SOCIETÀ

Le sfide della Chiesa dopo “Querida Amazonia”

Alla vigilia del Sinodo speciale sull’Amazzonia, convocato da papa Francesco fin dall’ottobre 2017 e celebratosi in Vaticano nell’ottobre 2019, un’autentica levata di scudi aveva percorso i siti e i blog del fronte conservatore, da diverso tempo ormai attivi nel prendere le distanze dal pontificato bergogliano. L’accusa che serpeggiava riguardava l’ipotesi – o per meglio dire la certezza, almeno a credere a quanto vi si leggeva – che il sinodo sarebbe stato usato dai “progressisti” in seno alla Chiesa per aprire una prima breccia nell’irta muraglia del celibato ecclesiastico. Francesco, infatti, convocando il sinodo, aveva annunciato la volontà di “trovare nuove vie per l’evangelizzazione di quella porzione del popolo di Dio, in particolare le persone indigene, spesso dimenticate e senza la prospettiva di un futuro sereno, anche a causa della crisi della foresta amazzonica, polmone di fondamentale importanza per il nostro pianeta”. Ignorando del tutto il richiamo ecologista – d’altronde la maggior parte della blogosfera conservatrice condivide il negazionismo dei cambiamenti climatici – l’attenzione si è tutta rivolta alle prime parole: quali “nuove vie per l’evangelizzazione” aveva in mente il pontefice? 

L’Instrumentum laboris, vale a dire il documento di discussione preliminare predisposto nel giugno 2019 dal consiglio pre-sinodale, forniva qualche timida risposta sufficiente a scatenare l’ira degli intransigenti. Da un lato, l’idea di una “Chiesa dal volto amazzonico e indigeno”, titolo di uno dei paragrafi del documento, non è piaciuta a quanti, nella statua di Pachamama, la “madre terra” della cosmologia incaica, benedetta all’apertura del sinodo dallo stesso Francesco, hanno visto un rigurgito di paganesimo idolatra, al punto da spingere alcuni integralisti a trafugare le statue e gettarla nel Tevere. Dall’altro, il suggerimento rivolto ai padri sinodali di studiare “per le zone più remote della regione”, la possibilità “di ordinazione sacerdotale di anziani, preferibilmente indigeni, rispettati e accettati dalla loro comunità, sebbene possano avere già una famiglia costituita e stabilire”, nonché di “identificare il tipo di ministero ufficiale che può essere conferito alle donne”, come risposta alla scarsità di sacerdoti in grado di celebrare quotidianamente l’eucarestia, ha provocato non poche dure reazioni. Tra queste, quella di Gerhard Müller, l’ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (posto che fu di Joseph Ratzinger prima dell’elezione al soglio pontificio), da tempo in plateale contrasto con il papa che lo ha sostituito nel 2017 con largo anticipo rispetto alle previsioni. Per Müller, il sinodo amazzonico non avrebbe avuto altro scopo che fungere da apripista al percorso sinodale intrapreso dalla Conferenza episcopale tedesca, per ottenere, secondo le accuse di Müller, obiettivi quali “abolizione del celibato, accesso delle donne al sacerdozio e a posizioni chiave di potere contro il clericalismo e il fondamentalismo, adattamento della morale sessuale rivelata all’ideologia di genere e apprezzamento per le pratiche omosessuali”.

Se questo era il clima, si può ben capire la sorpresa quando l’esortazione apostolica post-sinodale licenziata da Francesco lo scorso 12 febbraio con il titolo, in spagnolo, Querida Amazonia (“Amata Amazzonia”), ha invece escluso la possibilità di concedere deroghe al celibato ecclesiastico – anche solo in regioni particolari come quelle dell’Amazzonia – a favore dell’ordinazione dei viri probati, cioè di uomini sposati ma di provata fede. La parallela mancata citazione di nuove opzioni per coinvolgere le donne della Chiesa nel ministero ecclesiastico ha rappresentato, per molti, una doccia fredda. Ma leggere la Querida Amazonia e tutto il percorso del sinodo del 2019 in questa chiave è sbagliato e significa fare il gioco di quanti, all’interno della Chiesa, soffiano sul fuoco di un futuro “scisma” tra i conservatori che si richiamano al pontefice emerito Benedetto XVI e i progressisti guidati da Francesco: divisione fittizia, perché l’agenda di Francesco non coincide con quella dei progressisti così come quella di Benedetto XVI non coincideva con quella dei conservatori. 

