SOCIETÀ

La sfida della pace passa per il disarmo nucleare

Il Bulletin of the Atomic Scientists, che ogni anno dal 1947 rilascia un rapporto sullo stato della sicurezza globale, a gennaio di quest'anno ha dichiarato che l'orologio dell'apocalisse è impostato a due minuti dalla mezzanotte, l'ora più buia. Sono due le principali cause di questo incombente pericolo: i cambiamenti climatici e le armi nucleari.

Nel 1945, la fisica ha conosciuto il peccato, come disse Robert Oppenheimer, direttore del Progetto Manhattan che produsse la bomba atomica. Da allora la comunità scientifica si è fatta carico di un dovere ineludibile: informare la società per permettere decisioni democraticamente condivise. Di questa responsabilità sociale della scienza (raccontata in Fisica per la pace, libro finalista del Premio Galileo, a cura di Pietro Greco) sono in particolar modo consapevoli alcuni fisici e studiosi che hanno partecipato mercoledì 27 marzo alla giornata di sensibilizzazione e mobilitazione per il disarmo: “Dalle minacce nucleari al diritto umano alla pace”, nelle aule dell'università di Padova. Temi che rimandano un'atmosfera di tensione che si pensava superata, ma è proprio questa convinzione che rischia di far abbassare troppo la guardia permettendo il riavvicinamento di un nemico che si dava per sconfitto.

Il 19 ottobre 2018 il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato il ritiro degli Stati Uniti dall'Intermediate-range nuclear forces Treaty (Inf), il trattato siglato nel 1987 da Ronald Reagan e Michail Gorbačëv che metteva fine alla crisi degli euromissili che aveva investito l'Europa dal 1977. A partire dal 1988 le due superpotenze rinunciavano all'acquisizione di armi di medio raggio. “Quasi 2700 missili sono stati distrutti, tagliati con una sega, e con il titanio di risulta sono state coniate monete da un dollaro e un rublo” ha spiegato Alessandro Pascolini, presidente di Isodarco (International Schools on Disarmament and Research on Conflicts) e già docente di fisica teorica e scienze per la pace all'università di Padova.

L'intesa tra Reagan e Gorbačëv (incontratisi al vertice di Reykjavík nel 1986), il lavoro della Commissione Palme che allora promuoveva la sicurezza comune e un impegno attivo dell'opinione pubblica hanno permesso che si arrivasse alla firma del trattato, da cui Trump ora vuole ritirarsi. Oggi le ragioni sono speculari ma inverse a quelle che avevano portato alla firma: il deterioramento dei rapporti tra i leader Trump e Putin, lo scarso lavoro di intesa internazionale e la totale mancanza di un'opinione pubblica schierata sull'argomento.

La fine dell'Inf porterà a una nuova corsa agli armamenti, con lo sviluppo di nuovi armi a medio raggio e un ulteriore raffreddamento dei rapporti tra Washington e Mosca: la Russia, che sta puntando su un riammodernamento delle forze armate, percepisce come un pericolo l'allargamento della Nato ai Paesi dell'Europa Orientale, ne è una prova il recente conflitto in Ucraina.

“Come si ricostruisce lo spirito di sicurezza comune? È l'Europa che deve riprendere il dialogo e poiché l'Unione Europea e la Nato non parlano con una voce unica, qualcuno deve prendere l'iniziativa”. Secondo Pascolini “Heiko Mass, ministro degli esteri tedesco, può farlo”.

Interviste a Francesco Vignarca, coordinatore nazionale della rete italiana per il disarmo e Eleonora Sirsi, membro del centro di ateneo per le scienze della pace dell'università di Pisa

Ma non è nemmeno l'Europa l'area che oggi preoccupa di più. Le minacce più concrete arrivano dal conflitto tra India e Pakistan, entrambe nazioni già in possesso di armi nucleari (assieme a Cina, Corea del nord, Isreale, Regno Unito, Francia, Russia e Usa).

Nel Medioriente poi ribolle la questione iraniana, che ha radici profonde almeno quanto i pozzi di petrolio. “L'Iran è il quinto produttore di petrolio al mondo ed il quarto in termini di riserve di petrolio (primo il Venezuela, secondo l'Arabia, terzo il Canada)” ha spiegato Nicola Cufaro Petroni, dell'università di Bari e dell'Istituto nazionale di fisica nucleare. Nel secondo dopo guerra gli Stati Uniti supportarono l'ultimo scià di Persia, Mohammad Reza, che era convinto che lo sviluppo del Paese dovesse passare per l'occidentalizzazione e la nuclearizzazione dell'energia. Nel 1979 però ci fu la rivoluzione islamica guidata dall'Imam Khomeini. Nella guerra tra Iraq e Iran l'occidente ha supportato il primo, sperando nella sconfitta del secondo, salvo poi far cadere il regime di Saddam. Negli anni '70 è stato firmato il Trattato di non proliferazione tra Usa e Urss, un accordo internazionale (cui oggi aderiscono 189 Paesi) che vieta alle nazioni non nucleari di attrezzarsi con le tecnologie atomiche per impieghi militari.

