MONDO SALUTE

In Salute. Talassemia, un'anemia (quasi) sotto controllo

Più nota con il nome di anemia mediterranea, la talassemia è una malattia genetica del sangue; Il termine talassemia racchiude una serie di diverse manifestazioni cliniche che però hanno dei tratti comuni, cioè l’essere una forma ereditaria di anemia, dovuta da un difetto genetico di una componente dell’emoglobina, le cosiddette catene polipeptidiche o globiniche (alfa o beta). L’emoglobina è quella proteina, a forma di globo, situata all'interno dei globuli rossi, contenente una molecola di ferro, che si lega con l'ossigeno e ne consente il trasporto in tutto il corpo. Quando l’organismo produce un numero ridotto di questa componente dell'emoglobina, o non produce affatto, consegue un’anemia che, nei casi più gravi, è incompatibile con la vita e può richiedere un intervento terapeutico con le trasfusioni. Le forme sono due: Alfa talassemia si presenta quando il difetto genetico interessa la produzione delle globuline alfa, Beta talassemia quando invece interessa le catene beta.

In Italia, spiega la professoressa Maria Domenica Cappellini, docente di Medicina interna dell’università degli studi di Milano e responsabile del Centro malattie rare della Fondazione IRCCS Ca’ Granda, la talassemia più diffusa è di tipo Beta, nel resto del mondo dipende dalla zone che vengono prese in considerazione. Nel sud-est asiatico, per esempio, sono più frequenti le forme Alfa, in Medio Oriente invece le Beta. In Italia c’è una prevalenza di Beta Talassemia, con concentrazioni in Sardegna, Sicilia, lungo le zone costiere e nel delta padano. La produzione delle beta globuline è regolata a livello genetico da due geni, quindi per ammalarsi di talassemia in modo grave è necessario che ciascun genitore sia portatore di un difetto beta talassemico. Le alfa globuline, invece, sono controllate da quattro geni, quindi per avere un quadro clinico rilevante è necessario che siano presenti almeno tre geni alfa difettosi. Dal punto di vista delle probabilità, quindi, è più difficile che si verifichino situazioni di questo genere. “Trattandosi di un difetto autosomico recessivo” spiega la professoressa Cappellini, “avere un solo gene che non funziona correttamente non comporta un grande impatto clinico, si è portatori, addirittura si dice portatori sani, e si ha una modestissima anemia. Per avere un soggetto malato è necessario che si incontrino due soggetti portatori”.

Intervista alla professoressa Maria Domenica Cappellini, responsabile del Centro malattie rare della Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Milano - Servizio di Elisa Speronello

Essendo una malattia ereditaria, i sintomi della talassemia si manifestano fin dalla nascita nella sua forma grave. Per esempio il neonato può presentare alcuni segni, come essere molto pallido, defedato, deperito, ma anche presentare una milza con un volume aumentato. Solitamente la diagnosi viene fatta dai pediatri entro qualche settimana dalla nascita. Le forme che non sono gravi, ma nemmeno lievi come quelle dei portatori sani, definite appunto “intermedie”, possono essere diagnosticate un po’ più tardi, anche dopo il secondo anno di vita, quando i bambini manifestano dei sintomi. Per esempio possono essere più stanchi dei coetanei, essere meno vivaci, e da questi segnali partono delle indagini strumentali che poi portano alla diagnosi. “Naturalmente” afferma la professoressa “quanto più precoce è la diagnosi, meglio è perché si può intervenire”. 

Per identificare un portatore sano è sufficiente un esame emocromocitometrico, più conosciuto come un comune esame del sangue, che riporta il numero e il volume dei globuli rossi, il livello di emoglobina, e una serie di parametri che possono mettere in campanello d’allarme anche al medico di base. Quando c’è un sospetto si può completare l’indagine con un’analisi delle diverse frazioni di emoglobina. “Solitamente” spiega la Cappellini, “c’è una frazione A2 che aumenta un pochino e diventa l’elemento diagnostico”. Questi soggetti, spiega la professoressa, che sono portatori sani e non presentano quindi i classici sintomi delle forme gravi di talassemia, vanno correttamente informati sulla malattia, e sensibilizzati sulla trasmissione dei difetto talassemico alla prole

Ai portatori sani può essere talvolta prescritta un’integrazione di acido folico in alcuni periodi dell’anno, mentre le terapie per i soggetti malati sono varie e vanno valutate a seconda della gravità. “Il neonato malato” precisa la professoressa Cappellini “ va affidato a un centro pediatrico e poi trasferito nel corso degli anni in un centro per adulti dove ci si occupa di questo tipo di anemia, e dove verrà trattato adeguatamente. Fino a poco tempo fa la terapia convenzionale era la trasfusione di sangue”. La trasfusione è stata introdotta negli anni Settanta, ma successivamente si è capito che il grande numero di trasfusioni portava un altro problema, cioè l’accumulo di ferro. Infatti il normale ciclo di vita di un globulo rosso in un organismo sano prevede il riutilizzo delle molecole di ferro per produrre nuove emoglobine, quindi nuovi globuli rossi, ma in un soggetto malato che non è in grado di produrli autonomamente il ferro rimane accumulato nel fegato, nel cuore, ed entra in circolo. Quindi in questi casi è necessaria l’introduzione di un altro farmaco, un chelante, che permetta di eliminarlo tramite le urine. Questa è la terapia standard, da seguire per tutta la vita. Successivamente è stato sperimentato il trapianto di midollo, di cellule staminali emopoietiche provenienti da un donatore compatibile. Il primo fu fatto negli anni Ottanta, portando con sé molte polemiche dovute ai rischi della procedura, ma ebbe successo e oggi il trapianto viene praticato. “Inizialmente ci sono state molte perdite dovute all’ablazione del midollo” spiega la professoressa, “via via si è raffinata la tecnica con dei risultati soddisfacenti; una considerazione però va fatta: la probabilità di attecchimento e quindi di sopravvivenza libera da rigetto si ottengono nei pazienti che hanno meno di 14 anni e che vengono trapiantati con un donatore che abbia HLA identico, cioè un fratello sano. Vengono fatti anche dei trapianti con HLA non identico, però i risultati sono un po’ meno promettenti". Il trapianto di cellule staminali è in grado di guarire permanentemente il paziente.

