SOCIETÀ

Slovacchia al voto: autoritarismo contro democrazia

La differenza, negli ultimi sondaggi, non è enorme: poco meno del 3%. Ma enormi potrebbero essere le conseguenze, a seconda dell’esito del voto, per il futuro della Slovacchia, un piccolo paese (poco più di 5 milioni di abitanti) che quest’anno ha festeggiato i trent’anni di vita e che domenica 30 settembre tornerà alle urne per rinnovare il Parlamento unicamerale, dopo la caduta della coalizione di centro-destra e l’insediamento, lo scorso maggio, di un governo tecnico provvisorio. L’ultima rilevazione, condotta dall’agenzia Ipsos, certifica che al momento è in testa, con il 20,3% delle preferenze, il partito populista di sinistra Smer-Ssd (Sociálna Demokracia), guidato dall’ex primo ministro Robert Fico. Subito dietro, con il 17,2%, c’è Progresivne Slovensko (PS), partito liberale e progressista, con a capo il giovane Michal Šimečka.

Tra i due partiti, e tra i due leader, le differenze non potrebbero essere più nette. Se Šimečka si propone di «intrattenere colloqui con le forze democratiche ed europeiste», senza intaccare l’autonomia della magistratura, mantenendo saldamente il paese nell’alveo più marcatamente occidentale, Robert Fico ha già annunciato che “ribalterà il tavolo” qualora dovesse vincere le elezioni: «Se Smer farà parte del governo, la Slovacchia non invierà più armi o munizioni in Ucraina». Le posizioni filo-russe, e anti-americane, dell’ex primo ministro (ha già guidato il governo per due mandati: dal 2006 al 2010, e dal 2012 al marzo 2018) sono note da tempo. In un comizio del 30 agosto scorso aveva dichiarato: «Lo dico forte e chiaro: la guerra in Ucraina non è iniziata ieri o l’anno scorso. È cominciata nel 2014, quando i nazisti e i fascisti ucraini hanno iniziato a uccidere i cittadini russi nel Donbass e a Luhansk». Come dire: una sua eventuale vittoria (sempre ammesso che riesca a “costruire” un’alleanza di forze in grado di raggiungere la maggioranza in Parlamento) potrebbe spingere la Slovacchia su posizioni più simili all’Ungheria di Orban, in aperto contrasto con l’Unione Europea e con la Nato. Nel 2015, dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia, Fico è stato uno dei pochi leader europei a incontrare il presidente russo Vladimir Putin a Mosca, nonostante le sanzioni imposte dall’UE. La sua elezione indebolirebbe senza dubbio il sostegno occidentale a Kiev.

Il nazionalista e la “macchia” dell’omicidio di Ján Kuciak

Robert Fico, 59 anni, è un personaggio a dir poco particolare. La sua proposta politica, che nonostante le insegne “formali” del partito che dirige, ha davvero poco da spartire con la sinistra e tantomeno con la democrazia (è un fan dichiarato di Donald Trump, per dire), è di estrema semplicità: no a qualsiasi forma di immigrazione (chiusura dei confini). No ai diritti delle minoranze (secondo un sondaggio di quest’anno il 63% degli slovacchi è contrario al riconoscimento di diritti specifici alle persone Lgbt+, mentre il 55% la ritiene “un’ideologia immorale e decadente”). Promette “stabilità e ordine”. E si propone come “l’uomo forte”, cavalcando il sentimento filo-russo che sta aumentando tra gli elettori slovacchi (oltre la metà ritiene l’Ucraina, o comunque l’Occidente, responsabile per lo scoppio della guerra in Ucraina) e la crescente diffidenza nei confronti della democrazia liberale (appena il 48% della popolazione la ritiene “un bene per il proprio paese”).

Fico è un nazionalista autoritario che non tollera critiche o intromissioni. Leggendari, in passato, i suoi attacchi convulsi contro i giornalisti, definiti di volta in volta “idioti”, “serpenti viscidi”, “ragni da toilette”, “sporche prostitute anti-slovacche”. Fino all’evento, tragico, che ha fatto traballare la sua stella politica: l’omicidio, nel 2018 di Ján Kuciak, un giornalista investigativo di 27 anni che lavorava per il sito web Aktuality.sk, assassinato nella sua casa da uno o più sicari, a colpi di pistola, assieme alla sua fidanzata, Martina Kušnírová. Il giovane reporter aveva già rivelato che uno dei più stretti collaboratori di Fico era stato socio in affari di un membro del clan calabrese della ‘ndrangheta. E stava continuando a “scavare”, alla ricerca delle prove di ulteriori infiltrazioni mafiose nel cuore delle istituzioni slovacche. Kuciak sosteneva che uomini d'affari italiani legati alla ‘ndrangheta, con la complicità di politici locali corrotti, si erano stabiliti da anni nella Slovacchia orientale studiando sistemi per appropriarsi indebitamente di fondi dell’Unione Europea. Due giorni dopo il duplice omicidio, che aveva scatenato enormi proteste di piazza, il ministro della Cultura Marek Maďarič aveva deciso di dimettersi: «Non posso sopportare il fatto che un giornalista sia stato ucciso durante il mio mandato», aveva spiegato. Pochi giorni dopo fu il Ministro degli Interni e vice primo ministro, Robert Kaliňák, a lasciare l’incarico. La pressione dell’opinione pubblica divenne tale che anche il primo ministro Fico fu costretto a dimettersi. Oggi, cinque anni dopo, di quel duplice omicidio quasi non si parla più. Un sondaggio condotto dallo Ján Kuciak Investigative Journalism Centre proprio in occasione del quinto anniversario degli omicidi, ha rivelato che il 66% dei giornalisti slovacchi ha ricevuto minacce tra il 2022 e quest’anno.

