SOCIETÀ

Torniamo a far volare gli aquiloni

Una vignetta di qualche giorno fa raffigurava un bambino che correva e faceva volare un aquilone. L’aquilone era chiuso in una gabbia.

“La detenzione dei bambini è punitiva, ostacola pesantemente il loro sviluppo e si può considerare tortura”: è la risposta degli esperti delle Nazioni Unite alla decisione del governo americano di separare a forza i genitori migranti irregolari, intercettati alla frontiera fra Messico e Stati Uniti, dai loro figli. E di rinchiudere questi ultimi in centri di detenzione. In gabbie. “I bambini sono usati come deterrente all’immigrazione irregolare e ciò è inaccettabile”, rimarcano le Nazioni Unite.

Tortura. E viene in mente che solo ieri, il 26 giugno, era proprio la giornata mondiale dedicata alle vittime di tortura, a coloro che vengono perseguitati, che sono vittime di genocidi, abusi, crimini di guerra. Di ricatto. Donne, anziani, bambini, uomini adulti; per la propria religione, la propria etnia, le proprie scelte, o solo per essere se stessi, o per essere semplicemente figli.

La detenzione dei bambini è punitiva, ostacola pesantemente il loro sviluppo e si può considerare tortura

Inaccettabile, inumano, inammissibile. Gli aggettivi si sono sprecati in questi giorni. Ma è “zero-tolerance policy” da parte del governo Trump. Sono migliaia i minori separati dai propri genitori alla frontiera, in attesa di sapere se potranno o meno restare negli Stati Uniti, con la propria famiglia forse, finalmente.

Le immagini di quelle gabbie si moltiplicano sui media, gli urli di quei bambini si fanno assordanti. Si uniscono a quelli di tutti i minori nel mondo imprigionati nei campi migranti, nei centri di detenzione o di riabilitazione, nelle prigioni. Non ci sono numeri precisi per loro: solo in maniera molto approssimativa ne potremmo ipotizzare 15.000 – 28.000 soltanto Africa. Sono vittime di una giustizia discriminatoria che colpisce le fasce più deboli della popolazione, in nazioni che non garantiscono loro accesso regolare a educazione, sanità, sicurezza nè l'applicazione dei diritti universali dei bambini. Ragazzini che nemmeno hanno la possibilità di essere giudicati da tribunali, ma il cui destino è segnato in modo “informale” da giustizie alternative: tradizionali, religiose, familiari.

È come se fossimo sempre in prigione” è il titolo di un report di Human Rights Watch che descrive le violazioni processuali e gli altri abusi subiti dai ragazzi “in custodia” del governo somalo e sospettati di essere legati al gruppo armato Al-Shabab. Secondo la ricerca, la Somalia ha detenuto centinaia di questi bambini senza garantire un trattamento adeguato alla loro età, sottoponendoli a processi sommari e affidando ad agenzie di intelligence la decisione arbitraria di affidarli alle cure dell’Unicef o meno.

E poi ci sono i bambini che crescono assieme alle proprie madri, ma in prigione. Come nel carcere di Sun City, in Sudafrica, dove le donne possono accudire i propri figli fino ai due anni in una sezione speciale dell’istituto, la Mother and Child Unit. È più facile così costruire o mantenere il rapporto speciale fra madre e figlio piccolo, si dice. È una chance preziosa, anche. Eppure non si riesce ad allontanare l’idea che in questo modo, irrimediabilmente, anche i figli paghino per i loro genitori.  In Africa come in Texas.

Non si riesce ad allontanare l’idea che in questo modo, irrimediabilmente, anche i figli paghino per i loro genitori.  In Africa come in Texas

Ieri, nella giornata per le vittime della tortura, il già presidente della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick ha tenuto all'Università di Padova una lectio magistralis nella quale si parlava di dolore e dignità, stato, tortura e giustizia. "Oggi la tortura ha mutato la sua faccia e le sue forme. Certo è vietata, ma al posto dello spargimento di sangue se ne attua una nuova forma: il trattamento disumano e degradante. Così l'autorità si impone, così opprime, così afferma 'Io, Stato, sono più forte di te'". Questo accade tutti i giorni davanti ai nostri occhi, accanto a noi. "Anche in Italia si praticano forme di tortura - sottolinea Flick -. La corte europea, ad esempio, ci ha condannato per il sovraffollamento delle carceri, ma anche per i fatti della caserma di Bolzaneto e della scuola Diaz".

"I bambini sono le vittime più drammatiche di questa situazione" conclude. "Le immagini di quei ragazzi in gabbia al confine fra Messico e Stati Uniti sono incommentabili. Ci fanno pensare che bisognerebbe mettersi una mano sulla coscienza e ricominciare tutto daccapo".

Intervista a Giovanni Maria Flick. Riprese e montaggio: Elisa Speronello

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