Un drone fotografa i resti di case distrutte dal terremoto nel villaggio di Chahak. Foto: Reuters
Il 7 ottobre 2023, alle 11:03 ora locale, un terremoto di magnitudo 6.3 colpisce la regione occidentale dell'Afghanistan. L'epicentro è localizzato a 30 km a nord-est del distretto di Zinda Jan, nella provincia di Herat che conta poco meno di due milioni di abitanti. Fino al mattino successivo le scosse di assestamento non si interrompono. Quattro giorni dopo accade di nuovo. Alle 5:11 dell'11 ottobre si registra un altro evento sismico di magnitudo 6.3, questa volta con epicentro nel distretto di Injil. Numerose scosse di assestamento si protraggono fino al 14 ottobre, provocando nella popolazione locale un persistente stato di ansia e paura. Il 15 ottobre la terra trema ancora, sempre nella stessa zona. Lo United States Geological Survey parla complessivamente di quattro terremoti poiché, secondo quanto riferisce, il 7 ottobre se ne sarebbero verificati non uno ma due a distanza di 30 minuti l’uno dall’altro.
A distanza di tre settimane, proviamo a fare il punto con l’aiuto di Daniele Giacomini, direttore dell’Area emergenza e sviluppo di Emergency. L’organizzazione è presente in Afghanistan da molto tempo e nel 2022 ha prestato soccorso in occasione di un precedente terremoto avvenuto nel Paese.
L’impatto dei terremoti di ottobre
Secondo quanto riferisce l’Organizzazione mondiale della Sanità il 26 ottobre, le persone coinvolte nei terremoti della prima metà del mese scorso sono 43.400 in sei distretti, di queste quasi il 23% sono bambini di età inferiore ai cinque anni. I morti risultano essere almeno 1.482 e i feriti più di 2.100. “Avere dati affidabili non è facile – osserva Daniele Giacomini –. Ci si affida ai numeri consegnati dalle autorità locali, si cerca di incrociare i dati con quelli della popolazione precedente il sisma, ma non esiste un’anagrafe che consenta di capire chi manca e dove, per questo ci possono essere differenze anche di centinaia di unità. Per la dinamica attuale è facile che i decessi siano più di 2.000”.
Complessivamente 40 strutture sanitarie sono danneggiate nella città di Herat e in 13 distretti circostanti. Il danno comprende 35 strutture di assistenza sanitaria di base e cinque ospedali (Herat Regional Hospital, Herat Maternity Hospital, Sakena Yacobi Hospital e gli ospedali distrettuali di Ghoryan e Golran). Migliaia di abitazioni sono completamente distrutte e danni ingenti sono stati segnalati alle infrastrutture, compresa la rete idrica.
Afghanistan, un’area a rischio
L’Afghanistan non è nuovo a eventi sismici di questa portata: il 22 giugno del 2022 un terremoto di magnitudo 5.9 colpisce la regione sud-orientale del Paese, provocando anche in quel caso oltre 1.000 morti e più di 2.000 feriti. L’epicentro è localizzato a una quarantina di chilometri a sud-ovest di Khost che, con la provincia di Paktika, è tra le aree maggiormente devastate dal sisma. Poco più di due mesi dopo, il 5 settembre, si registra un’ulteriore scossa di magnitudo 5.5 sempre nella parte sud-orientale del Paese.
Lo United States Geological Survey spiega che i terremoti in Afghanistan e nelle regioni circostanti sono comuni a causa delle complesse e attive interazioni tra la placca araba, quella euroasiatica e indiana. Quelli nell'Afghanistan occidentale e centrale, in particolare, sono influenzati principalmente dal movimento verso nord della placca araba rispetto a quella euroasiatica. Dal 1920 sono stati altri sette i sismi di magnitudo 6 o superiore che si sono verificati nel raggio di 250 chilometri da quello avvenuto nella provincia di Herat il 7 ottobre. Tutti si sono verificati in Iran e alcuni sono stati particolarmente violenti, come quello del maggio 1997 di magnitudo 7.3 che ha causato più di 1.500 vittime, o del novembre 1979 di magnitudo 7.1.
