CULTURA
Al via la Biennale Arte: il pensiero libero esplora "tempi interessanti”, fragili e incerti
George Condo, "Facebook", al Padiglione centrale dei Giardini, Venezia (foto: Stefano Gueraldi)
L’imponente macchina di Sun Yuan e Peng Yu, esposta al Padiglione centrale dei Giardini, inquieta, meraviglia, solleva interrogativi. In Can’t help myself, un braccio robotico che culmina in una pala si muove senza sosta all’interno di una gabbia trasparente: tenta di mantenere un liquido denso e rosso - che ricorda il sangue e sporca le pareti creando un set da film horror - all’interno di una precisa area, ma è una missione impossibile perché quel fluido scivola via, continuamente, non si lascia prendere, torna a espandersi un attimo dopo e costringe la pala a ricominciare, all'infinito. Partiamo da qui, perché nell'opera dei due artisti cinesi si svelano le vulnerabilità connesse dell’organico e del meccanico, la relazione tra uomo e robot e, infine, la natura dell’arte: elusiva, libera, impossibile da catturare e incasellare.
In questa macchina si può trovare parte del senso di questa Biennale Arte di Ralph Rugoff che, partendo dal falso anatema cinese May you live in interesting times, suggerisce nuove traiettorie esplorative, invita le (molte) artiste e gli artisti a “osservare la realtà da molteplici punti di vista”, prendendo in considerazione “concetti apparentemente contraddittori e incompatibili, destreggiandosi tra diversi modi di interpretare il mondo che ci circonda”, rivedendo (e ribaltando) le categorie di pensiero esistenti, esplorando il rapporto tra umano e non umano, indagando gli effetti della tecnologia sulla vita delle persone, la minaccia dei cambiamenti climatici e la rinascita dei programmi nazionalisti, ricercando la fiducia e sollevando domande in mezzo a un mare di fake news, svelando fragilità, incertezze, disuguaglianze e soprusi della società fino a immaginare, in più occasioni e senza censure, scenari apocalittici provocati dalla tendenza autodistruttiva dell’uomo.
Dunque, cosa può fare l'arte oggi? “Può fornirci gli strumenti per ripensare le possibilità dei tempi interessanti in cui stiamo vivendo”, trasformando la minaccia di un proverbio cinese immaginario in una sfida, tenendo sempre presente che, spiega Rugoff, “le opere più interessanti ci propongono coinvolgenti punti di partenza, e non conclusioni. Ci trasmettono piaceri inaspettati e una sensazione di sorpresa e incertezza; potremmo avere l'impressione di capirle e, allo stesso tempo, di non capirle. Di fronte a un'opera sufficientemente complessa, potremmo non essere mai in grado di stabilire il rapporto che ci lega a essa”.
Sun Yuan e Peng Yu, "Can’t help myself" (foto: Stefano Gueraldi)
“ Le opere più interessanti ci propongono coinvolgenti punti di partenza, e non conclusioni Ralph Rugoff
Colpisce e funziona la decisione di Rugoff di presentare gli stessi artisti con opere diverse in entrambe le sedi, negli spazi dell’Arsenale e al Padiglione centrale dei Giardini: una scelta che favorisce la riflessione del visitatore e invita al confronto tra opere e pensiero dell'artista. Alexandra Bircken appende quaranta figure in latex nero tra scale e soffitto dell’Arsenale, proponendo una visione distopica della fine dell’umanità (Eskalation) e ai Giardini intreccia tematiche di genere, potere e vulnerabilità sfruttando materiali diversi. L’inglese Ed Atkins veste i panni del ragno, poi scrive profezie nefaste attraverso disperate e inquietanti caricature e realizza video digitali che mostrano un mondo già perduto. Nel dipinto Facebook, ai Giardini, George Condo rivela le menzogne dei social network, che promettono amici “in un agglomerato di bot, troll e informazioni aliene” e all’Arsenale, all’interno della serie Double Elvis, offre una grande tela che rappresenta due “beoni perdigiorno”, ovvero “la grandiosa glorificazione dell’umanità più abietta”. Dipingendo, Henry Taylor popola le sue opere di figure sia indigenti che di successo, ritratti intimi e scene di gruppo declinate a livello politico, per raccontare l’esperienza degli afroamericani e le ingiustizie della società americana. Nel video The white album Arthur Jafa esplora il significato della whiteness, mostrando la follia del suprematismo bianco, i soprusi, la violenza, senza però nascondere l'affetto provato per i bianchi che fanno parte della sua vita.
Il compositore e artista giapponese Ryoji Ikeda propone una installazione audiovisiva all'Arsenale in cui, partendo da dati estrapolati dal Cern e dalla Nasa, è riuscito a sviluppare composizioni matematiche per rielaborare i dati stessi e trasformarli in un'opera d'arte digitale; ai Giardini, invece, immerge il visitatore in un corridoio di luce violenta che manda in tilt la capacità di processare ciò che vediamo. Ian Cheng usa tecniche di programmazione informatica per creare ambienti viventi che evolvono: Bob (Bag of beliefs), al Padiglione centrale dei Giardini, è una forma di intelligenza artificiale con una personalità, un corpo e valori in costante crescita. L’Ange de foyer, la scultura olografica di Cyprien Gaillard, si ispira all’opera di Max Ernst del 1937, premonizione della devastazione determinata dalla diffusione del fascismo, e testimonia ora la preoccupazione dell’artista di fronte alla tendenza distruttiva dell’uomo. In quest’epoca segnata dai cambiamenti climatici, minaccia reale per la vita sulla Terra, Dominique Gonzalez-Foerster, in collaborazione con Joi Bittle, trae ispirazione dalle Cronache marziane di Ray Bradbury e si concentra su Marte: immaginando il futuro in un altro pianeta, presenta un diorama che unisce uno sfondo dipinto ed elementi scultorei colorati per definire il paesaggio.
