SOCIETÀ

Turchia fuori dalla Convenzione di Istanbul: un passo indietro nella lotta alla violenza contro le donne

Con un decreto firmato dal presidente Recep Tayyip Erdoğan il 20 marzo, la Turchia revoca la propria partecipazione alla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, dopo che il 14 marzo 2012 era stata invece il primo Paese a ratificarla. Adottata dal Consiglio d'Europa nel 2011, la Convenzione entra in vigore nel 2014 e viene firmata dall'Unione Europea nel 2017. Nel 2019 il Parlamento europeo adotta una risoluzione con cui chiede a tutti gli Stati membri di aderire al trattato, esortando quanti l’abbiano firmato ma non ancora ratificato a farlo senza esitazione. Ratificare la convenzione significa essere giuridicamente vincolati alle sue disposizioni e far seguire norme volte a prevenire la violenza di genere, proteggere le vittime e punire i responsabili.

In Italia, la Camera dei Deputati approva la ratifica della Convenzione il 28 maggio 2013 e il 19 giugno il Senato converte il testo in legge. Altri Paesi, tuttavia, non seguono questa linea. Lo scorso anno per esempio l’Ungheria ha rifiutato di ratificare il trattato, dopo averlo sottoscritto nel 2014, e su queste posizioni si colloca anche la Slovacchia. La scorsa estate, inoltre, la Polonia, dopo aver ratificato la Convenzione nel 2015, ha invece avviato il processo formale di ritiro dal trattato.

La decisione di recedere dalla Convenzione di Istanbul da parte della Turchia, nello specifico, è stata presa, secondo quanto riferito,  senza dibattito parlamentare e senza una più ampia consultazione con la società civile, compresi i gruppi di donne e i difensori dei diritti delle donne. Da quando nel 2014 la Convenzione è diventata operativa, i gruppi conservatori turchi ne hanno contrastato l’applicazione, ritenendo che indebolisse la famiglia, incrementasse i divorzi e favorisse le rivendicazioni della comunità LGBT. Più in generale, chi si pone su posizioni critiche sostiene che il reale scopo del documento non sia tanto la tutela della donna, quanto la diffusione della cosiddetta “ideologia gender”: il trattato, infatti, è uno dei primi documenti ufficiali, vincolanti a livello internazionale, a dare una definizione giuridica di “genere”.  Va detto, inoltre, che la Convenzione colloca atti come il femminicidio o lo stupro in un preciso contesto socio-culturale e non li considera dunque crimini isolati, mettendo in luce in questo modo gli aspetti strutturali della violenza di genere. Questo approccio, però, è visto con ostilità dai conservatori in diverse parti d’Europa, perché costituirebbe un implicito attacco ai valori tradizionali della famiglia.

L'intervista completa a Paola Degani che parla della Convenzione di Istanbul, delle possibili conseguenze della scelta della Turchia e di violenza contro le donne. Montaggio di Elisa Speronello

Poche settimane fa, all’inizio di marzo, il presidente Erdoğan ha annunciato un piano d’azione per i diritti umani che dovrebbe dare maggiori garanzie in questo senso, ma le perplessità e le critiche non mancano specie quando si parla di violenza contro le donne. “La Turchiasottolinea Nesibe Kırış, avvocata e attivista per i diritti umani – sta affrontando il femminicidio da molto tempo. L’anno scorso (nel 2020 ndr) 409 donne sono state uccise nel Paese, toccando un nuovo record, mentre quest’anno, finora, 80 donne sono state uccise […]. La violenza domestica e il femminicidio rimangono un grave problema. Il ritiro dalla Convenzione con un decreto immediato è un massacro della legge politicamente motivato in Turchia, dove le donne vengono assassinate ogni giorno e affrontano un crescente tasso di violenza e abusi”.

Alcuni organismi internazionali, come l'Ufficio dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite, le Nazioni Unite, UN Women, il Consiglio d'Europa, hanno espressamente manifestato preoccupazione per la decisione adottata in Turchia. E a Istanbul non sono mancate le proteste da parte delle donne contro la decisione di Erdoğan. Il ritiro dalla Convenzione viene ritenuto un significativo passo indietro negli sforzi dello Stato per promuovere i diritti delle donne, soprattutto considerando che la disuguaglianza di genere e la violenza contro le donne rimangono una seria preoccupazione nella società turca.

La Convenzione di Istanbul rappresenta uno strumento molto importante nella lotta alla violenza di genere, non solo per i vincoli che istituisce per i Paesi che provvedono alla ratifica, ma anche sul piano simbolico e politico. A sottolinearlo è Paola Degani, docente del dipartimento di Scienze politiche, giuridiche e studi internazionali dell’università di Padova e del Centro di ateneo per i diritti umani “A. Papisca”, cui Il Bo Live si è rivolto per approfondire l’argomento. La Convenzione, continua la docente, definisce molteplici linee di intervento, che riguardano la prevenzione, la protezione, la repressione e la dimensione giudiziaria. Favorisce una maggiore conoscenza del tema della violenza attraverso una adeguata raccolta dei dati, tutela le donne migranti, stabilisce un sistema di monitoraggio che prevede anche visite nei Paesi che fanno parte della Convenzione. È un trattato dunque che ha avuto il grande merito di incrementare in maniera importante la dimensione istituzionale di questo tema.

