SCIENZA E RICERCA

Ucraina, il disastro ambientale nel “cuore verde dell’Europa”

Con i suoi 603.628 km2, l’Ucraina è uno dei più grandi paesi dell’Europa geografica, seconda, per estensione, solo alla Francia. Pur rappresentando circa il 6% del territorio europeo, ospita – secondo i dati forniti dalla Convenzione per la Diversità Biologica – ben il 35% della diversità biologica del continente. La varietà degli ecosistemi, la posizione chiave nelle rotte migratorie, l’incredibile fertilità del suolo sono alcune delle caratteristiche che hanno fatto dell’Ucraina un vero e proprio scrigno di tesori naturali.

Le specie animali e vegetali censite nel territorio del Paese sono più di 70.000, tra cui figurano molte specie rare, relitte (cioè quelle che, in seguito all’estinzione di alcune popolazioni, sopravvivono solo in una piccola porzione del loro originale areale di estensione) ed endemiche (presenti esclusivamente in una regione).

Anche la diversità paesaggistica è un elemento importante del patrimonio naturalistico ucraino. Il 29% del paese è coperto da aree naturali: circa il 16% sono foreste, che si alternano a prati, paludi, prati salini e steppe. La riserva naturale ucraina delle steppe, situata nella regione orientale di Donetsk, protegge l’unico tratto di steppa continentale non modificato dalle attività umane ancora esistente nel continente europeo.

Un altro grande patrimonio dell’Ucraina sono le zone umide: con 63.000 corsi d’acqua e 1,3 milioni di ettari di aree costiere fluviali protette, l’Ucraina ospita ben 50 siti di cui è stata riconosciuta l’“importanza internazionale”, e che per questo sono protetti dalla convenzione di Ramsar.

Altrettanto ricche in termini biologici sono le aree marine di competenza dello stato ucraino: le coste si estendono per 2.700 km, tra il Mare di Azov e il Mar Nero; per decenni, queste zone marine hanno subìto un grave degrado ambientale, causato dal rapido sviluppo dell’industria pesante e dell’agricoltura meccanizzata in Ucraina e in altre parti dell’Europa orientale e dal conseguente aumento degli inquinanti, giunti nelle acque pontiche attraverso alcuni dei più grandi fiumi europei, come il Volga, il Dnepr e il Dnestr. Le aree marine protette di competenza nazionale sono 45, le zone umide marine del Paese protette dalla convenzione di Ramsar sono 22. Dal 2014, tuttavia, circa la metà delle aree marine protette è inaccessibile a ricercatori e responsabili ucraini a causa dell’occupazione illegale, da parte russa, delle regioni di Donetsk e Luhansk.

Gli effetti della guerra

Le stime appena citate, tuttavia, probabilmente non descrivono più la realtà. Il 24 febbraio 2022, infatti, il conflitto che affliggeva, già da otto anni, le regioni più orientali del Paese ha assunto un’estensione e una brutalità di cui tutto il mondo è stato da subito testimone.

Guardare all’impatto che questo conflitto ha – e avrà ancora a lungo – sull’ambiente naturale ucraino e sull’Europa tutta, non significa ignorare il pesantissimo tributo finora versato dalla popolazione, né sminuire le drammatiche conseguenze sociali ed economiche della guerra. Al contrario, comprendere la gravità delle ferite che un anno di combattimenti hanno inferto alla diversità naturale del paese è essenziale anche da un punto di vista sociale.

Infatti, la biodiversità e il resto del patrimonio naturale sono risorse vitali per le società umane: che se ne stimi il valore da un punto di vista economico, estetico o etico, l’importanza della natura per gli esseri umani è indiscussa. Un ecosistema sano, ad esempio, offre fondamentali servizi ecosistemici, la cui perdita causa danni così estesi da essere pressoché incalcolabili dal punto di vista economico. Il mantenimento di riserve e parchi naturali (terrestri e acquatici) in uno stato più o meno incontaminato è essenziale per preservare le catene trofiche ed evitare la semplificazione delle reti ecosistemiche. Senza dimenticare, poi, il valore ricreativo ed estetico di cui una popolazione può godere quando l’ambiente naturale circostante è in buona salute.

Ebbene, dal 24 febbraio 2022 in Ucraina è in corso (anche) una gravissima crisi ambientale, che si aggiunge a quelle già esistenti su scala globale, innescate dal cambiamento climatico e dalla rapida diminuzione della biodiversità.