Querida Amazonia mostra piuttosto il progressivo sviluppo del pensiero teologico ed ecclesiale di Francesco, a partire dai documenti cardine dell’attuale pontificato, vale a dire l’esortazione apostolica Evengelii Gaudium del 2013 e l’enciclica (unica finora firmata da Francesco, dato che la precedente era stata scritta da Ratzinger) Laudato si’ del 2015. La scelta di concentrare lo sguardo della Chiesa sull’Amazzonia è stata senz’altro profetica se si tiene conto del fatto che la rinnovata attenzione a questa enorme riserva di biodiversità è stata riaccesa dai grandi incendi del 2019, alla vigilia del sinodo e due anni dopo che il pontefice aveva già indicato l’Amazzonia come il luogo di un processo di rinnovamento non solo della Chiesa, ma del cristianesimo e dell’intera civiltà umana. Lì infatti i grandi nodi irrisolti della postmodernità – lo scontro tra paradigma della modernizzazione e culture tradizionali, i danni di un modello di crescita estrattivo e predatorio, la sesta estinzione di massa e gli altri danni dei cambiamenti climatici – convergono in una vera e propria messa in questione dell’Antropocene. Che la Chiesa se ne occupi è una novità sostanziale. La volontà di Francesco di consacrare l’intero suo pontificato alla ricerca di una “ecologia integrale” che tenga insieme la soluzione dei problemi della sostenibilità ambientale ed economica per un rinnovato rapporto tra l’umanità e la biosfera è stata sancita nella Laudato si’, punto d’avvio di un percorso scandito da altre tappe importanti: tra queste, la nascita del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, nel 2017, e la convocazione per il marzo 2020 di un grande meeting ad Assisi rivolto a giovani economisti e change-makers da tutto il mondo (“The Economy of Francesco”).

Il sinodo sull’Amazzonia rappresenta, in questo percorso, una tappa fondamentale. Jorge Mario Bergoglio, primo pontefice proveniente dall’America Latina, ha ben presente i danni prodotti dallo scontro tra l’Occidente e il “nuovo mondo” nel corso del XVI secolo. La violenza dei conquistadores, le conversioni forzate da parte dei missionari, l’ingresso delle malattie da oltreoceano provocarono la scomparsa di oltre il 90% della popolazione indigena americana già entro la metà del Cinquecento. Querida Amazonia è innanzitutto una richiesta di perdono, simile a quella che fu espressa da Giovanni Paolo II per le crociate. Francesco da tempo ripete che la nuova Chiesa non deve conquistare nuove fedeli con il proselitismo, ma per attrazione. Nei confronti dei popoli indigeni dell’Amazzonia, il modello è quello del meticciato, tema anch’esso rilanciato più volte dal pontefice (“Maria è madre e meticcia”, ha per esempio dichiarato lo scorso dicembre alla messa per la Vergine di Guadalupe). Anziché imporre una “nuova forma di colonialismo”, vale a dire la globalizzazione, Francesco “sogna” per l’Amazzonia nuove forme di inculturazione del Vangelo: forme meticce dove i saperi e le tradizioni dei popoli nativi si fondono con la rivelazione cristiana, la quale a sua volta si era inculturata in un contesto ben specifico, quello dell’ebraismo del I secolo, per poi riuscire a “meticciarsi” con la cultura ellenistico-romana. L’inculturazione della liturgia, la nascita di una “Chiesa con un volto amazzonico”, risponde da un lato all’esigenza, presente fin dal Concilio Vaticano II, di adattare l’antica liturgia universale, incomprensibile per la maggior parte dei fedeli, alle diverse realtà locali; e dall’altro alla consapevolezza, espressa chiaramente da Francesco nell’incontro con la Curia romana del 21 dicembre scorso, di non essere più nella cristianità: vale a dire che la Chiesa deve smetterla di identificarsi con un preciso ordine storico-politico, quello rappresentato dalla Cristianità intesa come unione di potere temporale e spirituale iniziata con Costantino e finita nei fatti nel 1870, rinunciando così a un’identificazione esclusiva con l’Occidente. 

Il modello della Chiesa di Francesco, come si legge nell’Evangelii Gaudium, “non è la sfera, che non è superiore alle parti, dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro”, ma “il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità”. Il tema ritorna nella Querida Amazonia, dove si parla esplicitamente di “poliedro amazzonico”, riconoscendo che Dio si manifesta in forme diverse, come nelle culture dei diversi popoli e nazionalità che convivono in Amazzonia. Non solo. Già nella Laudato si’ Francesco osservava come luoghi quali l’Amazzonia o il bacino fluviale del Congo “hanno una biodiversità di grande complessità, quasi impossibile da conoscere completamente”, la cui perdita comporta la scomparsa di “migliaia di specie vegetali e animali che non potremo più conoscere, che i nostri figli non potranno vedere”, e che per causa nostra “non daranno gloria a Dio con la loro esistenza né potranno comunicarci il proprio messaggio”. Nell’enciclica, Francesco introduceva il concetto per cui “tutte le creature sono connesse tra loro”, da cui deriva che il poliedro amazzonico non riguarda solo l’inculturazione della fede nelle culture indigene ma anche gli originali modelli di convivenza tra gli esseri umani e le altre specie viventi, ai quali il mondo deve guardare per risolvere le contraddizioni dell’Antropocene. Agli allarmi per gli incendi della foresta pluviale che privano l’umanità di una preziosa riserva di ossigeno, quindi sempre in chiave di “risorsa da sfruttare”, Francesco contrappone l’idea che “la foresta non è una risorsa da sfruttare, è un essere, o vari esseri con i quali relazionarsi”. Insomma, la Chiesa dal volto amazzonico che ha in mente Francesco è una Chiesa che si inserisce in modo originale e costruttivo nel grande dibattito mondiale sull’esigenza di un nuovo rapporto tra civiltà umana e biosfera nell’Antropocene. 