Molto promettente è anche lo scenario legato alle prospettive terapeutiche future. La terapia genica, nota anche come Crispr Cas9, è progettata per aggiungere copie funzionali di una forma modificata del gene della beta-globulina nelle cellule staminali ematopoietiche del malato stesso. Le cellule staminali vengono prelevate dal paziente e reimpiantate, come avviene in un trapianto di midollo, dopo essere state editate. Questo permette di eliminare la figura del donatore. Una volta introdotto il gene modificato il paziente è in grado di produrre un’emoglobina in quantità tali da ridurre o eliminare le trasfusioni.

“Un grosso successo, oserei dire”, afferma la professoressa Cappellini “è stata la scoperta un farmaco, avvenuta quasi per caso, che si chiama Luspatercept, da poco approvato dall’Ema e dall’Aifa, che corregge o riduce l’eritropoiesi inefficace”. La molecola consente la produzione di globuli rossi maturi e permette la riduzione del bisogna trasfusionale, con evidenti ripercussioni positive sulla qualità della vita dei pazienti e dell'alleggerimento dei centri trasfusionali.

In passato questa malattia ha avuto una selezione naturale in rapporto alla malaria. I portatori del difetto talassemico sopravvivono meglio dei soggetti normali Maria Domenica Cappellini

Nonostante la talassemia sia considerata una malattia rara, il 7% della popolazione mondiale è portatore di un difetto talassemico. In Italia circa il 23% della popolazione è portatrice e “da un censimento recente svolto dalla Società italiana per lo studio delle emoglobinopatie risulta che ci sono circa 7 mila soggetti malati” afferma la professoressa. Inoltre in passato questa forma di anemia ha avuto una selezione naturale in rapporto alla malaria, ossia nelle zone malariche, caratterizzate da un clima umido e dalla presenza di paludi, i soggetti che sono portatori del difetto talassemico sono sopravvissuti alla malattia meglio dei soggetti normali, perché il plasmodium della malaria si replica proprio nei globuli rossi. Nei portatori del difetto talassemico i globuli rossi sono pochi o sofferenti, quindi non forniscono un buon ambiente per la replicazione del parassita e di conseguenza sopravvivono. Questo spiega perché in alcune parti del mondo, in Italia in Sardegna, lungo le coste del Sud Italia e nel delta del Po, la concentrazione di soggetti portatori è stata spiccata in passato. In tempi più recenti, con le migrazioni e la facilità di movimento delle popolazioni, le concentrazioni in queste zone malariche si sono attenuate. Il difetto talassemico ha però continuato a circolare ed è frequente che persone con genitori, o avi, originari delle zone malariche ne siano malate o portatrici sane.

Nel caso della talassemia di tipo Beta, se entrambi i genitori sono portatori sani, ci sono il 25% di possibilità che ogni loro figlio non erediti i geni difettosi, non abbia la talassemia e non possa trasmetterla. C’è la stessa possibilità, ovvero 1 su 4, che ogni loro figlio erediti entrambe le copie del gene difettoso e nasca quindi con una talassemia di tipo grave. Infine i genitori hanno il 50% di possibilità che ogni loro figlio erediti una sola copia del gene difettoso e quindi sia a sua volta un portatore sano. Per quanto riguarda l’Alfa talassemia, i figli di portatori sani possono nascere malati solo nel caso in cui ereditano tre o quattro copie del gene difettoso; se ne ereditano una o due, saranno a loro volta portatori sani.

Per la coppia di portatori sani che decidono di avere figli da alcuni anni è disponibile la diagnosi prenatale, effettuata mediante dei test molecolari e che permette di scoprire se il bambino nascerà sano o malato. I principali test prenatali sono l’amniocentesi e la villocentesi. “Negli anni Novanta”, spiega la professoressa Cappellini, “quando queste diagnosi furono introdotte, si è assistito a una riduzione della natalità dei bambini malati di talassemia. Per esempio, nell’area di Ferrara da una media che variava da 200 a 250 bambini malati ogni anno, si è passati a zero”. Riguardo alla questione dell’interruzione di gravidanza, la professoressa fa un’importante precisazione: “Negli ultimi anni, però, le coppie che sanno di essere portatrici sono anche molto consapevoli di quali sono stati i progressi nella terapia di queste forme di anemia, e soprattutto sono molto fiduciose nelle prospettive terapeutiche future. Abbiamo quindi assistito alla decisione di coppie di procedere con la gravidanza pur sapendo di avere un figlio malato".

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012