SCIENZA E RICERCA
Il segreto della migrazione è un segreto di “bellezza”. Almeno per le orche
Le balene intraprendono alcune delle migrazioni più lunghe al mondo. Nuotano per migliaia di chilometri: dalle zone polari dove si alimentano fino ai tropici dove partoriscono, e ritorno. Ci impiegano mesi e spesso restano digiune durante il viaggio. Ma perché compiere un’impresa del genere? Per alcuni cetacei misticeti, difendere i balenotteri dai predatori, potrebbe bastare come risposta. Non per le orche, però: per loro migrare avrebbe a che fare con un “segreto di bellezza”. Secondo uno studio da poco pubblicato su Marine Mammal Science, le orche si sposterebbero ai tropici per mantenere la loro pelle sana e impedire l’ingiallimento delle caratteristiche macchie bianche.
Per scoprire il motivo delle migrazioni delle orche, l’ecologo del Marine Mammals Institute della Oregon State University Robert Pitman è andato fino in Antartide. Tra il gennaio del 2009 e il febbraio del 2016, lui e il suo team hanno marcato con dispositivi satellitari 62 individui di diverse popolazioni di orche tra la baia di Ross e la Penisola antartica. E hanno scoperto così che alcuni di questi cetacei odontoceti hanno completato degli spostamenti di tutto rispetto: fino a 11.000 km tra andata e ritorno. A volte in poco più di un mese, ma sempre “migrazioni” non-stop e senza partorire. Anzi, diverse fotografie scattate dal team – e altri loro studi precedenti – hanno appurato che le orche possono riprodursi tranquillamente nelle acque antartiche. L’ipotesi “feed in the cold, breed in the warm” – letteralmente “mangia al freddo, partorisci al caldo” – per questa specie non sta in piedi.
Gli scienziati così si sono concentrati su altro e si sono riallacciati a un’ipotesi formulata già nel 2012. Secondo l’ipotesi, per conservare il calore corporeo nelle fredde acque antartiche, il flusso sanguigno delle orche non irrora al meglio la pelle. In questo modo le orche si proteggono dal freddo, ma la loro pelle non si rigenera più con un tasso normale. E le normali macchie bianche delle orche si ingialliscono con il tempo. Sulla pelle, infatti, si crea una spessa pellicola gialla, costituita da microscopiche diatomee, ma tutte queste diatomee attaccate alla pelle sono il covo perfetto per la proliferazione di batteri potenzialmente dannosi. Per riattivare quindi il normale ricambio delle cellule epiteliali, le orche avrebbero bisogno di spostarsi in acque più calde. Così facendo, ripuliscono e ringiovaniscono la pelle, sbiancando anche le tipiche macchie bianche.
Le orche migrerebbero quindi per fare un vero e proprio trattamento di bellezza (e di salute) alla pelle. Le acque tropicali potrebbero rappresentare per loro delle una sorta di spa termali. Secondo Pitman, però, c’è di più: "Le balene che migrano verso i tropici o le acque subtropicali per partorire potrebbero aver iniziato a migrare per mantenere la pelle in buono stato e poi essersi adattate a partorire lì. Nelle acque tropicali, dove hanno trovato meno predatori e la crescita dei balenotteri in acque calde poteva essere più rapida, senza disperdere energie per la termoregolazione". Per il team, quindi, la sola muta della pelle basterebbe a spiegare la migrazione di molte più specie di cetacei. "Per esempio è noto che i beluga, in Artico, si radunino alle foci dei fiumi dove le acque sono più calde e loro possono pulire e mutare la pelle» continua Pitman. "E potrebbe essere così anche per le balene".
Ma Richard Connor, cetologo dell’Università del Massachusetts, esprime seri dubbi che l’ipotesi si possa applicare a tutte le specie di cetacei. Del resto gli odontoceti, come beluga e orche, sono molto diversi dai misticeti, come megattere e balenottere. E «i balenotteri appena nati sono incredibilmente vulnerabili alle orche predatrici. Quindi, per loro, il costo di essere mangiati – e quindi morire – è un prezzo molto più alto da pagare rispetto alla salute della pelle».