SOCIETÀ
Non facciamo troppi buoni propositi sugli errori e sulle ignoranze future
Fra i buoni propositi per le prossime festività di fine 2024 e per il 2025 forse potremmo non contemplare di fare meno errori e diventare meno ignoranti. Compiere errori e restare ignoranti è costitutivo di ogni individuo della nostra specie e di ogni tempo della nostra individuale esistenza. Non è questione collettiva o sociale, caratterizza ciascuno di noi e non possiamo mettere in campo pensieri e comportamenti che lo evitino sempre e comunque. Non dovremmo, ovviamente, compiacerci per gli errori, piuttosto dispiacerci. Tuttavia, quasi mai sappiamo quando e quanti ne commetteremo, né sono davvero preventivabili o ovviabili gli effetti; riguardano innumerevoli scelte e comportamenti di ogni giorno, considerando che siamo poi travolti da scelte e comportamenti immediatamente successivi (pure talvolta erronei); capita abbastanza frequentemente che nemmeno ce ne accorgiamo, sono relazionali (per esempio, se ne avvede un lettore se l’errore è scritto e non matura il desiderio o le condizioni di avvisarci). Vanno preventivati nelle nostre esistenze, ma poi alla prova dei fatti non necessariamente dobbiamo pentircene.
Del resto, vi è un nesso non solo etimologico fra il fare errori e il muoversi errando. Le originarie migrazioni ambientali e climatiche di milioni (le specie umane) e centinaia di migliaia di anni fa (anche i sapiens) non risultavano orientate da/a, non erano emigrazioni e immigrazioni; avvenivano a piedi, non avevano altre opzioni di movimento che gli arti inferiori, il cammino o la corsa; tendevano a ricollocarsi in habitat simile a quello che si era lasciato; erano guidate da topografie come il corso di un fiume o il passo di un crinale oppure dalle migrazioni di altri animali; non cercavano altro che quello che non avevano lì (più o abbastanza). Anche la carestia esercita una pressione selettiva sul rendimento energetico e sulla fecondità di individui e gruppi. Si trattava spesso di migrazioni forzate dai cambiamenti climatici: fughe dai ghiacci, dagli inaridimenti repentini o ciclici del suolo, da disastri, fughe verso aree senza ghiacci e con acqua dolce, fino alla sorpresa del prossimo cambiamento. Eravamo quasi del tutto “ignoranti” del mondo “fuori” dal nostro contesto.
Un tempo si camminava verso un altrove, ci si orientava eventualmente con le stelle e, ancora eventualmente, con esperienze; talvolta si sopravviveva e si generava, talvolta no; talvolta solo alcuni, talvolta no; si fluiva geneticamente altrove. Appunto, si errava: la radice dei sostantivi errante e errore è lo stesso dubbioso vagabondare, dal latino e dai precedenti indoeuropei, tale è rimasta in italiano, francese (erre), spagnolo (yerro) e in altre derivazioni. Il migrante era prevalentemente un errante. Abbiamo già spesso riflettuto sui nostri errori e sulle nostre ignoranze.
Poche settimane fa Gianrico Carofiglio (Bari, 1961) ha scritto un sintetico saggio in materia, Elogio dell’ignoranza e dell’errore, Einaudi Torino 2024, partendo da un senso comune: fin da bambini ci raccontano che sbagliare è violare le regole, sbagliare è fallire; l’errore sembrerebbe sempre e comunque un danno. Oppure che l’ignoranza relega alla marginalità; se si vuole offendere basterebbe semplicemente contraddistinguere qualcuno come ignorante. Meglio, invece, secondo l’autore, rivalutare errori e ignoranza. Il singolo errore è una parte inevitabile dei processi di apprendimento e di crescita, abbiamo maggiori sviluppo ed equilibrio se lo capiamo preventivamente o se ci mettiamo nelle condizioni di ammetterlo spesso. L’ignoranza di ciascuno è inevitabilmente sconfinata ed enciclopedica, abbiamo maggiori successo e meraviglia se lo diamo simpaticamente per scontato o accettiamo di stupirci ancora con nuove conoscenze. Esercitiamo, dunque, ragionevoli dubbi e incertezze su quel che sappiamo, diciamo, facciamo: questa è l’indicazione di Carofiglio che prosegue ragionando su alcune competenze giuridiche e giudiziarie.
