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In Salute in movimento. Perché parlare di medicina dello sport di genere

La medicina dello sport di genere è una branca della medicina dello sport che tiene conto delle differenze fisiche e biologiche tra uomini e donne e di come alcuni aspetti peculiari che contraddistinguono ognuno dei due sessi biologici, come ad esempio le caratteristiche metaboliche e biomeccaniche, siano rilevanti sia per la protezione della salute di atleti e atlete, sia per il miglioramento del loro rendimento sportivo.

Esistono infatti alcuni infortuni associati all’attività sportiva che colpiscono prevalentemente le atlete rispetto agli atleti (come, ad esempio, il trauma cranico); inoltre, le donne che fanno sport a livello agonistico corrono un rischio più alto di sviluppare un disturbo chiamato Relative energy deficiency in sport (RED-S), un tempo noto come “triade dell’atleta donna”.

“In questi ultimi anni l’attenzione verso la diversità dei fisici maschili e femminili è in aumento anche a causa del crescente interesse da parte dei tifosi e degli sponsor verso gli sport femminili e i risultati agonistici raggiunti dalle donne”, riflette Francesca Conte, medico dello sport della prima squadra femminile dell’AC Milan. “Proprio a causa di questo maggiore interesse commerciale e di un investimento più elevato negli sport femminili sia di squadra, in primis il calcio, sia individuali, oggi vengono svolte numerose ricerche mirate a indagare e prevenire le patologie e gli infortuni tipicamente femminili associati all’attività sportiva”.

Tra gli infortuni che interessano più di frequente le donne rispetto agli uomini, Conte cita innanzitutto il danno al legamento crociato anteriore del ginocchio, tipico degli sport di squadra e di contatto come la pallacanestro, il calcio e la pallamano. “Questo tipo di infortunio impedisce a un atleta di praticare attività sportiva per un periodo che va solitamente dai 6 ai 9 mesi ed è tra le tre e le quattro volte più frequente nelle donne rispetto agli uomini soprattutto per motivi di tipo biomeccanico”, spiega la dottoressa. “Il bacino delle donne, infatti, ha una conformazione diversa rispetto a quello degli uomini; quindi, tra il bacino e il femore si crea un angolo che porta il ginocchio in una posizione particolarmente vulnerabile a questo tipo di incidente. Un altro infortunio tipicamente femminile che interessa il ginocchio è la sindrome femoro-rotulea, che colpisce l’articolazione tra il femore e la rotula”.

L'intervista alla dottoressa Francesca Conte. Montaggio di Barbara Paknazar

“Alcuni studi condotti nell’ultimo periodo hanno inoltre dimostrato che anche il rischio di trauma cranico è maggiore per le atlete di sesso femminile, specialmente tra le calciatrici e le rugbiste, sia durante le partite sia, soprattutto, negli allenamenti”, prosegue Conte. “Tali infortuni non solo sono più frequenti tra le donne, ma causano in queste ultime anche sintomi più invalidanti. Naturalmente, queste stime potrebbero anche riflettere una più scarsa attenzione da parte degli uomini verso questo tipo di traumi, oppure una maggiore tendenza delle donne a riferire tali eventi al proprio medico. Ma l’incidenza prettamente femminile di questo infortunio è probabilmente dovuta a una diversa quantità di massa muscolare nel collo di uomini e donne, le quali generalmente hanno un fisico più minuto rispetto a quello degli uomini. Negli ultimi tempi, queste differenze sono sempre più oggetto di approfondimento nelle ricerche mediche mirate a prevenire e limitare questo tipo di infortuni".

Come segnala la dottoressa Conte, c’è anche da considerare che, almeno fino a qualche anno fa, i percorsi di allenamento e di preparazione atletica rivolti alle atlete che praticavano uno sport di squadra non erano paragonabili, dal punto di vista della qualità, a quelli organizzati per gli atleti di sesso maschile, specialmente a livello preagonistico. Il motivo è soprattutto di tipo economico: negli sport di squadra femminili venivano infatti investiti molti meno fondi. Negli ultimi tempi, per fortuna, questa situazione sta cambiando: oggi è molto più sentita la necessità di allenare anche le atlete donne in maniera corretta fin da giovani, affiancandole a tecnici qualificati e preparati.

