SCIENZA E RICERCA

Scegliere una dieta sostenibile può trasformare il mercato alimentare

Una parte piuttosto consistente del totale annuale di emissioni di gas climalteranti va attribuita al settore alimentare. Tenendo in considerazione tutti i passaggi della produzione di cibo “dal campo alla tavola”, è stato calcolato che essa rilasci il 34% di tutte le emissioni climalteranti a livello globale. Le ragioni di un così elevato impatto ambientale sono molteplici: tra queste vi è sicuramente l’inefficienza del sistema di produzione, trasporto e conservazione dei prodotti, ma anche evidenti squilibri nella produzione, nella distribuzione e nel consumo.

Negli ultimi decenni, la produzione e il consumo di carne sono aumentati in misura esponenziale. L’industria zootecnica è di gran lunga la filiera alimentare con il maggior impatto ambientale: il 31% delle emissioni causate dalla produzione alimentare globale dipende dall’industria dei prodotti animali (carne, pesce e derivati). Una delle motivazioni che spiegano tale inefficienza è la grande quantità di risorse che questo tipo di produzione richiede: secondo Our World In Data, per produrre 1 kg di carne di manzo sono necessari 25 kg di mangime, con una bassissima efficienza nella conversione delle proteine vegetali in proteine animali (3,8%) e nella conversione dell’energia, quantificata in calorie (1,9%).

Vi è poi un’altra questione che mina la sostenibilità del sistema alimentare: l’iniqua distribuzione delle risorse su scala globale. La mappa globale del consumo di carne, infatti, è tutt’altro che omogenea: lo squilibrio tra paesi ricchi e paesi in via di sviluppo è lampante. Ad esempio, mentre il consumo medio annuale di carne a livello globale si attesta intorno ai 43 kg pro capite, quello europeo è di circa 78 kg a persona.

Inoltre, vi è un netto squilibrio tra i paesi produttori e i paesi consumatori di prodotti animali: in molti casi, infatti, l’origine e la destinazione dei prodotti non coincidono, il che causa un’ingiusta ripartizione del peso ambientale di questo genere di produzione.

Come sottolinea la EAT Lancet Commission nel suo famoso rapporto del 2019, «Nonostante l’aumento della produzione alimentare globale sia in linea con la crescita della popolazione, più di 820 milioni di persone ancora non hanno accesso a una quantità sufficiente di cibo, e molte altre consumano diete di bassa qualità oppure troppo cibo. Le diete non salutari pongono oggi un rischio maggiore di morbilità e mortalità rispetto al sesso non protetto e all’uso combinato di alcol, droghe e tabacco».

Gli impatti negativi di diete e sistemi alimentari non sostenibili sono dunque molteplici: inaspriscono le diseguaglianze, peggiorano la salute umana e quella del pianeta. È per questo che, secondo la Commissione EAT Lancet, è necessario realizzare «una trasformazione radicale del sistema alimentare globale».

Un obiettivo desiderabile, certo, ma non facile da mettere in pratica. Il sistema alimentare globale è infatti incredibilmente complesso, composto da un’innumerevole schiera di attori e portatori d’interesse più o meno fragili, e pervaso da conflitti di valore difficili da dirimere.

Un gruppo di ricercatori tedeschi ha calcolato gli impatti economici che potrebbero derivare dall’implementazione del cambiamento delle abitudini alimentari in Europa nei prossimi decenni, proponendo diversi scenari al 2030 e al 2050. Lo studio, pubblicato sul Journal of Agricultural Economics, si propone di analizzare solo una minima parte della complessità richiesta da un tale mutamento, focalizzandosi appunto sui cambiamenti che avverrebbero nei mercati qualora, nei prossimi anni, la popolazione europea modificasse le proprie abitudini alimentari nella direzione suggerita dalla Commissione EAT Lancet.

Seguire la dieta della Commissione EAT Lancet

 I principali punti di intervento, secondo il rapporto pubblicato nel 2019 sulla rivista medica The Lancet, sono due: una drastica riduzione del consumo di carne, pesce e, in misura minore, di uova e latticini, e un corrispondente aumento nel consumo di verdure e legumi. Inoltre, la dieta suggerisce una decisa riduzione di grassi saturi, di zuccheri e di cereali non integrali, e l’assunzione di proteine e lipidi quasi esclusivamente da fonti vegetali. Le conseguenze in termini ambientali e di salute umana sono già state estesamente vagliate, e sono cospicue: ad esempio, è stato dimostrato che, se tutto il mondo si convertisse a una dieta vegetariana o vegana, le emissioni globali di gas climalteranti sarebbero ridotte del 60-70%; in più, questa dieta permetterebbe di sfamare i 10 miliardi di persone che probabilmente abiteranno il pianeta nel 2050 rimanendo all’interno dei limiti planetari. È stato molto meno indagato, invece, in che modo un simile cambiamento di abitudini inciderebbe sull’andamento della domanda e dell’offerta dei prodotti alimentari, e quali ripercussioni avrebbe, dunque, sul settore agricolo e sull’industria zootecnica.

Dieta sostenibile in Europa: l’impatto sul settore agricolo

Gli scenari presentati dalla ricerca tedesca sono tre: due a breve termine (2030), in cui si ipotizza uno spostamento rispettivamente del 10% e del 30% dagli attuali scenari di consumo dell’Unione Europea verso gli scenari auspicati da EAT Lancet, e uno scenario a lungo termine (2050), nel quale si ipotizza la totale adozione di una dieta sostenibile nei paesi dell’Unione.