Lara Favaretto, "Thinking head" (foto: Stefano Gueraldi)
Lara Favaretto realizza opere monumentali tragicomiche e in Arsenale porta Snatching, una serie di blocchi di cemento che, all'interno, rivelano tracce dei suoi movimenti: l’artista li ha deformati, immergendosi prima che il cemento si solidificasse fino a che non è stata costretta a fermarsi. Il suo gesto è un atto dinamico di resistenza simbolica nei confronti dei blocchi che rappresentano le rigide architetture delle città moderne. Ai Giardini, il suo Thinking head riflette il funzionamento del cervello umano e, come atto finale e visibile, nasconde il Padiglione centrale dentro una nuvola di vapore. Liu Wei rende visibili molecole e altre entità microscopiche, trasformandole in sfere gigantesche e indaga le connessioni tra mondi diversi. Teresa Margolles mostra la crudeltà della narcoviolenza che affligge il suo Messico: ai Giardini espone Muro Ciudad Juarez, costruito utilizzando pezzi di un muro di cemento preso dalla città di confine, crivellato di buchi di pallottole e sormontato da un groviglio di filo spinato. L’artista indiana Shilpa Gupta colpisce dritto al cuore con la sua installazione For, in your tongue, I cannot fit: cento microfoni (a cui corrispondono altrettanti fogli trafitti), appesi al soffitto all’Arsenale, danno voce a cento poeti incarcerati per le loro opere e posizioni politiche, dal VI secolo a oggi, in una molteplicità di lingue. Soham Gupta rivela, invece, le condizioni dell’ultimi del mondo, esplorando la vulnerabilità dei più poveri di Calcutta raccontati attraverso fotografie che sono lo specchio della loro sofferenza. E una riflessione provocatoria sullo sguardo attraversa i ritratti di un'altra fotografa in mostra, Zanele Muholi, che cerca l'attenzione del visitatore e lo sfida.
Con la sua opera Space refugee l’artista turco Halil Altindere racconta la storia vera di Muhammed Ahmed Faris, primo e unico cosmonauta siriano che, nel 1987, viaggiò nello spazio come membro di una spedizione sovietica. Ex eroe nazionale e oggi oppositore del regime, Faris vive a Instabul come rifugiato. Nella sua alcova museale dedicata all’esplorazione spaziale, Altindere lancia una provocazione che scuote, proponendo un video con interviste a scienziati della Nasa in cui si discute della plausibilità di una colonia di rifugiati nello spazio. Alla provocazione segue la realtà, con il dramma vero esposto all’esterno dell’Arsenale: Barca Nostra si mostra come monumento commemorativo in tutta la sua dolorosa imponenza: il relitto del peschereccio naufragato il 18 aprile 2015 nel canale di Sicilia è ora a Venezia, quel giorno si salvarono solo 28 persone, ne vennero date per disperse tra 700 e 1000.
Si potrebbe continuare, ma non ci sarebbe più spazio e tempo per segnalare le partecipazioni nazionali. Affollatissimi i padiglioni di Gran Bretagna e Francia ai Giardini, con lunghe code già il primo giorno di vernice. Di grande impatto emotivo la proposta della Russia che può vantare l’Ermitage come curatore e artisti come il regista Alexander Sokurov, impegnato nella rilettura della Parabola del figlio prodigo, e Alexander Shishkin-Hokusai con il suo mondo animato, infiammato e sotterraneo della pittura fiamminga. Sokurov incanta con la sua installazione di buio e (poca) luce, facendo dialogare il capolavoro di Rembrandt con il mondo moderno, i sentimenti del perdono e della compassione con i tumulti e le guerre.
Il Belgio svela il suo Mondo Cane con una serie di marionette automatizzate a comporre un mondo utopico, puro e immacolato, minacciato da un universo di zombi e psicopatici. Gli Stati Uniti si concentrano sulla Libertà ed espongono la scultura realizzata da Martin Puryear, artista che firma tutte le opere del padiglione, e dedicata a Sally Hemings, la schiava afroamericana appartenuta al presidente Thomas Jefferson, da cui ebbe anche dei figli. All’Arsenale il Ghana offre il lavoro di sei artisti di tre generazioni diverse: Ghana freedom prende il titolo da un brano di E.T. Mensah composto alla vigilia della nascita della nuova nazione nel 1957. E, infine, l'atteso Padiglione Italia, curato da Milovan Farronato: Né altra Né questa presenta le opere di Enrico David, Liliana Moro e Chiara Fumai, inserendole in un percorso mai lineare e prevedibile, perfettamente calato in una città labirintica come Venezia, prendendo ispirazione da La sfida al labirinto, saggio di Italo Calvino del 1962, in cui l’autore proponeva un lavoro culturale aperto e capace di descrivere un mondo complesso senza più punti di riferimento.