MONDO SALUTE
In Salute. Il dolore silenzioso della vulvodinia. Conoscerlo per curarlo
Un bruciore forte e inspiegabile. Un fastidio intenso, cronico e, fin troppo spesso, segreto.
La vulvodinia è una patologia vulvare caratterizzata dall’infiammazione delle terminazioni nervose nella zona corrispondente all’ingresso della cavità vaginale. Nonostante questo disturbo sia molto diffuso tra la popolazione femminile – colpisce infatti circa una donna su sette – è ancora oggi sottodiagnosticato e poco conosciuto.
Negli ultimi anni sono state organizzate numerose campagne di sensibilizzazione per aumentare la consapevolezza riguardo all’esistenza di questa malattia e al grosso impatto negativo che può avere sulla vita personale e affettiva delle donne, nonché sul loro benessere sessuale.
Per questo motivo, il 3 maggio è stata presentata alla Camera una proposta di legge per il riconoscimento della vulvodinia e della neuropatia del pudendo nei LEA (i Livelli essenziali di assistenza del Servizio sanitario nazionale) formulata a partire dalle istanze raccolte dal Comitato Vulvodinia e Neuropatia del pudendo, che comprende le principali associazioni che in Italia si occupano di promuovere la ricerca scientifica e la diffusione di informazioni relative a queste due malattie.
In questo episodio di In Salute abbiamo parlato di vulvodinia con il ginecologo Filippo Murina, professore all’università di Milano “La Statale” e direttore scientifico dell’Associazione Italiana Vulvodinia, nata nel 2006 con lo scopo di promuovere lo studio e la comprensione di questa malattia, sensibilizzare l’opinione pubblica a riguardo e offrire supporto alle donne che ne soffrono.
“La vulvodinia è una condizione caratterizzata da una sintomatologia di bruciore e dolore a livello dei genitali esterni e della regione vulvare che si manifesta soprattutto durante i rapporti sessuali”, spiega il professor Murina. “In circa l’80% dei casi, il fastidio è localizzato all'ingresso della vagina, in una zona chiamata vestibolo vaginale, in cui è presente la muscolatura più profonda del pavimento pelvico. Le fitte di dolore che caratterizzano la vulvodinia – che solitamente vengono descritte dalle pazienti come la sensazione di essere punte da uno spillo o di ospitare un corpo estraneo – possono anche manifestarsi unicamente durante la penetrazione (un sintomo che viene definito dispareunia)”.
Le cause di questa malattia, ancora in parte sconosciute, sono tutt’ora oggetto di studio. Il lavoro del professor Murina e del suo gruppo di ricerca è al momento quello di individuare e classificare i diversi meccanismi fisiopatologici associati alla malattia al fine di impostare approcci terapeutici diversificati in base alla situazione clinica delle singole pazienti, per definire percorsi di cura personalizzati.
“Nel corso degli anni è aumentata la nostra comprensione della malattia e delle modalità con cui si manifesta”, racconta Murina. “Sappiamo, ad esempio, che molte donne con questo problema fanno fatica a contrarre in modo adeguato i muscoli, hanno una storia di infezioni vulvovaginali ripetute, oppure presentano alcune problematiche caratterizzate da alterazioni ormonali. In sintesi, sappiamo che nelle pazienti con vulvodinia, gli stimoli applicati alla regione del vestibolo vaginale causano un’infiammazione delle terminazioni nervose che tende ad alterare la percezione del dolore. In altre parole, la paziente non riesce a distinguere tra una sensazione di pressione e una di bruciore, per cui anche uno stimolo solitamente non doloroso diventa causa di sofferenza”.
L'intervista al professor Murina. Montaggio di Barbara Paknazar
La buona notizia è che dalla vulvodinia si può guarire. “Esistono numerose cure”, conferma il professor Murina. “Oggi è possibile trattare efficacemente questa patologia, purché venga diagnosticata il più precocemente possibile. Al percorso di cura possono concorrere diverse figure oltre agli specialisti in ginecologia e ostetricia. Talvolta si rende necessario l’intervento di un fisioterapista che si occupi della rieducazione del pavimento pelvico, dell’urologo, nel caso in cui si manifestino anche delle difficoltà di tipo urinario, oppure del gastroenterologo, poiché spesso la vulvodinia è associata alla sindrome del colon irritabile. Grazie all’adozione di un approccio terapeutico multimodale e multidisciplinare è possibile, nella stragrande maggioranza dei casi, risolvere il problema in modo pressoché definitivo”.