“Tale dimensione istituzionale, però, deve essere recepita coerentemente con lo spirito e lo spazio, anche autenticamente femminista, che le donne vogliono portare all’interno di questa convenzione. E questo aspetto è variabile, varia in relazione alla volontà politica di rispondere a queste indicazione piuttosto che ad altre, ma soprattutto in relazione alla tentazione politica, molto forte oggi, di scorporare gli ambiti della Convenzione, così da ridurla nel suo portato in maniera assai significativa, fino ad arrivare al totale annullamento dei contenuti e del tema della violenza, così come declinato all’interno del documento. Che è quello che la Turchia ha palesemente manifestato e che anche in Europa più Paesi manifestano”.

Secondo la docente, questo è il segnale di un orientamento politico pericoloso per i diritti delle donne, in un momento storico in cui, a causa della pandemia, la condizione femminile è in estrema sofferenza sotto diversi punti di vista (in termini, per esempio, di possibilità lavorative e numero dei femminicidi).

“Vorrei sottolineare che il ritiro della Turchia dalla Convenzione è espressione del governo turco, non delle donne turche. E questo è un passaggio fondamentale”. E continua: “Ritengo che le potenzialità che questa Convenzione esprime – aggregando il tema della violenza contro le donne e la violenza domestica al tema più ampio delle discriminazioni e della dimensione di genere – aprano dal punto di vista interpretativo a orientamenti di tipo culturale e sociale che vanno oltre l’atto o le situazioni di violenza dal punto di vista strettamente penale o fattuale, e si inquadrino all’interno di “vincoli” di rimozione degli stereotipi, delle prassi, delle pratiche che hanno una matrice discriminatoria o che provocano la reiterazione di situazioni discriminatorie. Un Paese come la Turchia non solo sarebbe in estrema difficoltà nell’implementare in maniera adeguata i vincoli che la Convenzione stabilisce, ma esprime una volontà politica evidente a negare il portato non solo del trattato, ma il disegno politico di promozione delle donne e di tutela dei loro diritti”.

Centinaia di donne hanno protestato a Istanbul dopo che il presidente Tayyip Erdoğan ha ritirato la Turchia dalla Convenzione di Istanbul

Ci si chiede, dunque, quali possano essere gli effetti di tale decisione. “Le conseguenze di queste posizioni vanno oltre la dimensione strettamente territoriale della Turchia. Ciò che temo è che la Turchia abbia aperto un potenziale spazio di azione per altri governi, che mi sembra poter essere l’esito più sfavorevole”. Aggiunge Degani: “Temo fortemente l’avanzare di situazioni che richiamano in qualche modo appelli populistici, di situazioni evidentemente discriminatorie nei confronti della donna, costruite su un disegno del posizionamento sociale della donna e del ruolo della famiglia confliggenti con lo scenario sociale e culturale che invece la Convenzione in qualche modo disegna”. La docente ricorda che, anche in Italia – con il cosiddetto disegno di legge Pillon –, si è rischiata l’adozione di provvedimenti pericolosi dal punto di vista della ridefinizione dello spazio di azione e dei diritti delle donne.

Il tema della violenza contro le donne, parliamoci chiaramente, richiede di rafforzare il posizionamento sociale femminile. Ciò significa dare alle donne le risorse sufficienti sul piano economico, sociale, lavorativo e abitativo per uscire da situazioni di violenza”. Solo in questo modo e con questi strumenti, secondo la docente, potranno liberarsi da una condizione di sopruso, percorrendo un progetto esistenziale, per se stesse e per i propri figli, alternativo a quello in cui si trovano costrette. “Sono questi gli elementi (quando vengono a mancare) che impediscono alle donne di liberarsi dalla violenza, non la paura, non l’amore come tante narrazioni vorrebbero trasmetterci. L’amore non c’entra nulla con la violenza contro le donne”.

Continua Degani: “Le donne vanno credute di più. La narrazione delle donne va creduta”. Una donna riporta di essere vittima di violenza verosimilmente in due circostanze: quando si verificano i primi episodi, perché intravede razionalmente la possibilità che la situazione possa peggiorare, per cui tende ad attivarsi immediatamente per arginare le potenziali ricadute di questo inizio pericoloso. Ma si tratta di una parte minoritaria delle vittime di violenza. La componente più ampia, invece, arriva a chiedere aiuto quando i livelli della violenza sono tali per cui o è a repentaglio la propria vita o quella dei figli. Altro discorso, continua la docente, è la violenza sessuale che può avvenire sia nello spazio pubblico che privato, da una relazione di tipo intimo, la quale “ibrida” tutte le forme di violenza che la Convenzione di Istanbul in qualche modo definisce e tutela dal punto di vista delle donne, dalla violenza psicologica a a quella economica, a quella sessuale, a quella fisica. In questo contesto, Paola Degani sottolinea il ruolo e l’importanza dei centri antiviolenza, come il Centro veneto progetti donna per citarne uno, che ritiene essere luoghi politicamente molto importanti per la prevenzione della violenza, la tutela delle donne e il contrasto alla violenza.

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