Non è la prima volta che Gabriele Salvatores trasforma un libro di successo in un film di successo, regalando a una storia una seconda vita: si pensi a Quo vadis baby (dal noir di Grazia Verasani), a Come Dio comanda e Io non ho paura (dai romanzi di Niccolò Ammaniti), o a Educazione siberiana (di Nicolai Lilin).
Questa volta la storia raccontata in Tutto il mio folle amore (presentato alla Mostra del Cinema di Venezia il prossimo 6 settembre, in sala dal 24 ottobre) e tratta dal romanzo di Fulvio Ervas Se ti abbraccio non aver paura (Marcos y Marcos, 2012), rinasce per la terza volta addirittura: già il romanziere si era ispirato, infatti, alle vicende un padre e un figlio, suoi conterranei, e le aveva trasfigurate con la potenza della narrazione.
Ervas aveva conosciuto i "suoi" protagonisti al tavolino di un bar di Castelfranco, dove Franco gli aveva raccontato il viaggio on the road attraverso le Americhe fatto con il figlio Andrea, autistico. Il mestiere dello scrittore è così: scandagliare ciò che accade nel tempo e nello spazio, e più ancora nei corpi e nelle menti, e il risultato non è meno reale se frutto della sua invenzione, o viceversa non è meno letterario se non lo è.
Impossibile non farsi venire in mente il celeberrimo Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta di Robert M. Pirsig (uscito per Adelphi nel 1988 ma in lingua inglese già nel 1974), altro giro in moto che diviene viaggio esistenziale sulle highway americane, per un padre e un figlio che ne sono i protagonisti, soli con le loro paure; lì però a essere “diverso” è l’adulto e la riflessione sottesa è sostanzialmente filosofica.
Nella storia che è passata per le mani di Ervas e ora ritorna allo spettatore mediata dalla sensibilità di Salvatores (che sposta la scena dagli Stati Uniti alla Croazia) e dall’interpretazione di Claudio Santamaria, Diego Abatantuono e Valeria Golino, la chiave di volta è invece la diversità, quella che capita addosso all'improvviso, e che se pienamente abbracciata si trasforma in vita, nonostante le paure.
Tra le pagine di Ervas a questo proposito si legge: “Funziona che la vita sta tutta sotto una grande curva a campana, con al centro disturbi comuni e ai lati stravaganze d’ogni sorta. La vita è troppo diluita nel mezzo e troppo densa ai lati”. Ecco, la definizione di gaussiana di uno scrittore è un modo sottile per farci sentire tutti parte di quelle stesse montagne russe che sono l'esistenza.
Non resta che aspettare che si spengano le luci in sala e scoprire come l’avrà resa Salvatores, questa gaussiana.
“ Funziona che la vita sta tutta sotto una grande curva a campana, con al centro disturbi comuni e ai lati stravaganze d’ogni sorta. La vita è troppo diluita nel mezzo e troppo densa ai lati Fulvio Ervas