Gli ultimi eventi sismici avvenuti tra il 7 e il 15 ottobre nella zona di Herat hanno colpito duramente alcune delle comunità più vulnerabili del Paese, già alle prese con decenni di conflitti e sottosviluppo, ha recentemente sottolineato Daniel Peter Endres, coordinatore umanitario ad interim delle Nazioni Unite per l'Afghanistan. Si tratta di una “corsa contro il tempo” per le organizzazioni umanitarie che devono fornire assistenza prima dell'inizio dei mesi più freddi. Anche Philippe Kropf, portavoce dell'Agenzia delle Nazioni Unite in Afghanistan, che si è recato nei villaggi colpiti dopo i primi terremoti, ha sottolineato che quelle colpite sono comunità già a malapena in grado di sfamarsi, e ogni crisi le fa ripiombare nell'indigenza più assoluta.
Senza uno Stato che risponda all’emergenza
“La necessità principale ora – dichiara Daniele Giacomini – è dare ricovero in vista dell’inverno. Il sisma del giugno 2022 in Afghanistan è avvenuto in zone remote, in cui i primi presidi clinici erano quelli di Emergency o comunque a diverse ore di distanza. I terremoti di quest’anno invece si sono verificati vicino a Herat, per cui le strutture sanitarie del posto sono state in grado di dare una risposta alla prima emergenza con il coordinamento dei vari attori umanitari già presenti nella provincia”.
Sia il terremoto dello scorso anno che quelli più recenti hanno avuto conseguenze importanti in termini di morti e feriti. “In entrambi i casi ci sono state molte vittime, ma sono situazioni che non hanno un impatto a livello nazionale sul lungo termine: si tratta di un Paese già in ginocchio, per cui fa poca differenza se un evento sismico in un’area specifica causa vittime o distrugge abitazioni e strutture”. Giacomini spiega che nella zona di Paktika, dove si è verificato il precedente terremoto, non sono presenti strutture civili o sanitarie di grandi dimensioni: in quel caso dunque le conseguenze sono state enormi per il numero di morti e feriti, ma il danno sul territorio è stato limitato. “Herat invece è una zona con una densità di popolazione decisamente maggiore, le abitazioni distrutte sono più numerose e per questo motivo ora la priorità nella risposta umanitaria è legata alla ricostruzione, così da riuscire a garantire un luogo in cui trascorrere la stagione fredda alle famiglie che hanno perso le loro case”.
Continua Giacomini: “In un contesto come quello afghano non c’è uno Stato che riesca a dare una risposta a eventi di questo genere, e ciò rende necessario l’intervento di organizzazioni umanitarie che cercano di far fronte ai bisogni della popolazione”. La fornitura di acqua potabile e gli scarichi dei reflui sono i primi aspetti che si considerano, per evitare che le persone spinte da necessità bevano acqua sporca con le conseguenze che ne derivano sulla salute. Altrettanto fondamentale la distribuzione di cibo, l’offerta di riparo e protezione, la risposta a eventuali bisogni clinici.
I soccorsi
Lo sfollamento delle persone nei territori colpiti dal terremoto, l’alloggio nei ricoveri temporanei e l’arrivo dell’inverno fanno temere anche un potenziale aumento della circolazione di malattie trasmissibili e di altre patologie a rischio di epidemia in una popolazione già vulnerabile. Per questo, coordinandosi con le autorità locali, l’Organizzazione mondiale della Sanità e i partner del Health Cluster stanno cercando di intensificare gli sforzi per rispondere all’emergenza: secondo quanto riferisce l’Oms, al 23 ottobre 30.437 persone hanno ricevuto assistenza sanitaria di base, trattamento di malattie trasmissibili, supporto psicosociale; 2.552 hanno ottenuto assistenza in caso di trauma e servizi di riabilitazione; a 3.720 sono stati distribuiti invece kit di vario tipo, tra cui kit per mamma e bambino o kit dignità. Per ripristinare le funzionalità delle strutture sanitarie danneggiate dai terremoti, l’Oms e l'Agenzia Onu per i rifugiati hanno installato tende, mentre l’Unicef sta lavorando alla creazione di servizi idrici, sanitari e igienici (servizi Wash).
“Spesso vediamo le vite di molti pazienti sconvolte da una situazione clinica che, a seconda delle circostanze, può essere la conseguenza dell’esplosione di una mina, di scontri a fuoco”. O di eventi naturali importanti, come i terremoti dello scorso ottobre. Sono molti i momenti, i volti, le situazioni che si imprimono nella memoria di chi lavora sul campo. “Personalmente l’immagine che conservo – conclude Daniele Giacomini – è quella del personale locale afghano che con estrema dedizione si prende cura di queste persone non solo dal punto di vista clinico ma anche umano, partecipando in modo empatico alla sofferenza del malato, che potrebbe durare anche anni. Ho lavorato in molti contesti, ma nessuno come quello afghano mi ha lasciato questa impressione”.