Il concetto di “condanna al di là di ogni ragionevole dubbio” è un principio fondamentale dei sistemi giudiziari penali, la colpevolezza stabilita con un grado di approssimazione quasi pari alla certezza assoluta. Nonostante ciò, molte condanne risultano erronee; dal 1976 a oggi, solo negli Stati Uniti si contano decine e decine di rei confessi poi scagionati dal test del DNA; inadeguatezze investigative, incompetenze dei periti, scorretta valutazione delle prove, preconcetti e bias cognitivi degli investigatori e dei magistrati hanno poi fatto talora condannare degli innocenti rei non confessi. Le buone indagini sono fatte di errori, improvvisazione e fortuna. Bisognerebbe usare sempre cautela, senso critico, dubbio costruttivo. Per provare davvero una congettura bisognerebbe tentare di demolirla; ciò vale anche per molte ricerche scientifiche e per le attività della sfera personale: avanzare per tentativi ed errori, scommesse non catastrofiche, previsioni reversibili e dubitative, continui cambiamenti di rotta, in modo di riuscire ad adeguare le teorie e le azioni all’incremento progressivo delle nostre conoscenze.
Carofiglio mette a disposizione di lettori e cittadini qualche ulteriore consiglio per valutare i pensieri e agire in società (dopo quelli sulla gentilezza e sul coraggio di qualche anno fa). Il suo volume è breve ed efficace, lo stile arguto, l’incedere elegante; ogni capitolo contiene spunti da vicende reali (qualche volta autobiografiche) o citazioni che rendono una prima idea; niente note a piè di pagina o disquisizioni prolisse; sintetica bibliografia finale. Nel primo capitolo mette in connessione la ricerca della verità (non solo giudiziaria) con il funzionamento della mutevole memoria. Nel secondo elenca frasi predittive erronee (alla successiva prova dei fatti) di grandi uomini, concludendo che “il rischio della stupidità riguarda tutti” e che un esperto è più preciso se e quando misura la parzialità della propria competenza. Sia per il termine “errore” che per “ignoranza” o per altri concetti parte dal vocabolario, accenna a definizioni, sinonimi e contrari in modo di relativizzare alcuni automatismi o reputazioni.
Niente richiede più preparazione della capacità di improvvisare, secondo Carofiglio: questa può essere la premessa di ogni ragionamento. L’improvvisazione è un’arte, implica flessibilità mentale e fiducia nei propri mezzi; si “risulta” capaci quasi sempre solo dopo un costante allenamento (gestire l’incertezza con grazia e calma), esperienze (ignoranti ed erronee) che ci mettono alla prova; l’eccessiva pianificazione dell’agire è sempre inutile, spesso dannosa (qualcuno ne sa qualcosa). Non a caso, la storia della scienza è piena di esempi di scoperte avvenute per “caso” o durante esperimenti che non erano stati pianificati in anticipo (l’autore usa il discutibile termine giuridico di successo “preterintenzionale” e poi ragiona su cosa sia la “fortuna”). Non a caso, nelle arti marziali la prima cosa che viene insegnata agli allievi è la tecnica delle cadute. Non a caso, gli innovatori (come Marshall e Warren nella medicina o Fosbury nello sport) non vengono accettati con facilità. Ovviamente, alcuni scienziati di varie discipline hanno studiato a fondo le tipologie di errori (qui non si entra nel merito); altri insistono su un uso maggiore dell’avverbio “forse”; e, comunque, cadute, errori, ignoranze fanno anche danni, gravi in molti casi, non è bello che ci accadano, Carofiglio ne accenna, saperci imperfetti per definizione aiuta poco in realtà. Nel nono capitolo (ultimo prima di concludere) si parte dal decalogo di Popper e da una frase di Goethe, per convincerci che forse gli errori possono pure renderci amabili con noi stessi.