Da un anno, il ministero ucraino della Protezione Ambientale e delle Risorse Naturali stila rapporti settimanali nei quali si fa il punto dei danni ambientali causati dall’invasione russa e dal proseguire dei combattimenti. Sono veri e propri bollettini di guerra; la differenza è che i morti e le “infrastrutture” danneggiate non sono umani, ma appartengono al resto del mondo naturale. L’ultima pubblicazione, risalente al 18 febbraio, riporta un dato calcolato dall’Ispettorato ucraino per l’ambiente, che quantifica in circa 48.500 miliardi di euro i danni ambientali causati finora dalle ostilità. Le stime numeriche dell’estensione dei danni – che riportiamo integralmente – sono impressionanti:

  • «Più di 280.000 m2 di terreno sono stati contaminati da sostanze pericolose;
  • Circa 14 km2 di territorio sono disseminati di resti di oggetti distrutti e munizioni esplose;
  • 687.000 tonnellate di prodotti petroliferi sono bruciate a causa dei bombardamenti, inquinando l’aria con sostanze pericolose;
  • Più di 59.000 ettari di foreste e di altre aree agricole sono stati bruciati da razzi e granate; alcune di queste zone avranno bisogno di decenni (secondo i calcoli più ottimistici) per essere ripristinati, mentre il resto è perso per sempre;
  • 1.597 tonnellate di sostanze inquinanti sono state rilasciate nei bacini idrici;
  • 2.000.903 kg è il totale della massa di rifiuti che hanno raggiunto i bacini idrici».

Scorie, rifiuti, contaminazioni

È alto il rischio di contaminazione da scorie nucleari, dovuto alle attività russe nei dintorni della centrale nucleare di Zaporizhzhia e, in particolare, vicino alla centrale idroelettrica di Kakhovka: la mancanza di manutenzione ha causato un rapido calo del livello dell’acqua nella riserva idrica della centrale (livello che dagli abituali 16 m è calato agli attuali 13,8 m; il livello critico è di 12 m), situazione che mette a rischio la stabilità della centrale nucleare di Zaporizhzhia.

A causa dei bombardamenti che, fin dall’inizio del conflitto, hanno colpito moltissimi centri industriali, la contaminazione di suoli, acque e aria prosegue senza tregua. L’economia ucraina è largamente basata sull’industria pesante (con infrastrutture petrolifere, metallurgiche, chimiche, aerospaziali, di produzione energetica, per citare solo alcuni dei settori di sviluppo industriale del paese), sviluppatasi negli ultimi 30 anni soprattutto nelle regioni orientali. Si tratta di settori produttivi dal pesante impatto ambientale, le cui infrastrutture, che producono grandi quantità di rifiuti tossici, hanno bisogno di una costante manutenzione per evitare danni ambientali di vasta portata. Simili livelli di manutenzione, tuttavia, sono difficili da mantenere con una guerra di occupazione in corso.

Inoltre, i bombardamenti hanno causato, nel corso dei mesi, sversamenti di materiali tossici nei corsi d’acqua e nelle falde acquifere, e incendi che hanno intossicato l’aria generando conseguenze avverse sia per la salute della popolazione, sia per l’ambiente. Come specifica il dispaccio del ministero, questi incendi hanno conseguenze su ampie porzioni di territorio, poiché i venti diffondono anche a grande distanza le sostanze nocive rilasciate.

I combattimenti generano danni diretti e indiretti agli ecosistemi del paese. Si stima che, dall’inizio del conflitto, siano stati neutralizzati più di 320.000 dispositivi esplosivi; circa il 30% del territorio nazionale è considerato potenzialmente in pericolo per via della presenza di questi ordigni nel terreno. Circa il 15% del territorio agricolo ucraino è ad oggi contaminato dalle mine; questo, insieme alla contaminazione dovuta a metalli pesanti e derivati dal petrolio, renderà probabilmente inutilizzabili per molto tempo ampie aree agricole.

Non bisogna poi dimenticare che i bombardamenti generano un’incredibile quantità di rifiuti: secondo quanto riportato dal ministro dell’Ambiente, «il volume dei rifiuti da demolizione generati in Ucraina dall’inizio dell’aggressione militare russa può già essere paragonato alla quantità media di rifiuti solidi domestici generati nel Paese ogni anno: circa 10-12 milioni di tonnellate».

