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Sulle distese dei ghiacci groenlandesi, e soprattutto sulle risorse nascoste sotto di essi, si sta giocando una partita geopolitica che potrebbe ridefinire gli equilibri globali. L’isola, strategicamente posizionata nell’Artico e ricca di terre rare, è diventata l’obiettivo di attenzioni da parte di Stati Uniti, Cina, Russia e Unione Europea. Mentre il presidente statunitense Donald Trump esprime un crescente interesse per questo enorme territorio, i leader isolani ribadiscono la loro determinazione a mantenere l’autonomia e a decidere il proprio futuro. Con le elezioni imminenti e la questione dell’indipendenza dalla Danimarca al centro del dibattito politico, la Groenlandia si trova a un bivio cruciale, dove le aspirazioni economiche si intrecciano con le sfide della sovranità.
Per capire meglio che aria si respira lassù a cavallo del circolo polare, abbiamo fatto qualche domanda a Davide Del Monte, giornalista freelance e coautore assieme alla videomaker Federica Bonalumi della lunga inchiesta-reportage realizzata per IrpiMedia (da cui è stato distillato anche un video pubblicato su Internazionale). Innanzitutto gli chiediamo com’è nata l’idea di andare in Groenlandia, e ci dice che in realtà “tutto inizia alcuni anni fa perché già allora tornava spesso il tema dell’Artico come futura regione di guerra economica”. E cita come fonte d’ispirazione i libri del giornalista Marzio G. Mian Guerra bianca - Sul fronte artico del conflitto mondiale e Artico - La battaglia per il grande nord (usciti rispettivamente nel 2022 e 2018, entrambi per i tipi di Neri Pozza).
Poi Del Monte aggiunge che “siccome non mi piace raccontare luoghi dove non sono mai stato, grazie al sostegno di Journalismfund Europe siamo riusciti a organizzare un viaggio di 15 giorni nell’agosto del 2024”. Chiaramente in Groenlandia è meglio andarci d’estate dato che nel resto dell’anno le condizioni sono davvero proibitive, ma già da mesi avevano iniziato “a fare tutto il lavoro di pre-reporting e di raccolta dei contatti: politici, attivisti e cittadini da intervistare”.
Che cosa dicono i groenlandesi
Una volta raggiunta la meta, Del Monte racconta che quasi tutte le persone che hanno incontrato esprimono una grande preoccupazione: “è una sensazione molto diffusa soprattutto per i cambiamenti climatici che nell’Artico sono molto più visibili, e si stima che siano circa 4 volte più veloci che nel resto del mondo”. In effetti molte ricerche scientifiche si concentrano sui ghiacciai groenlandesi e dal 1978 a oggi quelli più settentrionali dell’isola hanno perso oltre il 30% del loro volume totale (come già raccontato in un altro articolo).
E ai giornalisti italiani queste manifestazioni visibili della crisi climatica in atto venivano “mostrate in continuazione, per esempio ci dicevano che sulla cima di quella montagna una volta la neve restava anche in estate e ora invece ce n’è pochissima, o che in quel fiordo il ghiaccio di solito era alto come una persona e adesso invece arriva a poco più di mezzo metro”. Varie persone incontrate durante il loro viaggio vivono ancora di caccia e pesca, attività che le portano a essere in stretto rapporto con l’ambiente naturale, ragion per cui si sentono ancora più minacciate dai cambiamenti climatici.
Diversa è invece l’opinione espressa (soprattutto dai politici) sullo sfruttamento delle risorse nel sottosuolo, come nota Del Monte: “verso le attività di estrazione mineraria l’atteggiamento è più positivo, tranne per le miniere di uranio che invece sono state molto osteggiate anche dal governo”. Nel 2021 infatti è stato bloccato per legge un imponente progetto minerario a Kvanefjeld, nel sud dell’isola, anche se una battaglia legale è ancora in corso.
