A volte l'inglese è una brutta bestia: un conto è saperlo parlare correntemente, guardare serie tv in lingua e leggere romanzi non tradotti, tutt'altro è scrivere, soprattutto quando si tratta di un testo scientifico. Su Science è uscito un articolo in cui un dottorando cinese racconta la sua esperienza di non madrelingua che deve pubblicare articoli nelle testate scientifiche. Yunhe Tong, questo è il suo nome, racconta quelle che erano le sue frustrazioni di fronte all'altissimo numero di modifiche richieste dal suo supervisore, anche perché di solito cozzavano con quello che aveva imparato quando studiava inglese: se si tratta di scrivere un tema, infatti, sfoggiare un linguaggio forbito può essere un elemento differenziante in senso positivo, e questo aveva sempre fatto lui. Quando invece si scrive un articolo scientifico le frasi dovrebbero essere più essenziali e il testo privo di virtuosismi, anche perché spesso neanche il revisore è un madrelingua, quindi chi scrive deve metterlo nella posizione di capire nel più breve tempo possibile di cosa si sta parlando.
“ Showing off complex grammar and advanced vocabulary had always brought higher scores, so that’s how I approached writing. But I clearly had more lessons left to learn Yunhe Tong
In effetti non si può paragonare l'inglese accademico a quello letterario, come ci spiega Maria Teresa Musacchio, docente di lingua inglese all'università di Padova: "L’inglese accademico segue le convenzioni della comunità scientifica di riferimento e assume poi caratteri specifici a ciascun ambito disciplinare: è quindi la lingua di un gruppo, di una comunità professionale e degli argomenti che affronta. L’inglese letterario, invece, è un insieme di singole voci, uniche, irripetibili e originali per modalità espressive. Questo non significa però che nessun accademico abbia un proprio stile individuale: basti pensare a grandi scienziati come Enrico Fermi e Albert Einstein. L’inglese accademico e quello letterario hanno in comune l’uso della lingua generale, ma sono diversi per usi e consuetudini, che per gli accademici sono legati alle lingue speciali e per gli scrittori sono connessi all’espressione del proprio universo interiore".
Sulla semplicità di linguaggio richiesta a un testo scientifico, ci fa un esempio emblematico Fiona Clare Dalziel, docente di lingua inglese e inglese accademico all'università di Padova: "Se analizziamo i testi scientifici paragonandoli al parlato e a quelli letterari, possiamo vedere che le forme negative contratte come isn’t e don’t rappresentano quasi il 100% dell’uso nel parlato, circa il 70% nella narrativa, ma solo il 5% nella scrittura accademica. Il passivo, invece, costituisce circa il 25% dei verbi finiti nella scrittura accademica, ma è molto raro nel parlato". Queste informazioni sono disponibili gratuitamente per tutti gli utenti: per esempio, ci spiega la professoressa, c'è un sito che raccoglie tutti i testi accademici che costituiscono la base di partenza per testi di grammatica e dizionari. E poi c'è la Longman Grammar of Spoken and Written English che si basa su un corpus di 40 milioni di parole e che fornisce informazioni dettagliate sulle caratteristiche lessico-grammaticali dell’inglese parlato della narrativa, della stampa e della prosa accademica: un buon punto di partenza per chi vuole farsi un'idea di come adattare l'inglese al contesto accademico.
Dicevamo, comunque, che anche andando nella direzione di una scrittura più semplificata possa esserci spazio per sviluppare un proprio stile: "Il linguaggio letterario - spiega Dalziel - è associato alla creatività, mentre nel discorso accademico è necessario aderire alle convenzioni della comunità di riferimento. In altre parole, chi scrive in ambito accademico deve attenersi a quello che, nella percezione della comunità scientifica cui appartiene, viene considerato accettabile. Ciò non significa però che manchi la creatività nella scrittura accademica, perché lo scopo dei testi è di essere innovativi e fonte di ispirazione. È chiaro però che, persino per chi è particolarmente esperto, cercare di trascendere i vincoli della scrittura accademica può essere una notevole sfida, che diventa ancora più grande per chi scrive in una lingua di cui non è completamente padrone o in cui non si sente completamente a proprio agio".
Un altro limite sottolineato dall'autore dell'articolo di Science è che durante il suo percorso di studi il tipo di insegnamento della lingua inglese non prevedeva una grande attenzione alla scrittura (i test erano prevalentemente a crocette e riguardavano grammatica e comprensione del testo). Il risultato di questo approccio è che Tong, ma non solo lui, scriveva i testi in mandarino, e poi li traduceva in inglese. Un inglese formalmente corretto, ma che non scorreva, finendo per sembrare artefatto.
