti che – pur riducendo un po’ il rischio – non possono comunque prevenire l’allergia.

Ciò su cui Senna pone l’accento, infine, è l’influenza che i cambiamenti climatici hanno avuto sulla stagione pollinica: “Oggi abbiamo stagioni del polline che durano di più e più intense”. Ragione per cui il paziente deve utilizzare i farmaci per periodi più lunghi. “Inoltre rispetto al passato sono più numerosi i soggetti cosiddetti polisensibili, allergici cioè non solo a una specie pollinica, ma a due o tre: ciò significa che i periodi di impollinazione si sommano e dunque il periodo in cui una persona sta male è molto più lungo rispetto a chi invece è sensibile a una sola specie”.

A causa delle alterazioni nella temperatura provocate dai cambiamenti climatici il periodo associato alle manifestazioni allergiche inizia, dunque, prima ogni anno: le fioriture sono anticipate e i crescenti livelli di anidride carbonica in atmosfera provocano la produzione di più polline. Gli effetti del cambiamento climatico sulle allergie respiratorie sono tuttora in fase di studio. Indagini epidemiologiche hanno dimostrato che l'urbanizzazione, gli elevati livelli di emissioni dei veicoli e lo stile di vita occidentale sarebbero correlati a una maggiore frequenza di questo tipo di patologie prevalentemente nelle persone che vivono nelle aree urbane rispetto a chi vive in quelle rurali. E i fattori climatici, come la temperatura, la velocità del vento, l’umidità o i temporali, possono avere un peso.

Per tali ragioni sono nate nuove discipline, come l’aerobiologia o la bioclimatologia, che studiano l’interazione tra i fattori ambientali – nel caso specifico la produzione e diffusioni dei pollini – e lo sviluppo di malattie come il raffreddore da fieno. Grazie ai centri di monitoraggio posti in tutta Italia, sono disponibili bollettini pollinici, utili a valutare la quantità di polline che può concentrarsi in una determinata settimana, e calendari pollinici che indicano invece il periodo di fioritura dei diversi alberi e piante nel corso dell’anno.   

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