CULTURA

Il senso di Baricco per Fenoglio

In un suo accorato pezzo di qualche anno fa su Caravaggio, allievo di Simone Peterzano, a sua volta allievo di Tiziano, Pietro Greco si domandava che cosa faccia di un maestro un Maestro con la maiuscola. Ascoltando Alessandro Baricco parlare al Festivaletteratura, lo scorso mese, l’ho capito. Avevo letto da qualche giorno uno dei libri meno conosciuti di Beppe Fenoglio, La paga del sabato, che avevo comprato un sabato mattina sperando che mi piacesse tanto quanto Una questione privata.

Quando leggo, per quanto io sia addestrata a esaminare i romanzi da un punto di vista il più possibile oggettivo, succede a volte che un libro “mi piaccia” senza che riesca a mettere a fuoco perché con precisione. E La paga del sabato apparteneva a questa categoria, così come Una questione privata, appunto.

Ma l’ingenuità dell’affermazione che ho appena fatto (su un libro che “piace” quasi inconsciamente) ha a che fare, forse, con quella allure che attribuiamo alla letteratura, come se fosse qualcosa che è frutto esclusivamente dell’ispirazione, insufflata nell’anima e nella penna dello scrittore, che nel furore creativo produce il capolavoro che abbiamo tra le mani e che quindi ci colpisce in un luogo quasi introvabile di noi stessi. No, non è così. Scrivere è un mestiere. Ci sono tecniche, e vale sempre il principio della fisica dell’azione (quella sello scrittore)-reazione (del lettore). E certo, per la scrittura si può avere più o meno talento, ma ci sono delle ragioni oggettive, o comunque oggettivamente rintracciabili, che fanno di un libro quel che è, e di un romanziere un romanziere come Fenoglio.

Quando, a sorpresa per me e per il pubblico tutto, Baricco al Festivaletteratura per parlare di lui ha deciso di portare come esempio di quanto andava dicendo proprio La paga del sabato, ascoltarlo mi ha fatto capire in che modo un Maestro (cioè lui, Baricco) possa essere ferocemente illuminante.

Dopo l’applauso (un po’ commovente) che la platea gli ha tributato (era la sua prima uscita pubblica dopo la malattia) Baricco ha iniziato subito col collocare Fenoglio nella sua stessa storia. Nato nel 1922 ad Alba nelle Langhe, territorio molto diverso dall’idea che ne abbiamo noi oggi, cioè luogo dove vivere è cosa dura (“allora a produrre vino non si diventava ricchi”), muore a quarant’anni per un tumore ai bronchi. Vede pubblicati tre libri (I ventitré giorni della città di Alba, La malora, Primavera di bellezza) e gli altri, che peraltro divennero poi famosissimi, come Il partigiano Johnny, sono invece usciti postumi.

Era consapevole della sua grandezza? Probabilmente no. Perché è stato un grande e i suoi romanzi ci piacciono così tanto?

Baricco in nemmeno un’ora ha mostrato al pubblico qual è il suo marchio di fabbrica e perché lo sentiamo come un autore di oggi, anche se scriveva settant’anni fa.

Intanto lo definisce un profeta, specie per quella generazione di narratori che cominciano a scrivere negli anni Ottanta e di cui lui stesso, insieme a Sandro Veronesi, Susanna Tamaro, Andrea De Carlo e molti altri, fa parte. Se per loro, infatti, il linguaggio del cinema, del fumetto e della pubblicità è connaturato all’esperienza, fin da principio, per lui si trattava di un’intuizione. Fenoglio impollina la grammatica dello scrivere con la grammatica del cinema (al punto che Calvino, in una lettera, gli fa persino notare che i suoi personaggi vengono un po’ troppo da lì…). E la sua non è un’operazione intellettualistica, ma sostanziale.

Lo “show don’t tell” che si insegnerà poi nelle scuole di scrittura creativa è la chiave della sua narrazione “che è fatta di corpi, di oggetti e di cose, non di pensieri, di riflessioni e di interpretazioni del narratore” spiega Baricco. È fatta cioè “di pezzi di mondo molto concreti che accadono. Lo scrivere letterario usa i corpi e gli oggetti ma affogandoli nell’unico vero sguardo, che è quello letterario, appunto”. In Fenoglio invece, dice ancora lo scrittore, è tutto più fisico: lui lasciava che i corpi, le voci, le cose fossero. La sua letteratura è fatta di gesti e dialoghi, distanze che cambiano. Ne risultano anche una velocità e un ritmo diversi. “Ha una velocità che non si capisce come negli anni Cinquanta la si potesse anche solo immaginare. È persino più svelto di Hemingway” spiega Baricco. Ed è vero, accidenti.