Anche Musacchio sottolinea come questa sia la principale difficoltà quando qualcuno si interfaccia per la prima volta con l'inglese accademico: "La prima cosa da fare - spiega la docente - è stabilire qual è il canone di scrittura nella propria disciplina, come esprimere i contenuti sganciandosi dalla traduzione, anche solo mentale, dalla propria lingua".
Ed è proprio così che Tong ha risolto il suo problema: a un certo punto era così frustrato ed esasperato dalle ore passate a tentare di scrivere in un inglese accademico accettabile che decise di cambiare obiettivo e di imporsi di produrre un testo nel minor tempo possibile, scrivendo direttamente in inglese.
“ That’s when something magical happened: The sentences seemed to flow out of me, and in a few hours I had a rough draft Yunhe Tong
Sembra un paradosso, eppure se ci stacchiamo da quell'idea di "compito per casa" scrivere in un'altra lingua diventa più facile. Certo, come spiega Tong sarà poi necessario un lavoro di revisione, ma almeno si potrà partire da un testo semplice e chiaro all'insegna di "fatto è meglio che perfetto" (il perfezionismo scatta in fase di revisione).
Un altro problema è che, salvo linee guida comuni, le testate scientifiche possono essere molto diverse tra di loro: "Esistono alcune linee guida fondamentali - spiega Musacchio - che poi si declinano in modi che variano da disciplina a disciplina. Le riviste scientifiche possono essere generaliste, cioè rivolte a tutta la comunità scientifica, come Nature e Science, e quindi usare una specie di interlingua oppure essere disciplinari, come Lancet o Physics Letters, che sono molto meno accessibili a uno scienziato che non sia rispettivamente un medico o un fisico".
Bisogna poi considerare il fatto che le regole che uno studente o un dottorando possono imparare a volte lasciano un po: "Una delle caratteristiche distintive delle diverse discipline è l’uso della prima persona: i libri di testo sull’inglese per scopi accademici spesso consigliano di evitare I (io) e we (noi), ma se guardiamo i testi scientifici pubblicati vediamo che tali consigli sono fuorvianti. In molte discipline, per esempio la psicologia, gli articoli a più mani contengono innumerevoli esempi di we, mentre in altre discipline, come la linguistica applicata, I è del tutto accettabile”.
Parliamo quindi di una lingua a sé, che non solo ha delle regole diverse dall'inglese scolastico e da quello parlato e quotidiano, ma deve anche rendere conto a una comunità di parlanti (o meglio, "leggenti") geograficamente eterogenea: "A differenza degli studenti triennali e specialistici - spiega Dalziel - gli studenti di dottorato, i ricercatori post-doc e gli accademici in genere non devono imparare come ‘pensare’ o ‘argomentare’ nella propria disciplina, cosa che evidentemente sanno già fare, ma hanno bisogno di acquisire gli strumenti per farlo in inglese. Molto spesso infatti hanno bisogno dell’inglese per rendere note le proprie ricerche a livello internazionale, e non soltanto nei paesi di lingua inglese. È per questo che possiamo parlare di inglese come lingua franca e più in generale di inglese come lingua franca accademica. Oggi l’inglese è parlato da un numero maggiore di parlanti non-nativi che di parlanti nativi, anche se i confini tra gli uni e gli altri stanno diventando sempre meno definiti. Le lingue sono dinamiche e variano grazie a chi le usa, perciò il destino dell’inglese è in gran parte nelle mani di chi lo parla a livello internazionale in tutto il mondo. Per questo motivo assisteremo (o stiamo già assistendo) a variazioni nelle norme relative a ciò che viene ritenuto accettabile nell’inglese accademico in base all’uso che ne viene fatto in ambito internazionale".
Il consiglio è quello di leggere il più possibile contenuti di questo tipo, ma non deve essere una lettura passiva, o finalizzata a conoscere le nuove ricerche del proprio settore: è necessario uno sguardo analitico che riesca a riconoscere le strutture sintattiche più frequenti e funzionali.
"Le università - precisa Musacchio - possono abituare gli studenti a osservare e riconoscere testi ben scritti o presentazioni efficaci in modo da ricavarne linee guida, a esplorare raccolte di testi, corpora, alla ricerca delle informazioni linguistiche di cui hanno bisogno, ma anche a capire che l’inglese accademico è internazionale e si arricchisce attraverso il contatto con lingue e parlanti di culture e quindi approcci diversi".
Per concludere, Dalziel ricorda che il Centro linguistico di Ateneo offre corsi di scrittura accademica agli studenti di dottorato e una serie di servizi per l’apprendimento dell’insegnamento tramite l’inglese (English Medium Instruction) rivolti a tutti i docenti e ricercatori che insegnano o desiderano insegnare in inglese.