SCIENZA E RICERCA

Crollare sotto pressione: colpa delle emozioni?

Siamo alle prese con un esame importante, il primo della nostra carriera. Non sappiamo cosa aspettarci, ci assale l’ansia di ciò che è nuovo e ignoto, e ci sentiamo paralizzati: i muscoli sono pesanti, non rispondono o lo fanno in ritardo. Ma perché, quando siamo in uno stato di forte stress o ci sentiamo sotto pressione, avvertiamo questo blocco nei movimenti e le nostre prestazioni rischiano di calare vertiginosamente? Uno studio della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, in Pennsylvania, di recente pubblicato su Nature, ha cercato di spiegare proprio questo, e ha rinvenuto un legame molto stretto tra uno stato di stress di fronte ad una situazione decisiva e imprevedibile, ed alcune regioni cerebrali legate al movimento, che subirebbero un calo di attività e che, dunque, rallenterebbero o ostacolerebbero un’adeguata e rapida risposta motoria.

Per verificare questo assunto, gli studiosi sono partiti da alcuni esperimenti sulle scimmie, le quali ricevevano una ricompensa ogni volta che spostavano con precisione un cursore su un bersaglio. Ogni prova dava loro un segnale che il premio sarebbe stato piccolo, medio, grande o jackpot; le vincite jackpot erano rare e ad alto rischio, cosa che ha consentito agli studiosi di osservare come una situazione di stress potesse influire sulla loro capacità di reazione. Attraverso un minuscolo chip coperto di elettrodi impiantato nel cervello delle scimmie, il team ha scoperto come l’attività neurale cambiava in base al valore della ricompensa: si è potuto rilevare che, di fronte alla prospettiva di un jackpot, l’attività dei neuroni collegati alla preparazione motoria diminuiva. Calava, quindi, la prontezza dell’azione delle regioni cerebrali che consentono al cervello di fare calcoli su come completare un movimento, dando un’adeguata e puntuale risposta motoria. Osservando l’attività cerebrale nei differenti scenari, i ricercatori hanno notato che questa non aumenta in maniera lineare in base al grado di ricompensa: infatti, continua ad incrementare in prospettiva di un premio elevato ma, quando si è consci di poter ottenere un jackpot, una vincita determinante e decisiva, l’attività raggiunge il proprio picco e poi tende a diminuire.

Per approfondire il modo in cui il cervello reagisce a situazioni di stress, ansia o in cui siamo fortemente sotto pressione, abbiamo parlato con Angelo Antonini, professore di neurologia all’università di Padova. Il docente ci spiega che, quando ci sentiamo paralizzati e non riusciamo a reagire di fronte a contesti ed eventi che sono decisivi per noi e che ci causano paura e apprensione, è perché la grande rilevanza emotiva che noi diamo al momento che stiamo vivendo supera tutto il resto, e il nostro sistema nervoso non riesce ad elaborare altre stimoli.

“Il nostro cervello – afferma Antonini – Non è un computer: a differenza di un pc, infatti, possiamo svolgere solo un unico compito alla volta, perché il nostro sistema nervoso è in grado di mantenere il focus attentivo esclusivamente su un’unica azione. Quando la rilevanza emotiva di ciò che stiamo facendo diventa molto alta, il cervello può andare in sovraccarico, dunque la qualità delle nostre prestazioni può diminuire notevolmente”.

Il legame tra cervello e sistema emotivo, infatti, è molto forte: lo si riscontra, in particolare, nel cosiddetto network della salienza, che è una rete neurale che consente di focalizzarsi sulle informazioni più rilevanti provenienti da fonti interne o esterne, ed è centrale nell’individuare gli eventi e gli stimoli più importanti, su cui far confluire più risorse cognitive. La rete della salienza, inoltre, è influenzata appunto dal sistema limbico, che regola il nostro controllo emotivo: è anche in base ad esso, infatti, che un evento può avere maggiore o minore rilevanza per noi.

“Proprio perché è diverso il modo in cui ogni singola persona gestisce i propri stati emotivi – continua Antonini – Questa interazione varia da persona a persona: alcuni, infatti, vanno sotto stress più facilmente, e quindi le loro prestazioni calano più di frequente; altri, invece, riescono a controllare meglio la propria emotività, e a mantenere attiva l’attenzione per più tempo. Esempi di persone che riescono a tenere a bada il proprio stress emotivo sono i giocatori di tennis ad alti livelli, che sono allenati a dare sempre il massimo, anche in momenti decisivi”.

Il docente ci spiega anche come si determina, a livello cerebrale, la sensazione di paralisi, di perdita della capacità di movimento in situazioni di forte stress:

“Il cervello – afferma – Funziona in modo armonico: ogni movimento è finalizzato ad un obiettivo. Lo stress, tuttavia, non consente al sistema nervoso di sviluppare una risposta motoria adeguata, perché il sistema limbico manda in crash tutti i programmi motori che potrebbero innescarsi in quel momento. Le regioni cerebrali che risentono maggiormente dell’influenza dell’emotività, in questo tipo di situazioni, sono il lobo frontale, che integra l’informazione emotiva e pianifica la risposta motoria, e le aree propriamente motorie: se il collegamento tra queste due regioni cerebrali viene meno, il nostro corpo si trova in una condizione di paralisi, perché abbiamo perso il controllo sulle aree che ci consentono di programmare un atto motorio”.

Ovviamente, ci sono metodi e strategie per imparare a controllare la propria emotività e mantenere il focus attivo anche di fronte a situazioni di forte stress. Come riferisce il docente, la risposta emotiva è legata all’autostima: infatti, più siamo sicuri di noi stessi, e più riusciamo a inibire l’emotività che potrebbe condizionare negativamente la nostra risposta. L’esperienza, dunque, gioca un ruolo determinante: l’ansia prestazionale dei primi anni della propria vita nasce dal non sapere, dal non aver esperito quanto si vale; sapere che potrò svolgere un determinato tipo di compito, mi consente di mantenere sotto scacco la risposta emotiva.

“La strategia che funziona – continua Antonini – è conoscersi, cioè sapere dov’è il proprio limite, spingendosi ai confini della propria confort zone: se questa resta molto ristretta, le nostre prestazioni caleranno più facilmente, perché sarà più probabile trovarci a fronteggiare situazioni critiche e inaspettate”.

Restare aggrappati alla propria zona di confort è molto frequente, soprattutto tra gli uomini, che possono andare più facilmente in crisi se un cambiamento arriva a sconvolgere la loro routine quotidiana. Il docente afferma che, mediamente, le donne riescono a gestire più facilmente le loro risposte emotive, e quindi, rispetto agli uomini, fronteggiano con più sicurezza le situazioni di stress.

“Per fare un esempio – continua Antonini – In media le studentesse appaiono più sicure di sé rispetto agli studenti maschi. Questo perché il cervello di una donna ha una maggiore flessibilità cognitiva, e riesce ad adattarsi alle situazioni più disparate, a differenza degli uomini, che tendono a reiterare le situazioni che danno loro un vantaggio, ma si trovano in difficoltà di fronte a ciò che è nuovo”.

Gli studi che riguardano il modo in cui il cervello fronteggia momenti di forte stress sono ancora in fase di sviluppo e diversi sono gli aspetti che devono essere approfonditi. In particolare, come ci rivela il docente, le ricerche più interessanti su cui ci si sta soffermando attualmente sono le modalità in cui si generano le risposte motorie a determinati carichi emotivi in età avanzata, esaminando le differenze di reazione cerebrale nell’invecchiamento normale ed in quello patologico.

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