SCIENZA E RICERCA

Syukuro Manabe, il fisico da Nobel che ha cambiato la scienza climatica

«Ha dimostrato come l’aumento dell’anidride carbonica in atmosfera determini un aumento delle temperature sulla superficie terrestre. Negli anni ’60 ha guidato lo sviluppo di modelli fisici del clima terrestre, ed è stato la prima persona ad esplorare le interazioni tra il bilancio radiativo terrestre e il movimento verticale delle masse d’aria. Con i suoi lavori, ha gettato le basi per lo sviluppo degli attuali modelli climatici». Sono queste le motivazioni con cui la Royal Swedish Academy of Sciences ha conferito, nel 2021, un quarto del premio Nobel per la fisica al giapponese Syukuro Manabe, un pioniere della scienza climatica, la quale con questo premio ottiene finalmente un definitivo riconoscimento da parte della comunità scientifica.

I risultati e i meriti di Manabe, classe 1931, sono il frutto di una vita di ricerche e dedizione. Emigrato negli Stati Uniti nel 1958, in mano un dottorato in fisica, il giovane scienziato si dedica fin da subito, nel campus di Princeton, al compito di integrare la fisica teorica nella scienza delle previsioni climatiche. Manabe lavora, già nei primi anni ’60, con i computer: per le macchine di allora, ancora decisamente imperfette, elabora modelli fisici semplificati, realizzando approssimazioni che permettessero di predire le interazioni tra i diversi elementi del complesso sistema climatico terrestre.

Nel 1967, Syukuro Manabe e Richard Wetherald danno alle stampe un articolo dal non accattivante titolo “L’equilibrio termico dell’atmosfera data una certa distribuzione di umidità relativa”. Be’, quell’articolo specialistico rimarrà nella storia. Nel 2015, il sito di informazione scientifica sul clima Carbon Brief  ha posto ad alcuni degli autori dell’IPCC – scienziati provenienti da una varietà di discipline, dalla fisica, alla biologia, all’economia, alle scienze sociali – una semplice domanda: “Quali sono i tre articoli scientifici che hanno avuto maggior impatto nella ricerca sul cambiamento climatico?”. Le risposte sono state diverse, ma un articolo in particolare ha avuto un vasto riconoscimento: proprio il paper di Manabe e Wetherald del 1967. Questo lavoro scientifico, infatti, ha avuto – e continua ad avere – una portata dirompente: infatti, per la prima volta nella storia della scienza climatica viene presentato un modello fisico computerizzato che permette di predire, in base alla quantità di elementi climalteranti immessi in atmosfera, l’entità del cambiamento climatico su scala globale nei decenni successivi.

È il 1967: il mondo è nel pieno della guerra fredda, l’orologio dell’apocalisse segna 12 minuti alla mezzanotte (nel 2021, secondo gli scienziati del Bulletin of the Atomic Scientists, siamo alle 23:58:40…), il principale timore è l’inverno nucleare. Di crisi climatica ancora non si parla diffusamente.

Eppure, guardando alle proiezioni frutto di studi approfonditi e innovativi, gli scienziati del clima cominciano a rendersi conto della possibile pericolosità della situazione, per i decenni a venire. Il modello di Manabe è il primo a consentire una predizione realmente accurata dei futuri cambiamenti climatici in risposta alle attività umane. Ad esempio, è sostanzialmente corretta la predizione secondo cui il raddoppiamento della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera avrebbe portato ad un aumento delle temperature medie globali di 2,36°C: il rapporto IPCC del 2021 parla infatti di un aumento di 3°C.

Il clima terrestre è un sistema complesso, continuamente influenzato da un’ampia serie di fattori esterni e interni. Il modello di Manabe – la prima modellizzazione climatica computerizzata – era volutamente il più semplice possibile, e prendeva in considerazione i principali elementi del sistema climatico terrestre: atmosfera, oceani, nuvole, e le interrelazioni tra questi. Per verificare la validità del modello, Manabe fece delle predizioni di prova, aumentando o diminuendo deliberatamente la quantità di anidride carbonica e altri gas climalteranti presenti in atmosfera. La “predizione rischiosa” consisteva, come abbiamo visto, nell’asserire che il raddoppiamento dei gas a effetto serra comportasse un aumento delle temperature di circa 2°C. Come stiamo ormai sperimentando, e come i modelli climatici più recenti, condotti con i supercomputer oggi disponibili, le previsioni di Manabe e colleghi erano sostanzialmente giuste. Benché loro, tra le preoccupazioni sul raffreddamento globale e sull’inverno nucleare, non ne fossero ancora consapevoli.

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