SCIENZA E RICERCA
Soluzioni tecnologiche al cambiamento climatico: lo schiarimento delle nuvole
La riduzione delle emissioni di CO2 è la via maestra da seguire per tentare di limitare il riscaldamento globale ai valori stabiliti dagli accordi di Parigi. Tale sforzo però potrebbe non essere sufficiente. Secondo alcuni, non dovremo soltanto smettere di immettere anidride carbonica in atmosfera: dovremo anche trovare il modo di eliminare dall’atmosfera parte della CO2 già presente.
Per fare questo esistono soluzioni naturali, come limitare la deforestazione, tutelare e ripristinare ecosistemi (come foreste e acquitrini) capaci di assorbire CO2 e gestire più oculatamente i terreni agricoli. Ma per limitare il riscaldamento globale esistono anche soluzioni artificiali, come la costruzione di macchinari in grado di catturare la CO2 e sequestrarla nel sottosuolo (CCS – Carbon Capture and Storage) o sistemi cosiddetti di geoingegneria solare che sparano particelle riflettenti nella stratosfera per aumentare la capacità delle nuvole di respingere la radiazione solare, abbassando così la temperatura del pianeta.
Agli appassionati di fantascienza verranno in mente scenari distopici come quelli raccontati nel 2013 dal regista sud coreano Bon Joon-ho in Snowpiercer (film tratto dal fumetto Le Transperceneige): ciò che resta dell’umanità è a bordo di un treno, diviso in carrozze a cui corrispondono diverse classi sociali, che gira ininterrottamente intorno a un mondo sconvolto da una nuova era glaciale, scatenata da esperimenti falliti di raffreddamento dell’atmosfera per arrestare il riscaldamento globale.
Nonostante la geoingegneria solare non sia ovviamente prossima alla decimazione dell’umanità, un editoriale di Nature dello scorso maggio chiedeva di dare spazio alla ricerca in questo ambito per due ragioni diverse: da un lato per il potenziale delle sue soluzioni in ottica di neutralità climatica, dall’altro perché rimangono da risolvere “questioni tecniche, ambientali ed etiche”, tra cui “assicurarsi che il raffreddamento indotto funzioni nella misura desiderata”.
Questo genere di lavori infatti ha ricevuto critiche sia da posizioni ambientaliste sia da alcuni scienziati. I primi ritengono che la ricerca geoingegneristica possa diventare da un lato un fattore di distrazione da misure molto più impellenti come la riduzione delle emissioni, dall’altro una promessa che attrae una fiducia che rischia di venire tradita. Si tratta di critiche analoghe a quelle che spesso vengono mosse ai sistemi di cattura e stoccaggio della CO2.
“Alcuni scienziati” scriveva poi Nature, “sono rumorosamente contrari alla geoingegneria solare in quanto può andare storta in modi imprevedibili che, una volta innescati, risultano difficili da arrestare in sicurezza”. La ricerca serve quindi proprio a raccogliere dati per valutare l’effettiva percorribilità di soluzioni altrimenti incerte.
Daniel Harrison racconta il "Cloud Brightening Project" dal canale Youtube della Southern Cross University
Come riporta Jeff Tollefson su Nature, a marzo 2020 è stato compiuto il primo esperimento al mondo sul campo di geoingegneria solare e più precisamente di schiarimento delle nuvole marine (marine cloud brightenining), per renderle più brillanti e far loro riflettere più radiazione solare.
Siamo 100 km a largo di Townsville, in Australia, sopra la Grande Barriera Corallina. Qui l’oceanografo e ingegnere Daniel Harrison della Southern Cross University di Coffs Harbour, insieme al suo gruppo di ricerca è salpato a bordo di un laboratorio galleggiante dotato di un turbina, con la quale ha spruzzato una sorta di nebbia di acqua marina che sfruttando le correnti d’aria calda è salita verso l’alto. Nella nebbia sono state inserite delle goccioline appositamente ingegnerizzate per rendere più brillanti le nuvole, proiettare maggior ombra sulla Barriera Corallina ed abbassare così le temperature di quell’area di oceano.
Come racconta Francesca Buoniconti su Il Bo Live, due fattori in particolare mettono a repentaglio la sopravvivenza dei coralli in mare: le ondate di calore e l’acidificazione degli oceani. Nel 2017 un’ondata di calore aveva innescato un intenso fenomeno di sbiancamento (questa volta il termine ha un’accezione negativa) dei coralli, danneggiando gravemente la Barriera Corallina che, si stima, dal 1995 al 2017 ha perso metà dei suoi coralli.