Ma l’opposizione alla miniera di uranio non riguarda tutte le attività estrattive, per esempio Dal Monte ci dice che la ministra groenlandese per le risorse minerali Naaja Nathanielsen “vorrebbe ampliarle, soprattutto per le terre rare”. Queste attività però si basano su investimenti che provengono dall’estero, dato che la Groenlandia non ha né le risorse economiche né le infrastrutture tecnologiche per farlo in autonomia. Il motivo per cui si guarda con favore alle industrie minerarie estere è che “questo servirebbe a ottenere l’indipendenza dalla Danimarca, che è la loro priorità - spiega Del Monte - ma prima che politicamente hanno bisogno di rendersi indipendenti economicamente, dato che più del 20% del PIL dell’isola arriva dalla corona danese, con una somma di 500 milioni di euro all’anno”.
Gli interessi che ruotano intorno alla Groenlandia però non sono solo di tipo economico, per le enormi risorse che contiene il suo territorio, ma anche di tipo militare e strategico, dal momento che per la sua posizione fa da scudo naturale agli USA rispetto alla costa russa. E tutto ciò spiega perché in questo momento storico un Paese con poco più di 56.000 abitanti, ma con una superficie grande come oltre 4 volte la Spagna, sia al centro del dibattito globale.
Quale futuro per la “terra degli Inuit”?
Venendo appunto alle ultime notizie che arrivano dal circolo polare artico, nella primavera del 2025 dovrebbe essere annunciato il referendum per l’indipendenza dell’isola che però, come sottolinea Del Monte, “era stato promesso prima delle elezioni presidenziali statunitensi e ora si teme che questo significherebbe cadere direttamente tra le braccia di Trump”. D’altronde pur essendo formalmente un territorio danese, la Groenlandia non fa parte dell’UE perché già nel 1982 aveva deciso di uscire da quella che allora si chiamava Comunità economica europea. La fuoriuscita era motivata “soprattutto da questioni legate alla pesca - prosegue Del Monte - e infatti oggi è un Paese semi-indipendente in cui per esempio la politica estera e la sicurezza sono decise in Danimarca”.
C’è poi il tema delicato delle popolazioni Inuit che qui costituiscono circa il 90% degli abitanti, non per nulla il nome di questo territorio nella lingua groenlandese è Kalaallit Nunaat, che significa “terra dei Kalaallit” ovvero degli Inuit che abitano soprattutto nell’ovest dell’isola. E questo è un punto fondamentale secondo Del Monte poiché ne fa “l’unico Paese dell’emisfero nord in cui le first nations sono la maggioranza e governano: per loro è motivo di grande orgoglio e sentono la responsabilità di rappresentare una cultura e delle tradizioni che altrove sono state completamente assimilate o marginalizzate”.
In Groenlandia il passato coloniale è ancora molto presente, e infatti la terza parte dell’inchiesta-reportage pubblicata su IrpiMedia parla delle politiche di “deportazione di massa attuate negli anni ’60-’70, in cui interi villaggi sono stati svuotati per portare le persone nella capitale Nuuk”. Queste deportazioni sarebbero state giustificate, secondo il governo danese, da questioni di praticità economica, perché sarebbe stato molto più costoso portare servizi e infrastrutture fino alle comunità più piccole e disperse. Ma come ci spiega Del Monte lo sradicamento di intere comunità ha portato l’isola ad avere “tassi di alcolismo e violenza domestica altissimi, oltre al tasso di suicidi più alto al mondo, pari a più di otto volte la media mondiale”.
Insomma il futuro groenlandese non è semplice da predire e i temi sul tavolo sono legati sia al suo passato di ex-colonia che al suo presente di territorio su cui varie superpotenze hanno messo gli occhi. Sicuramente è un Paese sul quale varrà la pena tornare, e a tal proposito Davide Del Monte ci svela che stanno “provando a organizzare un altro viaggio per ritornare in Groenlandia; forse in occasione del referendum che dovrebbe tenersi entro l’estate oppure subito dopo quando sono previste anche le elezioni politiche”. E di sicuro il dibattito sull’indipendenza si farà ancora più acceso nei prossimi mesi…