Questo è già un primo passo importante per comprendere il senso di quella ‘mancata apertura’ che molti si attendevano nei confronti della proposta dei padri sinodali per l’ordinazione dei viri probati: Francesco non ha voluto fare del sinodo e dell’esortazione un nuovo terreno di scontro tra le due fazioni opposte, ma concentrare l’attenzione sul tema centrale del sinodo, il futuro dell’Amazzonia, che riguarda, dopo tutto, la più grande sfida dei nostri tempi. Al tempo stesso, il pontefice in più occasioni ha lamentato i limiti del “clericalismo” della Chiesa. Già il Concilio Vaticano II aveva inteso aprire la Chiesa a una più attiva esperienza dei laici, il “popolo di Dio”, superando la concezione di una Chiesa composta esclusivamente dal clero. Questa ambizione ha portato a molte svolte riformistiche in senso laicale, ma la centralità del clero non è mai venuta meno. Querida Amazoniapunta a una svolta radicale: anziché rispondere al problema della scarsità di sacerdoti con “più clero”, ossia ordinando uomini sposati, puntando sul diaconato permanente e sul ministero per le donne, la risposta di Francesco sembra essere “meno clero”, ossia una più attiva compartecipazione dei laici alla vita ecclesiastica. Laici – uomini e donne – che sostituiscano il sacerdote in tutte le sue funzioni nella parrocchia, tranne le due funzioni ministeriale inderogabili, vale a dire l’eucaristia e la confessione; e al tempo stesso una richiesta affinché i nuovi sacerdoti ordinati in America Latina non vadano subito in Europa, tappa obbligata di ambizioni carrieristiche, ma scelgano di trascorrere un periodo più o meno lungo in Amazzonia. 

Può sembrare una via d’uscita poco convincente, forse una ritirata di fronte ai rischi di uno scisma evocato da più parti (e paventato dallo stesso Francesco in un’intervista di ritorno dal Madagascar), ipotesi corroborata da fughe in avanti come quella plateale del cardinale Robert Sarah con il suo libro incautamente “co-firmato” con Benedetto XVI contro l’abolizione del celibato ecclesiastico. Per alcuni, addirittura, Querida Amazonia rappresenterebbe il fallimento dell’agenda riformista di Bergoglio; il quale, però, va detto, non ha mai posto il tema del celibato nella sua agenda, ma si è sempre attenuto – anche da cardinale – all’idea che esso rappresenti “un dono” per la Chiesa. Non viene invece smentito quel punto centrale dell’agenda bergogliana, di una Chiesa “in uscita” non più appiattita sulle posizioni del clero ma aperta al contributo del più ampio “popolo di Dio”; è possibile allora che Francesco abbia soppesato le proposte dei padri sinodali, ma vi abbia letto una risposta “corporativa”, che vede come unica soluzione al problema della scarsità delle ordinazioni nuove figure ministeriali, anziché pensare che la soluzione al problema risieda – come scrive usando il corsivo per enfatizzare l’espressione – in “una cultura ecclesiale marcatamente laicale” che preveda cioè “un incisivo protagonismo dei laici”.

I contenuti della Querida Amazonia, dunque, vanno molto più in là del bipolarismo intra-ecclesiastico tra conservatori e riformisti (peraltro, apprezzamenti sono arrivati tanto dal cardinale Müller, che ha parlato di un “documento di riconciliazione”, quanto dal suo rivale, il cardinale Marx, a capo della conferenza episcopale tedesca, secondo il quale ““il Papa ha avviato una ricezione del Sinodo rilevante per la Chiesa mondiale”). Denotano piuttosto una Chiesa, quella di Francesco, che ha lo sguardo fisso verso il futuro, alle sfide dei tempi nuovi tanto nel mondo quanto nella Chiesa stessa: una Chiesa “sinodale”, con le sue specificità locali, è una risposta tanto al clero tedesco che punta a un maggior riformismo quanto alla chiesa ortodossa, con cui è in corso un lungo dialogo ecumenico teso a superare lo scisma d’oriente. Una Chiesa “laica” è una risposta alla sfida del pentecostalismo, con il suo modello di fede “dal basso” che proprio in America Latina sta conquistando posizioni importanti a scapito del cattolicesimo. Con la Querida Amazonica, insomma, Francesco riparte, come alle origini dell’avventura cristiana, dall’estrema periferia del mondo, per trovare nuove risposte alle sfide del XXI secolo.

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