Il progetto guidato da Harrison rientra nell’RRAP, il Reef Restoration and Adaptation Program (Programma per il ripristino e l’adattamento della Barriera) lanciato l’anno scorso e supportato con 220 milioni di dollari dall’Australia, per salvare uno dei più grandi patrimoni naturali del pianeta, il cui destino sembra drammaticamente segnato dal cambiamento climatico. Nonostante il nostro impegno a ridurre le emissioni e contenere il riscaldamento climatico, l’ultimo rapporto dell’IPCC infatti sottolinea che alcuni processi, come l’acidificazione degli oceani, una volta innescati sono pressoché impossibili da fermare.
Il gruppo di Harrison è stato criticato per aver pubblicato pochi risultati del proprio lavoro e altri scienziati si sono detti sorpresi nel vedere il progetto passare alla fase sperimentale sul campo senza la pubblicazione di risultati preliminari. Dati a cui però fa riferimento Harrison, quando dichiara che la tecnologia potrebbe funzionare anche meglio rispetto a quanto previsto dalle simulazioni in laboratorio. Tuttavia, ha aggiunto, “dobbiamo ancora capire come risponderanno le nuvole”.
“We are now very confident that we can get the particles up into the clouds.” Early results from a cloud-brightening field trial - the world's first - on the troubled Great Barrier Reef. Thanks to @FlyingOceanDr, @jpasztor, @PeterFrumhoff and others. https://t.co/41YXs1beQo
— Jeff Tollefson (@jefftollef) August 25, 2021
Le maggiori critiche che vengono mosse a questo genere di approcci riguarda l’iniezione in atmosfera di materiali riflettenti che interagiscono con i gas della stratosfera a livello globale. Lo scienziato australiano assicura però che il loro non è un progetto di geoingegneria su scala globale, ma solo una soluzione per l’adattamento locale agli effetti del cambiamento climatico. Alcuni critici tuttavia, riporta Nature, credono che l’etichetta di “esperimento per l’adattamento locale” sia stata assegnato al progetto in maniera frettolosa, senza un’attenta analisi e un confronto con altri soggetti a livello internazionale. Nella lista delle cose da fare, ha dichiarato Harrison, ci sono ulteriori studi per comprendere gli effetti regionali e globali.
Secondo il direttore del progetto RRAP, Cedric Robillot, soluzioni come lo schiarimento delle nuvole o l’inserimento di coralli resistenti al calore potrebbero allungare la vita della Barriera Corallina fintanto che i governi si impegnano a ridurre le emissioni. Questo genere di soluzioni tuttavia rappresenterebbe un livello di intervento umano sull’ecosistema con pochi precedenti, sottolineano i critici, le cui conseguenze sul lungo termine sono difficilmente prevedibili.
Del resto l’approccio delle soluzioni tecnologiche al cambiamento climatico sembra essere in linea con la mentalità con cui il primo ministro conservatore australiano Scott Morrison affronta la crisi climatica. Secondo il Climate Action Tracker gli impegni presi dall’Australia dopo gli accordi di Parigi del 2015 (che mirano a contenere il riscaldamento globale a 1,5°C) sono considerati insufficienti: le NDC (Nationally Determined Contributions) australiane prevedono una riduzione del 26%-28% delle emissioni entro il 2030 rispetto ai valori del 2005. L’Unione Europea, per un raffronto, mira a ridurle del 55% rispetto ai livelli del 1990. Il governo australiano sembra aver imboccato la strada di chi è convinto di combattere la crisi climatica con le armi della tecnologia, pensando così di alterare il meno possibile lo stile di vita, calcolabile in quantità di emissioni prodotte. Secondo le proiezioni fatte sulle future emissioni, l’Australia è in linea con un aumento della temperatura di 3°C.
Nonostante la fiducia nella tecnologia, riguardo al progetto di schiarimento delle nuvole marine il più resta ancora da fare e le incognite sono molte. Ad esempio non è ancora chiaro quanta copertura alla Barriera possano dare le nuvole rischiarite o se ci siano abbastanza nuvole per evitare l’innalzamento delle temperature. Il gruppo di ricercatori pensa che schiarendo il 30% delle nuvole nei dintorni della Barriera si possa ridurre del 6,5% la radiazione solare. Ma naturalmente servono ulteriori indagini per confermare o smentire queste stime. Inoltre la macchina che spara le goccioline nell’aria dovrà aumentare di potenza e di scala e serviranno almeno 1000 stazioni per coprire tutta la lunghezza della Grande Barriera Corallina. Insomma, anche se le cose ora dovessero andare storte, siamo ancora lontani da un esito distopico come quello descritto in Snowpiercer.