La bibliografia riportata da Carofiglio è parziale e selezionata. Qualche anno fa scrisse un libro sull’errore anche Pietro Greco (Barano d’Ischia, 1955 - Ischia 2020), qualche giorno fa lo abbiamo pensato con stima e affetto il grande comunicatore scientifico nel quarto anniversario della scomparsa: Errore, Doppiavoce Napoli 2019. Pietro ricorda subito che la vita, di tutti, ovunque, risulta piena di errori, lo sappiamo o intuiamo. Sbagliando s’impara, vero è, non solo un detto popolare. Eppure filosofi e storici, ricercatori sul campo ed epistemologi hanno impiegato secoli per comprenderlo. Ora, da almeno un secolo, gli scienziati hanno piena consapevolezza del filo rosso che lega l’errore all’apprendimento. Così può essere divertente e utile ripercorrere con la memoria analitica dieci errori d’autore, tutti ricordati e “spiegati” da Greco nel suo testo. Si comincia con Cristoforo Colombo e le conseguenze fortunate di lungo periodo di una serie di errori di misurazione prima del 14 ottobre 1492. Si prosegue con Claudio Tolomeo e i cicli astronomici errati (cosa davvero ruota e intorno a cosa) e le dimensioni e le longitudini della Terra deformate; il Premio Nobel nel 1938 a Enrico Fermi (1901-1954), l’errore di valutazione di Nature e i dati della prima fissione artificiale del nucleo atomico male interpretati; il francese Jean-Baptiste Pierre Antoine de Monet, cavaliere di Lamark (1744-1829) e la prima (sbagliata) formulazione di una teoria scientifica sulla trasformazione dei viventi con tre fondamentali errori nel primo grande approccio all’evoluzionismo biologico; il presunto infinito immobile omogeneo isotropo universo fisico di Sir Isaac Newton (1643-1727) e l’invocazione pregiudiziale di Dio; l’evoluzione cosmica (statica o dinamica?) e la teoria della relatività generale di Albert Einstein (1879-1955), con l’occasione mancata della fisica teorica; il non-errore di Galileo (1564-1642); il doppio errore concettuale di Cartesio (1596-1650); l’errata fine della fisica di William Thomson barone Kelvin (1824-1907); la perduta certezza della matematica di David Hilbert (1862-1943). Non si finisce mai di commettere discutibili fertili errori.
Pietro Greco fa dieci esempi, lontani nel tempo e nello spazio, legati a cognizioni famose, all’interno di biografie complesse (sempre accennate con acume e ironia), utili a impostare correttamente anche il nostro rapporto con i continui errori che facciamo. Servono, facciamone tesoro, chiediamo scusa e trattiamoli con dolcezza, usiamoli per capirci e capirsi meglio. Non solo in ambito scientifico. Siamo fallaci, imperfetti. Per favorire migrazioni ed esplorazioni, Colombo errò e capì male, scoprì quella America di cui dopo nessuno più poté poi fare a meno. Non c’è biografia dove non esistano innumerevoli esempi di paralisi, rallentamenti, accelerazioni, tentativi, handicap, casi come deviazioni imprevedibili per gli attori e casi come informazioni incomplete di noi attori, errori come errori fattuali (o refusi, qui) ed errori proprio concettuali. Greco, citando tanti e soprattutto Popper, conclude su questa distinzione. L’errore (minimizzabile) di misura può essere strumentale, ambientale, procedurale e umano (trascrizionale o di stima); l’errore (falsificabile) di concetto è centrale nell’impresa scientifica, va cercato e non nascosto, non si sbaglia! Un’ulteriore riflessione sulle tipologie di errori ci condurrebbe lontano, talvolta si tratta dell’opzione volontaria fra più scelte consapevoli, relativizziamo l’errore “assoluto” (che pure esiste nelle dinamiche umane). Il testo di Pietro Greco non è un trattato, non è un compendio, non c’è bibliografia: leggerlo non va proprio considerato un errore!
Sempre nel 2019 usciva un altro testo con il medesimo titolo: Errore di Giulio Giorello e Pino Donghi, Il Mulino Bologna. Con garbo e stile, il grande epistemologo Giulio Giorello (Milano, 1945 – 2020, morto pochi mesi prima di Greco) e l’eccellente divulgatore scientifico Pino Donghi (Roma, 1957) tornano sulla potenza euristica dell’Errore, partendo da un messaggio difficile da ignorare che talora compare sugli schermi dei nostri PC, System error. Obsolescenza ed errori sono programmati, non si aggiustano, bisogna resettare e ricominciare, spegnere e riaccendere. Al tempo della società controllata dagli algoritmi, se cadiamo in una situazione imprevista dalla procedura, è impossibile per l’utente ritornare dentro una qualche configurazione gestita, se ne deve occupare il dio-architetto-progettista. La trilogia cinematografica di Matrix lo aveva già mostrato sul grande schermo: l’errore è proprietà e funzione della programmazione originaria, prescinde dal concreto operare e dalle eventuali improbabili emozioni sia degli schiavi che dei ribelli.