Anche l’estrema destra nella roulette delle alleanze

La battaglia elettorale è comunque apertissima. Il vantaggio di Smer resta sottile, ma se anche il partito di Robert Fico dovesse riuscire a vincere le elezioni poi dovrà comunque affrontare il secondo step della salita: formare un’alleanza di governo. Tra i partner potenzialmente affini ci sono i socialdemocratici di Hlas (formazione nata per scissione da Smer, il leader è l’ex premier Peter Pellegrini), attualmente accreditato del 13%, e il Partito Nazionale Slovacco (Slovenská Národná Strana – SNS), nazionalisti filo-russi che potrebbero superare di poco la soglia del 5%, il minimo per poter entrare a far parte del Parlamento. E se la somma non dovesse bastare, una consistente stampella potrebbe venire da Republika (stimata all’8,6%), formazione di estrema destra, sempre ammesso che gli altri alleati siano d’accordo a far entrare nella squadra di governo estremisti di questo calibro.

Michal Simecka, leader di Progresivne Slovensko, principale rivale di Smer, non ha dubbi: «Insieme ai partner estremisti, Fico vuole riportare la Slovacchia a un passato in cui gli oligarchi dominavano lo stato». Ma i liberali stanno pagando la loro posizione dichiaratamente schierata al fianco dell’Ucraina, soprattutto dopo la decisione del governo slovacco (al pari degli esecutivi di Polonia e Ungheria) di rinnovare i divieti d’importazione del grano ucraino che erano stati imposti dall’Unione Europea. Decisione presa il 15 settembre scorso per continuare a proteggere gli agricoltori locali dalle importazioni a basso costo, che avrebbero potuto “distorcere il mercato”. E l’Ucraina, per tutta risposta, ha intentato una causa legale contro i tre stati davanti all’Organizzazione mondiale del commercio, sostenendo che “tali restrizioni sono una violazione degli obblighi internazionali da parte dei vicini dell’UE”. Insomma, lungo la cerniera est dell’Unione Europea sembra finita l’armonia con Kiev. E le forze politiche che cavalcano e rivendicano autonomia potrebbero trarne un immediato beneficio alle urne.

Cosa resterà dopo il “folclore” elettorale?

Scrive il Centro per gli Studi Orientali (OSW), con sede a Varsavia, in un’analisi pubblicata pochi giorni fa: «Nello scenario più probabile, cioè la vittoria del partito Smer, Bratislava ridurrà il sostegno politico alla difesa dell’Ucraina. Nell'ultimo anno e mezzo, la Slovacchia è diventata il sesto maggiore donatore di vari tipi di sostegno a Kiev in relazione al PIL. La continuazione degli aiuti militari sarebbe comunque difficile, poiché le scorte di equipaggiamento che potrebbero essere date al suo vicino invaso sono esaurite. Fico annuncia anche l’opposizione all’adesione dell’Ucraina all’Alleanza del Nord Atlantico (anche se non è contrario all’ammissione del paese nell’UE) e una politica orientale analoga a quella perseguita dal governo di Budapest. Sebbene la sua retorica elettorale sia a volte ancora più fortemente anti-ucraina di quella impiegata da Viktor Orbán, Fico era precedentemente diventato noto come un politico pragmatico. Quindi, solo la realtà post-elettorale mostrerà quanto profondi saranno i cambiamenti che attendono le relazioni Slovacchia-Ucraina».

Il pragmatismo di Robert Fico è noto. Com’è evidente che più si avvicina la scadenza elettorale e più i toni si alzano, si estremizzano. Come lo stesso leader di Smer ha detto recentemente all’ambasciatore degli Stati Uniti, lanciando di fatto un messaggio agli investitori internazionali: «Ora siamo nella fase del cosiddetto folklore politico, chiamato campagna elettorale, ma dopo il 30 settembre il paese si calmerà di nuovo». Rileva ancora il Centro Studi OSW, quasi a “tranquillizzare” nel caso, probabile, di un nuovo incarico all’ex premier: «Attualmente Fico non ha alcun interesse a entrare in un’accesa disputa con l’Occidente. E quindi i cambiamenti nella politica estera potrebbero non essere così profondi come molti media internazionali stanno prevedendo». Come a voler dire: Robert Fico abbaia, ma non morde. Sarà: ma fidarsi di un personaggio dal passato tutt’altro che irreprensibile, tra sospetti di corruzione e di aver, di fatto, messo in piedi uno “stato mafioso” negli anni dei suoi precedenti mandati, che non ha esitato a definire l’Unione Europea come “una macchina da guerra sotto l’influenza degli Stati Uniti”, o la stessa Presidente della Slovacchia, Zuzana Čaputová, come “un burattino nelle mani della Casa Bianca”, è un rischio di non poco conto. «Smer e i partiti più piccoli a loro vicini stanno alimentando i reietti, persone stanche della globalizzazione, stanche del capitalismo crudele», ha spiegato Viera Zuborova, politologa presso il Bratislava Policy Institute, interpellata dall’autorevole rivista americana Foreign Policy: «È la stessa narrazione di Trump, che riesce a mobilitare i dimenticati, i diffidenti». La vera posta in gioco la riassume la piattaforma di analisi Visegrad Insight: «La Slovacchia si trova di fronte a un dilemma: rafforzare la sua fragile democrazia o potenzialmente virare verso l’autocrazia guidata dalla xenofobia, in allineamento con la Russia e i leader illiberali». Domenica 30 settembre gli elettori sceglieranno da che parte andare.

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