CULTURA

"Storia della notte e destino delle comete", l'arte tra sogni (infranti) e visioni di futuro

Apre ufficialmente oggi la 59esima Esposizione internazionale d'arte della Biennale di Venezia (23 aprile - 27 novembre) e dopo tre anni di attesa vogliono esserci tutti. Lunghe file all'ingresso dell'Arsenale, e per accedere ai principali padiglioni dei Giardini, si sono già viste nei giorni di pre-apertura, solitamente riservati a stampa e addetti ai lavori. Si fatica a immaginare una Biennale affollatissima in tempi di pandemia mondiale (non ancora pienamente superata), eppure eccola: è già qui.

Il progetto espositivo porta la firma di Cecilia Alemani, prima donna italiana a rivestire questa posizione. Con lei l’arte si trasforma, si intreccia, favorisce le contaminazioni e il dialogo tra luoghi e artisti, e soprattutto artiste: la presenza femminile è massiccia ed evidente già nella scelta dei nomi da inserire nelle cinque capsule del tempo presentate come matrioske, piccole mostre nella grande mostra, con storie minori che attraversano la Storia dell'arte. Del resto, l'ha detto la stessa Alemani, Il latte dei sogni nasce proprio come mostra trans-storica, con l'obiettivo di far dialogare il presente dell'arte contemporanea con le esperienze e le sperimentazioni del passato.

È una conversazione a più voci, approfondita e al tempo stesso diffusa: in laguna, da settimane ormai, si seguono tracce che oggi conducono ai Giardini, all’Arsenale e in diversi spazi della città, grazie ai tanti eventi collaterali e attraverso le mostre già in corso in altri musei: alla Guggenheim, per esempio, Surrealismo e magia dedica particolare attenzione a Leonora Carrington, artista surrealista e autrice del libro di favole Il latte dei sogni che dà il titolo a questa Biennale.


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"Il latte dei sogni": le metamorfosi dei corpi, dell'arte, della vita


Le metamorfosi dei corpi, i fragili equilibri tra esseri umani e natura, sogni (spesso infranti) e visioni future sono i temi attorno a cui, ora, a Venezia, si avvia una riflessione, in un’epoca profondamente segnata da guerra e pandemia. Di fronte a minacce, crisi e cambiamenti radicali e irreversibili la fuga potrebbe sembrare l’unica soluzione, ma l’arte suggerisce altro: non risolve i conflitti ma illumina e lancia messaggi di pace e rinascita per fendere le nebbie del dolore e della paura.

In questo senso, oggi alla Biennale, la presenza più significativa è certamente quella dell'Ucraina, a cui fa eco l'assenza della Russia con quel padiglione, ora chiuso ai Giardini, che nel 2019 ospitava l'opera di Alexander SokurovLc. 15:11-32, dal Vangelo di Luca e la Parabola del figliol prodigo, su perdono, pietà e compassione, e con l’omonimo dipinto di Rembrandt, capolavoro dell’Ermitage, al centro dell'installazione: l’opera rappresentava una delle sale più famose del museo e un atelier d’artista, con finestre affacciate sui tumulti del mondo moderno. Oggi risulta difficile ritornare con la memoria a quell'allestimento senza provare dolore e smarrimento.

L'Ucraina invece è presente a Venezia con un doppio intervento: ai Giardini e all'Arsenale. Piazza Ucraina, a cura di Borys Filonenko, Lizaveta German, Maria Lanko, è stata allestita allo spazio Esedra dei Giardini, con la collaborazione dell’Ukrainian Emergency Art Fund (UEAF) e della Victor Pinchuk Foundation: l’installazione progettata dall’architetta ucraina Dana Kosmina dà voce alla comunità artistica ed esprime solidarietà alla popolazione ucraina. Tutto ruota attorno a un monumento ricoperto da sacchi di sabbia, riferimento alla pratica diffusa nelle città ucraine per proteggere l’arte pubblica dai bombardamenti. Alle Sale d'Armi dell'Arsenale trova spazio The Fountain of Exhaustion dell'artista di Charkiv Pavlo Makov, opera che si sviluppa a partire da un progetto del 1995, mai completato: alla Biennale Makov presenta una piramide con settantotto imbuti di bronzo disposti su livelli, attraverso i quali scorre l'acqua.