Al contrario, una vulvodinia non curata può essere invalidante e compromettere la vita quotidiana, lavorativa, personale e relazionale. “In alcuni casi, le donne che soffrono di questa malattia possono avere addirittura difficoltà ad accavallare le gambe, indossare indumenti stretti o restare sedute per molto tempo”, avverte Murina. “Inoltre, questa condizione può anche compromettere il rapporto di coppia. Infatti, chi soffre di vulvodinia non sperimenta quell’associazione tra atto sessuale e piacere che è fondamentale per il benessere sessuale di ogni persona. Al contrario, le donne con questo disturbo possono entrare in uno stato di ansia anticipatoria e, a volte, persino mettere in atto meccanismi di evitamento”.
Qual è allora il motivo per cui una patologia così diffusa e in grado di compromettere diversi aspetti della vita di una donna è rimasta per molto tempo poco conosciuta non solo da parte della popolazione, ma anche dei professionisti sanitari? “La vulvodinia è stata descritta per la prima volta nell’Ottocento e dagli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso è stata definita in modo più standardizzato”, racconta Murina. “Eppure, dopo quel momento, è mancato un impegno serio nella diffusione delle conoscenze a riguardo. Oggi, il problema principale è che questa patologia è scarsamente conosciuta da parte dei professionisti sanitari, pochi dei quali sono in grado di gestirla in modo adeguato e di giungere a una diagnosi in tempi brevi.
Paradossalmente, il motivo per cui negli ultimi anni i tempi necessari a ottenere una diagnosi si sono ridotti notevolmente non è dovuto a una maggiore competenza diffusa tra i professionisti, bensì a una più ampia consapevolezza da parte della popolazione femminile riguardo all’esistenza di questa malattia. Infatti, grazie a una maggiore sensibilizzazione su questo tema diffusa dalle campagne social e mediatiche organizzate nel corso degli ultimi anni, molte donne giungono alla diagnosi quasi in maniera autonoma.
Questo rappresenta senza dubbio una sconfitta per il sistema sanitario, perché evidenzia una lacuna di competenze importante che ancora induce molti specialisti a ricondurre erroneamente a una causa puramente psicologica una malattia che invece ha una solida base organica”.
Per questo motivo, l’AIV non si occupa solamente di sensibilizzare l’opinione pubblica, ma è anche impegnata attivamente per promuovere la ricerca medica e migliorare la formazione degli operatori sanitari. Il dottor Murina ha partecipato in prima persona alla composizione della proposta di legge per l’inserimento della vulvodinia nei LEA.
“L’eventuale approvazione della proposta si tradurrebbe, in pratica, nella possibilità per le pazienti affette da vulvodinia di ottenere delle esenzioni per il pagamento delle visite mediche o delle valutazioni diagnostiche”, chiarisce Murina. “Ma non solo. La nostra istanza comprende la predisposizione di un registro nazionale per monitorare l’incidenza della malattia in Italia nel corso del tempo, la composizione di linee guida ministeriali che delineino un percorso formativo da seguire per gli specialisti che vogliono imparare a gestire la patologia, l'implementazione di strutture pubbliche e centri di eccellenza per la cura della malattia equamente distribuiti sul territorio nazionale, e il supporto economico alla ricerca.
Si tratta senza dubbio di un progetto fortemente ambizioso se non, per alcuni aspetti, utopico. Ciò nonostante, la presentazione della proposta rappresenta un primo passo importante verso un’adeguata gestione della malattia da parte del sistema sanitario nazionale. Questo gesto è riuscito inoltre a sensibilizzare una fascia importante dell’opinione pubblica e a rivolgere l’attenzione verso questa malattia per troppo tempo rimasta negletta e oscura”.