Basta ascoltarlo leggere commentando un pezzo de La paga del sabato per capire cosa intendesse con questo discorso e per rendere me consapevole di quale sia uno degli elementi che nel leggere Fenoglio “m’aggancia” da subito.

Dopo mangiato uscì, nel freddo fece due strade senza ben sapere perché avesse infilato quelle piuttosto che altre. Video poi Vanda per caso, stava ferma sull’angolo della Via degli Stabilimenti, nel punto più gelato della città e tremava che si vedeva da lontano…”

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Alessandro Baricco legge La paga del sabato di Fenoglio

La sua è una vera e propria vocazione al narrare, l’aveva dentro: è una tensione costante alla descrizione di situazioni caratterizzate tutte dall’essere in bilico. Baricco le chiama “Deposizioni”, che di contro ai “Crocifissi” e alle “Pietà” che rappresentano situazioni di stasi, mostrano un “dio snocciolato” che scende. Un attimo era su e l’attimo dopo è giù. Fenoglio, dice Baricco, scrive solo Deposizioni, e questa è la sua grandezza.

Di assolutamente suo, poi, c’è la lingua, ch’è un incrocio tra l’italiano, il piemontese e l’inglese che amava ma era tutto suo, perché non era mai stato in Inghilterra.

Spesso era sgrammaticato (“Eppure non diedi l’allarme come se sapessi che l’avrei salvato solo se facessi tutto da me” o “Mi hai incinta Ettore”, per esempio) ma ovviamente lo voleva. La lingua che usa, infatti, è più adatta a dire la verità, è una lingua più giusta, meno ammortizzata. Con questa lingua gli riusciva più facile dire le cose che erano e com’erano, e in particolare una cosa: il dolore degli umani, la miseria infinita e la sconfinata meraviglia che provano quando stanno nel dolore.

E Fenoglio cammina nei suoi libri su diversi tipi di dolore, quello del combattimento, della povertà, dell’ignoranza, o anche solo quello causato della vita che si piega sotto la pressione degli eventi (come nella parte che Baricco ha letto, di Vanda che resta incinta di Ettore). In Fenoglio non c’è mai motivo per ridere se non a denti stretti, di sfuggita, per un dettaglio che rivela un pensiero dissonante, oppure un tratto fin troppo umano di un personaggio.

È una caratteristica tipicamente piemontese la confidenza col dolore, spiega Baricco. Ma se nei suoi libri Beppe Fenoglio non mitiga mai nulla, contemporaneamente ha una grande pìetas. Dice Baricco, descrivendo una scena de La paga del sabato (Ettore che viene picchiato dai fratelli e dal padre di Vanda, e il suo, di padre, che bussa per entrare e cercare di difenderlo): “È tutto orribile e dolce insieme”.

E infine per Baricco, ma questo colpisce forse di più chi ha modo di coglierlo bene, Fenoglio è un cantore dello spirito piemontese ch'è timido e arrogante insieme, pauroso ma mai vile, solitario e ostinato, capace di vergogna per dettagli piccolissimi, tirchio di soldi e sentimenti, abituato a stare nel dolore.

E proprio raccontando di questo, Baricco, nell’introduzione all’ultima edizione de La paga del sabato per Einaudi (l’editore storico di Fenoglio) scrive: “Ettore, si chiama il protagonista. Verso la fine lo abbaglia una speranza, una specie di sogno provinciale ma luminoso, vede un distributore, lungo la strada, in mezzo alla campagna, una pompa di benzina, nulla di più. Ma lucida, brillante. Allora si ferma, la guarda, fa due conti, vede un futuro. Lui e la sua pompa di benzina. Un sogno. C’è un amico con lui, e anche lui si scalda, all’idea, e allora va lungo con l’immaginazione, e dice come sarebbe bello mettere su anche una tavola calda, accanto al distributore, come quelli che si vedono nei film americani, il distributore e la tavola calda. Non sarebbe fantastico?, dice. La risposta di Ettore è lunga mezza riga. La mia terra è tutta lì.

No… niente puzza di fritto nel mio distributore

Ecco come un grande racconta un grande, facendo letteratura della letteratura. Ecco come io ho capito perché Fenoglio mi piace.

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