Per gli atleti e le atlete è particolarmente importante una prevenzione mirata e genere-specifica durante gli allenamenti e le visite mediche nonostante, come spiega Conte, la legge nel nostro paese non preveda controlli sanitari diversificati a seconda del sesso biologico.

“In Italia, l’iter medico per accertare l’idoneità all’attività sportiva agonistica è regolato da un decreto in vigore dal 1982 che non fa riferimento alle differenze di genere”, specifica Conte. “La visita medico-sportiva per l’attività agonistica, quindi, avviene nello stesso modo per uomini e donne, con la differenza che per queste ultime è previsto anche un controllo ginecologico per verificare, ad esempio, la regolarità del ciclo mestruale oppure accertare la salute dell’atleta nella fase post-gravidanza.

Nonostante la legge non preveda visite mediche diversificate per atleti e atlete, nelle squadre sportive femminili vengono svolti come consuetudine alcuni controlli specifici per evitare l’insorgenza di un disturbo tipicamente femminile che un tempo era noto come “triade dell'atleta donna” e che nel 2018 è stato rinominato da parte del Comitato olimpico internazionale come Relative energy deficiency in sport (RED-S), perché può manifestarsi, seppur più raramente, anche negli uomini.

La RED-S è una condizione caratterizzata da problemi del metabolismo osseo che possono causare osteoporosi e osteopenia, irregolarità del ciclo mestruale come, ad esempio, l’amenorrea (l’assenza delle mestruazioni, ndr) e disturbi alimentari causati da un’alimentazione insufficiente per il consumo energetico. Questa sindrome è tipica degli sport in cui l’atleta deve mantenere stabile il peso, come la ginnastica, la danza o gli sport di combattimento, dove si gareggia per categoria di peso. Non è detto che tale condizione sia la conseguenza di un disturbo alimentare. A volte, infatti, essa si manifesta negli atleti che mangiano troppo poco rispetto a quello che bruciano durante gli allenamenti. Questo succede soprattutto negli adolescenti, i quali attraversano un picco di crescita e, nonostante seguano una dieta apparentemente equilibrata per la loro età, ciò che mangiano non riesce a soddisfare il loro bisogno energetico perché devono affrontare degli sforzi fisici molto più intensi rispetto ai loro coetanei.

La RED-S può avere conseguenze molto gravi per la salute, specialmente per quella delle donne, perché rende le loro ossa molto più vulnerabili al rischio di osteoporosi e infortuni associati alle fratture da stress. Un’alimentazione adeguata rappresenta una priorità anche per la salute degli atleti maschi, ma va controllata con un’attenzione ancora maggiore nelle atlete di sesso femminile, soprattutto durante l’adolescenza”.

Non si usa invece fare distinzioni di genere nella definizione dei trattamenti terapeutici e dei percorsi di riabilitazione. Come sottolinea Conte, “la letteratura sull’argomento è ancora basata quasi totalmente sui dati clinici raccolti dai professionisti maschi. Generalmente, quindi, i programmi di recupero dagli infortuni non sono standardizzati per genere; tuttavia, essi vengono comunque strutturati a seconda del tipo di sport praticato e individualizzati sulla base delle esigenze del singolo paziente. Infatti, non dobbiamo dimenticare che ogni persona è unica e che anche atleti dello stesso sesso possono sperimentare diversi tempi e modalità di recupero per lo stesso tipo di infortunio”.

Infine, la dottoressa Conte ci tiene a sottolineare che oggi l’attenzione per le differenze fisiche e biologiche che caratterizzano i due sessi non è aumentata solo tra gli specialisti in medicina dello sport, ma anche tra le atlete stesse, che negli ultimi tempi sono diventate molto più consapevoli riguardo al problema delle discriminazioni di genere nello sport.

“Le donne che praticano sport agonistico fanno la stessa fatica degli atleti uomini, se non di più, senza ricevere lo stesso stipendio né la stessa visibilità”, riflette Conte. “Per fortuna la situazione sta lentamente cambiando: le atlete sono diventate molto più consapevoli ed esigono, giustamente, lo stesso tipo di supporto medico, tecnico e sportivo che ricevono i loro colleghi uomini”.

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