CULTURA

Soggetti cinematografici mai realizzati. Zavattini e l’estetica dell’incompiuto

Il 15 dicembre 1960, nel suo Diario cinematografico, Cesare Zavattini (Luzzara, 20 settembre 1902 – Roma, 13 ottobre 1989)  scriveva: "Perché è un danno non fare un film quando lo devi fare; come un quadro si fa in quanto passaggio a un successivo quadro, altrettanto è con i film, ed è mostruoso questo pestar l’acqua nel mortaio. Davvero si arrossisce continuando a ripetere per anni il nome di un film che si ha nel cassetto, e credo seriamente che questo costituisca sempre una remora spirituale". Proprio di questo parliamo: dei soggetti ideati e scritti da Zavattini mai arrivati in sala, storie da cui si sarebbero potute o dovute sviluppare le relative sceneggiature, a volte scritte con urgenza, spesso brevissime, stese in forma di appunti, altre meditate, discusse, ripensate, corrette.

L’Archivio Cesare Zavattini della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia conserva documenti relativi a circa duecentotrenta film scritti e firmati dallo sceneggiatore, che fu anche giornalista, commediografo, scrittore, poeta e pittore: di questi, circa centosessanta sono i soggetti scritti per il cinema ma mai realizzati, molti dei quali inediti. Ora, Soggetti cinematografici mai realizzati a cura di Mauro Salvador e Nicola Dusi (Marsilio), primo volume dell’Edizione nazionale delle opere, offre al lettore molte di queste storie: si tratta di un volume ricco, che conta più di 500 pagine e si rivolge agli appassionati di cinema ma, soprattutto, a coloro che amano i soggetti da cui nascono i film, più che gli effetti speciali. Il miracolo, il raro talento di Cesare Zavattini risiede nella capacità di osservare attentamente il mondo piccolo (della gente comune) e nutrire, poi, l’immaginazione, non fermandosi alla semplice idea ma dedicandosi con cura allo sviluppo dell'intera scrittura. A Zavattini non mancava nulla. "Soggettista e sceneggiatore tra i più fervidi e irrequieti del cinema italiano […] incarna in modo esemplare la figura dello scrittore di cinema, l’ispirata coscienza artigianale dell’inventore di film". Le parole giuste le trova il critico Orio Caldiron in apertura del volume: irrequieto, fervido, ispirato, artigiano, inventore.

Perché è un danno non fare un film quando lo devi fare; come un quadro si fa in quanto passaggio a un successivo quadro, altrettanto è con i film Cesare Zavattini

Nel 2019, su Il Bo Live, nel trentennale della scomparsa, di Zavattini scrive anche Giorgio Tinazzi, critico, storico del cinema italiano, già docente all'Università di Padova, sottolineandone l'ampiezza e ricchezza di sguardo, "il suo aprirsi ad angolo retto sul mondo". Per Zavattini "tutto è raccontabile, 'il banale non esiste' - spiega Tinazzi -. Ma questo non vuol dire passività di fronte al 'grande palcoscenico dell’esperienza' […] Non servono personaggi eccezionali, come vuole la tradizione di racconto, basta lo sguardo sul 'comune', il microcosmo è portatore di significati ampi: il paese, l’evento qualsiasi, l’occasionale, il pulviscolo dell’esperienza sono produttori di significati allargati. Basta saper guardare".

L’estetica dell’incompiuto, così la definisce Nicola Dusi nell’introduzione del libro, “da intendersi come le rovine di un sogno” e al tempo stesso come materiale prezioso che anticipa o nutre film successivi. Per il critico, storico del cinema e già docente all'ateneo di Padova Gian Piero Brunetta, citato nel volume stesso, risulta interessante considerare "il peso e l’influenza sul tempo creativo interiore dell’autore o il tempo del sogno di un film che non si realizza”. Brunetta è convinto che “molte di queste storie [aprano] se non una prospettiva nuova nella storia del cinema almeno una finestra, [fissando] un nodo problematico, [illuminando] un contesto culturale, politico, economico o produttivo; e che aiutino a vedere meglio all’interno del mondo di un particolare autore". 

Centosessanta soggetti scritti e mai arrivati in sala. Storie che combinano libera creazione e attenta osservazione della realtà, a cui si aggiungono quelle della cosiddetta "officina Zavattini", nate da un’idea di altri che a lui vengono affidate dai produttori per essere migliorate, per trovare soluzioni più avvincenti e credibili, più convincenti (il soggetto iniziale de Il ribelle del 1944 è di Renato Castellani, Le bambole del 1956 nasce da un’idea di Ennio Flaiano).

Il volume Marsilio offre una selezione di soggetti pubblicati e inediti seguendo un ordine cronologico che incrocia, con le necessarie variazioni, quelli pubblicati a cura da Roberta Mazzoni già nel 1979, e quelli a cura di Orio Caldiron del 2006. Così ritroviamo, come scriveva già Mazzoni, generi e temi dello "sviluppo cinematografico zavattiniano – la poetica dell’evento, il pedinamento, i film-inchiesta, i film sui personaggi reali, i film confessione – facendo parallelamente conoscere anche alcuni aspetti della cosiddetta soggettistica di mestiere – i cortometraggi comici, le commedie all’italiana, i film su ordinazione".

