L’orbita del potere
La Terra vista dalla sua orbita. Foto: DLR/Alejandro Morellon
Per decenni lo spazio è stato il luogo simbolico della cooperazione internazionale. La Stazione spaziale internazionale, nata negli anni Novanta, ne è stata l’emblema: un laboratorio comune sospeso tra Terra e cielo, in cui scienziati russi e americani lavoravano fianco a fianco anche nei momenti di maggiore tensione diplomatica. Oggi quel modello vacilla.
Il nuovo rapporto Reuters Geopolitics in Space fotografa un panorama radicalmente mutato: la guerra in Ucraina, la crescente assertività cinese e l’incertezza politica americana hanno accelerato una trasformazione che sta ridefinendo il modo in cui le potenze si muovono in orbita. Lo spazio non è più un dominio neutro, ma un campo dove si misurano sovranità, sicurezza e capacità industriale.
La nuova “sovranità” orbitale
Negli anni della globalizzazione, l’industria spaziale si era costruita come una rete interconnessa: componenti fabbricati in Europa, lanci dagli Stati Uniti e dalla Russia, satelliti operati da consorzi internazionali. Quel sistema oggi mostra i suoi limiti. Le sanzioni alla Russia, le tensioni tecnologiche tra Washington e Pechino e le vulnerabilità delle catene di approvvigionamento hanno convinto i governi che l’autonomia nello spazio non è un lusso, ma una necessità di tipo strategico.
L’Unione Europea lavora al programma IRIS², una costellazione per la connettività sicura che dovrà entrare in funzione entro il 2030. È la risposta europea a Starlink e all’egemonia americana nell’infrastruttura orbitale, ma anche un modo per ridurre la dipendenza dalle tecnologie estere. In parallelo, la Cina porta avanti il suo Guowang, e la Russia punta su reti più piccole ma interamente domestiche.
È il ritorno di una logica dei blocchi: lo spazio viene visto sempre più come un’estensione delle aree di influenza politica e industriale.
Starlink, l’infrastruttura che ha cambiato le regole
L’uso della rete Starlink in Ucraina ha reso tangibile un concetto che fino a pochi anni fa sarebbe stato solamente teorico: un’infrastruttura privata può diventare un asset di sicurezza nazionale. Oggi la costellazione di SpaceX conta più di 8.000 satelliti operativi e oltre 7 milioni di utenti nel mondo.
La sua efficienza, ma anche la sua capacità di condizionare decisioni politiche, ha spinto governi e agenzie a chiedersi quanto sia saggio dipendere da un operatore commerciale. Le alternative — come Kuiper di Amazon, IRIS² o le iniziative cinesi — sono ancora lontane da una piena operatività. Ma la direzione è segnata: nessuna potenza è intenzionata a trovarsi priva di connettività autonoma in caso di crisi.
Difesa e deterrenza: il Golden Dome e la risposta europea
Negli Stati Uniti il dibattito si concentra sulla proposta del Golden Dome, un programma da 175 miliardi di dollari in tre anni per costruire una rete di difesa orbitale integrata con sistemi di sorveglianza e tracciamento dei detriti. I contorni restano incerti, ma il messaggio è chiaro: la sicurezza dello spazio è ormai parte della sicurezza nazionale.
L’Europa si muove con più cautela. Il progetto EOGS (Earth Observation Governmental Service), in preparazione presso l’ESA, avrà una funzione principalmente ricognitiva: monitorare la superficie terrestre e l’ambiente orbitale, più che costruire capacità di ingaggio. È una differenza di filosofia, ma anche di budget.
A cambiare, però, è soprattutto la percezione: lo spazio è diventato una componente della deterrenza strategica, al pari di mare, aria e cyberspazio.
Il ritorno della politica industriale
Le grandi potenze non si limitano più a finanziare la ricerca: tornano a esercitare un controllo diretto sulle catene produttive. Negli Stati Uniti il dipartimento della Difesa ha introdotto il sistema Front Door, una piattaforma per semplificare l’accesso delle startup alle procedure di appalto federali e alle gare del Pentagono.
In Europa, invece, la frammentazione burocratica resta un ostacolo. Per partecipare ai programmi spaziali comunitari le aziende devono avere sedi o centri di produzione nell’Unione, e molte PMI stanno delocalizzando per qualificarsi come fornitori “europei”. È la logica del friend-shoring: costruire all’interno di reti di Paesi alleati, riducendo le interdipendenze con potenze rivali.
Leggi anche: Europa, la sfida per tornare protagonista dello spazio
Capitale privato e tecnologie dual-use
Nonostante l’incertezza globale, il flusso di capitali verso lo spazio resta solido. Nel terzo trimestre del 2025, secondo Reuters, gli investimenti di venture capital hanno toccato 5,8 miliardi di dollari, distribuiti su 115 aziende.
Il segmento più dinamico è quello dual-use, dove le applicazioni civili e militari si sovrappongono: comunicazioni, osservazione terrestre, propulsione e capacità di difesa spaziale. Per i fondi di investimento queste sono le scommesse “più sicure”: tecnologie con un mercato commerciale, ma sostenute da contratti governativi a lungo termine.
È la stessa traiettoria che ha reso l’aerospazio uno dei settori chiave della politica industriale americana del Novecento, ora rieditata in chiave orbitale.
Mentre i blocchi si consolidano, alcuni Paesi cercano di mantenere margini di manovra. Senegal e Thailandia hanno firmato sia gli Artemis Accords promossi dagli Stati Uniti, sia il memorandum per la International Lunar Research Stationcinese. Scelte che segnalano la volontà di restare aperti a più interlocutori in un mondo frammentato.
Lo spazio diventa così un terreno di diplomazia fluida, dove la cooperazione scientifica si intreccia con le strategie di allineamento economico e politico. Una partita che si gioca anche sul terreno delle regole: il diritto spaziale internazionale, fermo agli anni Settanta del secolo scorso, fatica a regolare un ecosistema dominato da attori privati e da tecnologie a duplice uso.
Un’economia da seicento miliardi
Secondo il rapporto, l’economia spaziale globale ha raggiunto nel 2024 un valore di 613 miliardi di dollari. Solo un quarto di questa cifra deriva da spesa pubblica; il resto è sostenuto da operatori privati, startup e persino investitori individuali ad alto patrimonio.
L’orbita è diventata un’estensione dell’economia digitale: fornisce connettività, dati, infrastrutture di sicurezza e sorveglianza. È anche un mercato sempre più competitivo, in cui il confine tra pubblico e privato tende a dissolversi.
Lo spazio come specchio della Terra
Lo spazio, scrive Reuters, non è più il laboratorio della cooperazione globale, ma il riflesso amplificato delle tensioni terrestri. Ogni decisione orbitale — che si tratti di lanciare una costellazione, finanziare una startup o firmare un accordo lunare — risponde ormai a logiche di sicurezza e di potere.
La sfida, per l’Europa e per il mondo, sarà trovare un equilibrio tra autonomia e interdipendenza, tra protezione e apertura. Perché un cielo diviso, come ricorda la storia, non è mai stato un cielo più sicuro.