Aree naturali

Le immagini satellitari mostrano che gli incendi causati da bombardamenti e scontri hanno già danneggiato circa 100.000 ettari di ecosistemi naturali e, secondo quanto riportato dall’Agenzia statale per le risorse forestali dell’Ucraina, il numero di incendi è di 78 volte superiore rispetto a quanto registrato nello stesso periodo dell’anno precedente. Il 30% delle aree protette dell’Ucraina è stato danneggiato da «bombardamenti, inquinamento petrolifero e manovre militari», come afferma il ministero della Protezione Ambientale e delle Risorse Naturali. Alcune delle aree colpite sono particolarmente importanti dal punto di vista ecologico, e rischiano di essere perdute per sempre: ad esempio, i territori delle steppe dell’Ucraina orientale e le foreste che costeggiano il fiume Siverskyi Donets, che sono considerati hotspot di biodiversità.

Secondo un rapporto sull’impatto ambientale della guerra in Ucraina rilasciato a ottobre 2022 dal Programma Ambientale delle Nazioni Unite (UNEP), «quasi un milione di ettari di aree protette ha subìto l’impatto del conflitto, e 812 siti specifici all’interno di aree protette sono a rischio. Sono a rischio, inoltre, circa 160 territori compresi nell’Emerald Network in un’area di 2,9 milioni di ettari, 14 siti Ramsar (400.000 ettari) e quattro riserve della biosfera».

Molti animali sono stati vittime “secondarie” del conflitto. L’UNEP riporta numerosi casi di uccisione di animali domestici sia nelle città, sia nei contesti agricoli, dove gli animali sono ben integrati nel tessuto sociale. Molte delle persone che hanno lasciato le proprie case e le proprie attività non hanno potuto portare con sé i propri animali domestici: una delle conseguenze è che le città sono ora attraversate da branchi di cani randagi, situazione che potrebbe causare un aumento della probabilità di diffusione di malattie come la rabbia.

Neanche gli abitanti degli ecosistemi marini sono stati risparmiati. Le operazioni militari, gli spostamenti di mezzi marittimi di ogni genere, i combattimenti e le esplosioni che si svolgono anche in mare hanno un impatto diretto su questi ambienti acquatici. Diversi resoconti parlano della morte di più di 3.000 delfini nel Mar Nero, le cui carcasse sono state ritrovate sulle spiagge; probabilmente, queste morti sono diretta conseguenze dell’uso dei sonar da parte dei mezzi militari acquatici, strumenti che interferiscono con la capacità di ecolocalizzazione dei cetacei. Secondo l’ultima di una serie di analisi curate congiuntamente dalle organizzazioni CEOBS e Zoï Environment Network, «Gli impatti più diretti del conflitto armato sugli ecosistemi costieri e marini includono l’inquinamento chimico e acustico, il danneggiamento fisico degli habitat e l’interruzione delle attività di conservazione».

The war in Ukraine has exacted a devastating environmental toll on the country. The chief @UNEP scientist, Adrea Hinwood, shared some of the details of a new report on the destruction with UN News. https://t.co/CCIMhqtNeN

Gli impegni per il clima: un miraggio sempre più lontano?

L’organizzazione ambientale EcoAction ha pubblicato, nel novembre 2022, un rapporto dal titolo “Climate damage caused by Russia’s war in Ukraine”, nel quale viene analizzato con particolare attenzione il peso del conflitto in termini di emissioni di gas a effetto serra. Sono quattro le aree di attività direttamente connesse alla guerra che generano la maggior parte delle emissioni climalteranti: lo spostamento di grandi masse di civili (ad oggi sono più di 8 milioni gli ucraini registrati come rifugiati nei paesi europei, e 5,4 milioni gli sfollati interni), l’utilizzo di carburanti per le operazioni militari, l’utilizzo di munizioni, gli incendi.

Per quanto riguarda il consumo di combustibili fossili, la stima – molto approssimativa, vista la difficoltà nel reperire dati accurati sull’effettivo consumo militare di carburanti – è che, nei primi otto mesi di guerra, l’impiego totale di carburante (da parte di entrambe le parti in campo) abbia generato 6,37 milioni di tonnellate di gas CO2e. Per fare un confronto, il totale delle emissioni dell’Unione Europea nel 2019 ammontava a poco più di 4 milioni di tonnellate.