Al Padiglione Italia l'opera di un unico artista: Gian Maria Tosatti

Questo articolo porta il suo nome - Storia della notte e destino delle comete - e, a ben guardare, potrebbe essere riconosciuto come filo rosso dell'intera Biennale, titolo alternativo a Il latte dei sogni, perché in esso risiedono la memoria di sogni passati e infranti e una visione di futuro tradotta in incognita: catastrofe o catarsi? 

La mostra, a cura di Eugenio Viola, per la prima volta nella storia del Padiglione Italia, presenta l'opera di un solo artista: Gian Maria Tosatti. La grande installazione ambientale, pensata appositamente per occupare tutto lo spazio delle Tese delle Vergini, presenta un impianto teatrale costituito da un prologo e due atti. Azzardando, risiede in quella terra di mezzo tra scenografia teatrale e cinema che, per uso delle luci e atmosfera, potrebbe in qualche modo ricordare la poetica di Lars Von Trier in Dogville: un teatro di posa dove oggetti abbandonati, macchine, suoni o silenzi trovano il loro posto, una precisa collocazione, e potrebbero essere "visti" anche se fossero indicati dalle sole parole. La sensazione è quella di essere stati catapultati in una dimensione altra, sospesa tra realtà e finzione. L'opera site-specific di Tosatti obbliga a riconsiderare la storia dell'Italia, le scelte fatte, le teorie del progresso, i sogni infranti e a riflettere, infine, sulle conseguenze, sui cambiamenti in atto, sull'emergenza della crisi climatica, sul rischio di autodistruzione. 

"In questo progresso scorsoio / non so se vengo ingoiato / o se ingoio". Sono temi, questi, che possiamo rintracciare anche tra le pagine di un saggio prezioso e attualissimo, nella conversazione tra il giornalista Marzio Breda e il poeta Andrea Zanzotto raccolta nel libro-intervista In questo progresso scorsoio (Garzanti, 2009), in cui il poeta di Pieve di Soligo spiegava: "L'unico, terribile problema che abbiamo davanti è proprio quello della catastrofe climatica, un delirio sul quale si tenta di stendere un velo di dissimulazione nonostante ci siano sintomi che si accavallano ad altri sintomi e che confermano in pieno questa realtà".

Prima viene la storia della notte, il racconto del cosiddetto "miracolo italiano" e della sua fine. Un viaggio nell'Italia novecentesca della crescita economica, la narrazione dell'ascesa e del declino del sogno industriale italiano attraverso i suoi simboli: le grandi macchine, la radiolina accesa, il cartello con i doveri dei lavoratori e quello che obbliga al silenzio, le macchine per cucire singer, schierate come un piccolo e ordinato esercito, il crocifisso a "vegliare" sugli operai e la produzione, le fredde stanze del breve riposo, con le luci basse, il telefono attaccato al muro e le porte che cigolano come lamenti. Attraversando luoghi familiari eppure spiazzanti, si raggiunge il destino delle comete, l'epifania finale e una visione di futuro incerto in cui l'immaginario si ribalta, si trasforma in un mare notturno e irrequieto che chiede di essere ascoltato, nel suo infrangersi perpetuo, e che accoglie in superficie piccole luci. Le lucciole di cui scriveva Pier Paolo Pasolini ne Il vuoto del potere (Corriere della Sera, 1 febbraio 1975): “Darei l’intera Montedison per una lucciola”.

In Storia della notte e destino delle comete risiedono tante domande relative al nostro futuro, partendo dalla narrazione del difficile rapporto tra uomo e natura, tra sviluppo sostenibile e territorio, tra etica e profitto. Per tutta la durata della Biennale, il Padiglione Italia ospiterà incontri di carattere scientifico-divulgativo per favorire il dialogo e il confronto tra professionisti ed esperti del settore ecologico-ambientale e del mondo della cultura sui temi trattati dalla mostra.

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