L’imprecisione corrisponde a imperfette libertà ed emozioni, la perfezione è a prova di errore. Bizzarro. Homo sapiens e la straordinaria civiltà che è riuscito a costruire sono frutto della sua naturale propensione alla scoperta di nuovi mondi e all’altrettanto ineludibile attitudine al racconto, dipendono in sostanza dagli innumerevoli errori di trascrizione genetica alla base di quel processo evolutivo scoperto da Darwin e ben interpretato dai successivi filosofi della scienza capaci di elogiare proprio gli errori (Mach e Popper soprattutto). Carofiglio titola su ignoranza ed errore, Giorello e Donghi riflettono su conoscenza ed errore, che dipendono da medesimi meccanismi psichici: solo il risultato permette (transitoriamente) di distinguerli. L’errore è il motore stesso della ricerca, un’impresa collettiva (di colleghi e rivali, falsi e veri, per scelta o per caso) e mai solo individuale. Per questo la politica dovrebbe ispirarsi un poco di più al dibattito scientifico, almeno nella modalità argomentativa di ciascun protagonista e gruppo di parte, consapevole che ogni azione e ogni progettualità producono conseguenze, sovente inattese, qualche volta sgradevoli. Triste ma frequente che si dia purtroppo torto a quest’ineccepibile esigenza.
I due autori sottolineano la svolta dell’evoluzionismo che struttura la biologia, anticipa e indirizza la genetica. Senza errori non c’è evoluzione, senza errori non c’è progresso della conoscenza. Le idee buone vengono dalla tradizione filosofica, dalle letture spregiudicate, dalle intuizioni creative degli scienziati. Un significativo capitolo è dedicato alla meraviglia biologica del nostro corpo e agli errori in medicina, rari, non augurabili e spesso prevenibili, ma mai inconcepibili. Come in tutte le attività umane, periodici errori sono inevitabili, di regola non causati dalle azioni di un singolo e tantomeno intenzionali. Certo, c’è sempre una responsabilità (colpevolezza) basata sull’elemento della scelta, proprio la riflessione sulle circostanze (talora attenuanti) degli errori nell’esercizio della relazione fra medico e paziente, fra sanità e pubblico, costituiscono un’insostituibile occasione per il miglioramento del sistema stesso, oltre che per la corretta valutazione dell’innegabile individualità della risposta a trattamenti e cure ed eventualmente per risarcire le vittime occasionali. Ogni scienza è una grande arte dell’approssimazione. Conta il principale fattore umano, pensare: il volume si chiude con l’esemplare citazione del caso (2009) del pilota americano di aerei Sullenberger meravigliosamente portato al cinema da Eastwood e Hanks (2016), Sully.
Sfruttiamo al meglio il grande futuro che l’errore ha davanti a sé, questo ci dicono i tre volumi dei quattro autori italiani citati. Ne potremmo ricordare altre decine in materia negli ultimi anni. Per esempio, sempre nel 2019 uscì in francese il saggio del parigino Olivier Sibony (1967), studioso e consulente di pensiero strategico e processi decisionali (Vous allez commettre une terrible erreur!), tradotto in italiano da Raffaello Cortina nel 2022, dedicato soprattutto alle trappole dei bias cognitivi. Per esempio, sempre nel 2024 è uscito il bel volume scientifico di Piero Martin (1962), professore di fisica all’Università di Padova (con studi più volte qui citati), Storie di errori memorabili, Laterza. Vale la pena documentarsi, comunque serve a riconoscerli e a distinguerli: leggere saggi sull’errore è interessante, triste o divertente che appaia individualmente a noi. Non ci farà commettere molti meno errori probabilmente: il guazzabuglio inestricabile dei nostri pensieri, delle nostre presunte scelte e delle nostre azioni continuerà a produrne, per quanto aggiungiamo preventivamente “forse”, per quanto esclamiamo successivamente “scusa”, per quanto sia possibile minimizzare effetti permanenti, per quanto talora impariamo dalle esperienze, per quanto spesso ne paghino altri (allora occorrono davvero per noi responsabilità, onore, disciplina) e ne paghiamo pure noi le conseguenze. Conviviamoci. Auguri.