“Con l'Iran gli Usa dell'amministrazione Obama hanno firmato il Joint comprhensive plan of action. L'Iran ha eliminato uranio arricchito al 20%, quasi tutto quello al 5%, ha limitato la produzione del plutonio, non accumulerà acqua pesante, ingrediente fondamentale per il nucleare militare. Come contropartita sono state abolite alcune sanzioni economiche e sbloccati circa 100 miliardi di dollari dai proventi del petrolio”. L'accordo tuttavia non era un vero e proprio trattato, era basato solo sulla volontà politica delle nazioni, e Trump vi è uscito con un tweet.

L'altra zona calda è naturalmente l'Asia nordorientale, con la Corea del nord di Kim Jong Un che negli ultimi anni ha letteralmente scherzato col fuoco atomico. Carlo Trezza, presidente del consiglio consultivo del segretario generale dell'Onu per le questioni del disarmo e consigliere diplomatico del ministro della difesa, è stato ambasciatore italiano in diversi Paesi, tra cui la Repubblica coreana del sud.

“La genesi della crisi attuale risale alla seconda guerra mondiale e a conflitti da allora mai risolti. Dopo il 1950 iniziò la guerra di Corea con invasione del sud da parte del nord. Con l'intervento degli Usa si tornò ai confini sostanzialmente decisi nel 1945, lungo il 38° parallelo. La divisione è rimasta tale per 70 anni. Nel nord si erano indirizzati al riprocessamento delle scorie radioattive per produrre plutonio, che non ha utilizzi a scopi civili. La prima crisi coreana scoppiò negli anni '90 con l'amministrazione Clinton, che mandò come emissario l'ex presidente Jimmy Carter. Sottoscrissero un accordo di free work agreement in base al quale la Corea del nord avrebbe rinunciato a attività nucleari in cambio di due centrali nucleari per far fronte alla carenza di energia elettrica. Questo avvicinamento tra Usa e Corea del nord non ebbe successo e con Bush jr gli Usa uscirono dall'accordo, un po' come sta facendo oggi Trump. L'amministrazione Obama nei confronti della Corea del nord fu un po' negligente, concentrò la propria attenzione sul nucleare iraniano. Secondo me è stato il nuovo presidente sud coreano che ha fatto cambiare i rapporti. Le due Coree si sono riavvicinate, e anche con gli Usa ci sono stati incontri storici, mai avvenuti prima. Va riconosciuta a Trump questa intuizione politica. Ma anche questo rinnovato dialogo non sta dando i risultati sperati. Prima a Singapore poi a PiongYang non si sono messi d'accordo su niente”.

L'incontro, patrocinato dall'Unione degli Scienziati per il Disarmo (Uspid) e da Il Bo Live, è stato introdotto e coordinato da Marco Mascia, direttore del Centro di ateneo per i diritti umani “Antonio Papisca”, cattedra Unseco “Diritti umani, democrazia e pace”, dell'università di Padova.

Il disarmo si unisce a tre temi fondamentali: quello dei diritti umani, quello della sicurezza internazionale e quello del diritto alla pace. Di quest'ultimo si occupa Eleonora Sirsi, membro del centro di ateneo per le scienze della pace dell'università di Pisa, intervistata da Il Bo Live. Nel pomeriggio la questione del disarmo è stata allargata e si è incontrata con quella dello sviluppo delle nuove tecnologie: in particolare è stato affrontato il problema delle armi autonome e del loro utilizzo. Francesco Vignarca, coordinatore nazionale della rete italiana per il disarmo (intervistato da Il Bo Live) si è fatto promotore di un appello presentato a Roma qualche settimana fa contro le armi autonome, assieme al filosofo dell'università di Napoli Federico II Guglielmo Tamburrini, membro dell'International Committee fo Robots Arms Control, e Diego Latella, ricercatore del Cnr, esperto di scienze e tecnologie dell'informazione, e segretario nazionale di Uspid, l'Unione degli scienziati per il disarmo.

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