In tutti gli scenari, il cambiamento più evidente è la riduzione dei prezzi dei prodotti a base di carne rossa, del latte e dello zucchero, diretta conseguenza dell’ipotetica riduzione del consumo di questi alimenti da parte della popolazione europea. Questo avrebbe un effetto diretto sui prezzi alla produzione: ad esempio, il prezzo della carne di manzo presenta una flessione rispettivamente del -6,6% e del -18,4% nei due scenari al 2030. In maniera speculare, in risposta al maggiore consumo, salgono i prezzi di frutta e verdura: rispettivamente, nei due scenari al 2030, dell’11,5% e del 31,5%. Inoltre, i prezzi al consumatore di prodotti vegetali crescono in misura coerente in tutti gli scenari: tra il 7,3% e il 19% nel 2030, tra il 16,3% e il 73,3% nel 2050. Questo comporta, infine, un aumento della spesa media alimentare, che cresce tra il 2,8% e il 9,4% nel 2030, e tra il 2,6% e il 12,5% nel 2050. Si tratta di un primo risultato controintuitivo, che mostra la complessità dei fattori coinvolti in questa transizione.

D’altro canto, i cambiamenti in termini di produzione non riflettono in modo diretto la modificazione dei prezzi: ciò è dovuto principalmente agli scambi nei mercati internazionali, che, nei modelli ipotizzati, si adattano al cambiamento di abitudini dell’Unione Europea assorbendo il surplus di produzione zootecnica e sostenendo la maggiore richiesta di prodotti vegetali. Per sostenere la crescente domanda di questi ultimi, infatti, le importazioni da paesi non-UE (soprattutto America centrale e meridionale) aumenterebbero tra il 46% e il 167% nel 2030, e addirittura tra il 127% e il 529,9% nel 2050. Al contrario, la riduzione della domanda di prodotti animali genererebbe da una parte una consistente riduzione delle importazioni di prodotti come manzo, maiale e latticini, e dall’altra una crescita delle esportazioni, il che rallenterebbe il calo della produzione.

Effetti ambientali

La maggiore domanda, da parte dei consumatori, di prodotti a un basso impatto ambientale ha ricadute ambientali positive sia nel breve che nel lungo periodo. Con l’adozione completa della dieta di EAT Lancet da parte dei paesi europei, le emissioni annuali globali si riducono dell’1,1% nel 2050, secondo le proiezioni; il maggiore contributo è dato dal calo della produzione zootecnica, sostituita da produzioni vegetali con un impatto ambientale decisamente minore. È interessante notare che la maggior parte delle riduzioni in termini di emissioni climalteranti avverrebbe non tanto in Europa, quanto nei paesi non europei importatori di generi alimentari, che beneficerebbero, sul piano ambientale, della maggiore richiesta di prodotti vegetali. La riduzione delle emissioni realizzata dall’Europa, dunque, verrebbe in un certo senso esportata, innescando aggiustamenti benefici per l’ambiente anche nei paesi esterni all’Unione.

Effetti indiretti: i guadagni nel settore agricolo

Se è chiaro che, al netto di un inevitabile periodo di assestamento, anche i produttori potrebbero trarre beneficio dai mutamenti del mercato alimentare, sul breve termine gli effetti si mostrano molto variabili, poiché influenzati da diversi fattori. In paesi come l’Irlanda, la Danimarca e la Germania, specializzati nella produzione di carne e latticini, la prima conseguenza di uno spostamento verso diete più sostenibili sarebbe una netta riduzione dei guadagni per i produttori. Al contrario, paesi come l’Italia e la Spagna, che sono i primi produttori di frutta e verdura in Europa, vedrebbero i guadagni aumentare ampiamente, seppur con una certa variabilità regionale, dipendente dalle specializzazioni produttive locali.

Un percorso non lineare

I dati e le proiezioni riportate nello studio danno conto della difficoltà di individuare soluzioni lineari: è evidente, infatti, come vi sia una pronunciata differenza tra gli effetti collettivi e gli effetti particolari di una trasformazione del sistema alimentare guidata dalle scelte dei consumatori. Gli autori chiariscono che, in generale, il settore agricolo europeo potrebbe trarre benefici da questa transizione; tuttavia, questi benefici potrebbero non essere equamente ripartiti a livello locale, per via dell’alto grado di specializzazione di alcune aree produttive.

Per appianare queste differenze, sarà imprescindibile un intervento politico: solo attraverso il sostegno statale, infatti, sarà possibile realizzare gli aggiustamenti strutturali necessari perché il sistema possa rispondere in modo efficiente alle nuove abitudini di consumo. I ricercatori suggeriscono che serviranno sia interventi monetari, come tasse e sussidi, sia misure non fiscali, tra cui campagne di informazione e sensibilizzazione e un’etichettatura dei prodotti che ne metta in luce l’impatto in termini ambientali e di salute.

 Si tratta di un percorso lungo e complesso, nel quale bisognerà cercare di mettere a sistema una molteplicità di bisogni e istanze molto diverse tra loro. Per questo, il cambiamento non potrà essere drastico, e avrà bisogno di essere regolamentato. Tuttavia, i diversi scenari presentati nella ricerca mostrano come vi sia un legame diretto tra scelte individuali, azioni politiche e dimensione economica, un legame che influenza non solo il settore alimentare, ma ogni ambito della società. Nel tentativo di portare il mondo su una strada di sostenibilità, sarà utile tenerlo a mente.

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