Tot, forse trent’anni – veste come un impiegato povero, ma estremamente dignitoso anche nei modi – passa le sue ore libere nei giardini pubblici della città: è molto noto fra i frequentatori […] Tot ama una fanciulla che quotidianamente prende posto con la madre su una panchina vicino alla grande fontana: una fanciulla bionda, molto bella, dallo sguardo malinconico. È difficile vederla sorridere, e siccome Tot sa che ella è colpita da una malattia del sistema nervoso, che appunto provoca la sua costante tristezza, si divide in mille per farla divertire (dal soggetto La casa dei tic nervosi)

Da La casa dei tic nervosi del 1934, soggetto charlottiano scritto per Totò, che racconta la storia di un inserviente (Tot) che porta la ragazza di cui è innamorato, all'apparenza inguaribile malinconica, nella casa per malattie nervose dove lui lavora affinché possa stare meglio, a La bomba del 1985, scritto per la televisione, il cui protagonista è un barbone romano ottantaquattrenne che, frugando nell’immondizia, si ritrova tra le mani una bomba di cui si impadronisce iniziando una vera e propria odissea. La prima versione contiene un preambolo del suo autore, il quale sottolinea come il progetto possa essere la continuazione di La veritaaaà del 1982, ovvero l'unico film (realizzato) non solo scritto, ma anche diretto e interpretato da Zavattini, che racconta la storia di Antonio, fuggito dal manicomio per gridare al mondo, appunto, la sua verità.

In mezzo trovano posto una cinquantina di altre storie da leggere come racconti, pensati per avere un corpo ed essere visti ma rimaste "immagini perdute", per usare le parole amare del regista e sceneggiatore Valerio Zurlini. Tra i soggetti più interessanti e coraggiosi degli anni Quaranta vi è senza dubbio Un minuto di cinema (1943), di cui è stato ritrovato un abbozzo di sceneggiatura nell’archivio di Reggio Emilia. Questa la sinossi: "Una banale lite per strada tra due coppie, una più anziana e tradizionalmente borghese, l’altra più giovane e irregolare, finisce con una revolverata. Le azioni vengono sezionate, riviste al contrario, rallentate e variate grazie ai mezzi del cinema (montaggio all’indietro, ripetizione di singole scene o dettagli, ralenti, primi piani)".

P.P.P. Antonio cade colpito. Carrello indietro vedendo Luisa che s’inginocchia su di lui e la gente che gli si fa attorno. Panoramica isolando Paolo col revolver ancora in mano, lasciato improvvisamente solo con l’aria impietrita e sgomenta. P.P. Un po’ dall’alto Antonio, Luisa e la gente intorno. P.A. Paolo e Maria siedono lentamente sul gradino del marciapiede. Carrello avanti fino al P.P.P. Dissolvenza (dal soggetto Un minuto di cinema)

Molti i soggetti degli Anni Cinquanta, mai realizzati, che si sistemano tra i capolavori approdati invece con successo al cinema nel dopoguerra, in pieno neorealismo: Sciuscià (1946), Ladri di biciclette (1948), Miracolo a Milano (1951), Umberto D. (1952). Tutti diretti da Vittorio De Sica. In questo periodo, in particolare, si colloca Tu, Maggiorani, soggetto del 1950 che, come spiega Caldiron, "ripercorre con toni scarni ed essenziali la storia di Lamberto Maggiorani, l’operaio della Breda che dopo una cinquantina di provini insoddisfacenti era stato scelto come protagonista di Ladri di biciclette, impegnandosi, una volta finito il film, a tornare al lavoro senza pensare più al cinema". Un tentativo ambizioso di "rovesciamento del cinema" attraverso il quale Zavattini indaga il personaggio reale.

L’autore per realizzare questo film crede necessario di fare un viaggio attraverso l’Italia della durata di due o tre mesi. Durante questo viaggio egli avrà gli incontri con le realtà che costituiranno la materia del film. In altre parole il viaggio va considerato come il periodo vero e proprio della sceneggiatura [...] L’itinerario, che è solo un itinerario tecnico, di questo primo viaggio potrebbe essere con partenza da Roma e ritorno a Roma arrivando prima in Sicilia, poi dalla Sicilia per la parte opposta a quella dell’andata su verso il settentrione, il Veneto, da Trieste al Piemonte, dal Piemonte a Genova Livorno (dal soggetto Italia mia)

Si è detto: sceneggiatore, giornalista, poeta e pittore, ma anche appassionato viaggiatore con una vocazione documentaristica. Nella sottosezione, contenuta negli anni Cinquanta, aperta da Italia mia (1951), sono raccolti i soggetti spagnoli, messicani e cubani attraversati da uno sguardo di ricerca e continua scoperta. Da Il pastore (El pastor) del 1954, che racconta la storia di un vecchio pastore spagnolo della Mancha, malato agli occhi, che accudisce le sue pecore accompagnato da un bambino, a Mexico mio del 1955 e Colore contro colore (Color contra color) scritto tra il 1959 e il 1960. Dell'anima esploratrice di Zavattini abbiamo scritto anche qui.

Ci troviamo a Cuba nell’ultimo anno della dittatura di Batista. Due pittori cospirano. Uno è un astrattista e l’altro figurativo. Discutono sui loro rispettivi modi di comprendere l’arte, che si confondono con la lotta politica. L’artista figurativo prova l’ansia di far coincidere il mondo etico e politico con quello artistico. L’artista astratto, di mantenere indipendente il momento artistico dal sociale (da Colore contro colore - Color contra color)

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