La produzione, il trasporto e lo scoppio delle sole munizioni di artiglieria potrebbero aver generato, fino a novembre 2022, l’immissione in atmosfera di circa 1 milione di tonnellate di gas CO2e. A questo va aggiunto un probabile 30% in più «associato – si legge nel Rapporto – all’uso di altri esplosivi e munizioni come proiettili di piccolo calibro, proiettili di mortaio medi e pesanti, mine terrestri, granate a mano e a percussione, munizioni per cannoni di carri armati, razzi di artiglieria e missili aerei, etc.». Infine, gli incendi: quelli registrati nei primi sette mesi di guerra sono stati più di 6.000, e si stima che abbiano generato 16,5 milioni tonnellate di gas CO2e.

Il settore che, tra tutti, ha (e avrà soprattutto in futuro) il maggior impatto in termini di alterazione del clima è però un altro: la ricostruzione. Secondo questo Rapporto, infatti, alla riparazione e alla ricostruzione degli edifici civili e delle infrastrutture andati distrutti o gravemente danneggiati durante questa guerra va attribuito circa il 50% del contributo in termini di emissioni, pari a circa 48 milioni di tonnellate di gas CO2e.

Il numero totale di emissioni è impressionante: 97,286 milioni di tonnellate. Numero che, tuttavia, non comprende altre – potenzialmente sostanziali – fonti di emissioni, come spiegano gli autori della valutazione: «L’invasione russa dell’Ucraina avrà un impatto di lunga durata sui cambiamenti climatici e sulle emissioni di gas serra. In particolare, è probabile che vi sia, nel breve o medio termine, un riorientamento dei flussi energetici e un ridimensionamento del ruolo del gas naturale come combustibile di transizione. […] Inoltre, è molto probabile che dopo la guerra vi sia un nuovo bilanciamento dei flussi di investimento in Ucraina. Per esempio, una parte significativa delle risorse finanziarie che si stimava dovessero essere destinate all’attuazione dei Nationally Determined Contributions (NDCs) sarà probabilmente reindirizzata alla ricostruzione postbellica. Tali impatti a lungo termine comportano il significativo rischio di ulteriori effetti negativi sul clima e dell’aumento delle emissioni di gas serra».

Come sottolineato dai CEO delle divisioni del WWF dell’Europa centrale e orientale e dell’Ucraina, l’ingente sforzo economico reso necessario per accumulare risorse per la protezione del territorio nazionale ha inevitabilmente rallentato – e, in molti casi, sospeso – le iniziative di tutela ambientale e di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico.

Come gli altri paesi firmatari dell’Accordo di Parigi, l’Ucraina aveva aggiornato, nel luglio 2021, le proprie Nationally Determined Contributions, impegnandosi a ridurre le emissioni di gas climalteranti del 65% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030, e aveva individuato una serie di obiettivi di adattamento. È difficile, tuttavia, che il Paese riesca ad onorare questi impegni. Tralasciando le grandi quantità di emissioni rilasciate da bombardamenti, incendi, demolizione di edifici e operazioni militari, se anche la guerra cessasse domani, è probabile che il solo impatto ambientale della ricostruzione rimarrebbe per anni un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione e sostenibilità.

Inoltre, la già difficile transizione verso sistemi di produzione di energia più puliti (l’Ucraina è grande produttrice – e consumatrice – di petrolio e carbone) è stata ulteriormente frenata dal conflitto. Come riportato dal WWF, la maggior parte dei sistemi di energia rinnovabile esistenti si trova nel sud e nell’est del Paese, e sta subendo gravi danni; inoltre, gli investimenti che erano stati programmati per il prossimo futuro sono sospesi.

Allo stesso modo, è sospesa la maggior parte delle attività di tutela ambientale: gran parte delle aree marine protette a livello nazionale o inserite nella convenzione di Ramsar sono inaccessibili; stessa sorte per molti parchi e aree protette terrestri, dove i programmi di monitoraggio e tutela sono fermi da quasi un anno. È difficile, dunque, avere una chiara idea di quanto la ricchissima natura ucraina sia stata compromessa – con ogni probabilità, in modo irreversibile – nel corso di questo primo anno di ostilità.

La diplomazia dell’ambiente: c’è futuro?

Tra i più preoccupanti effetti a lungo termine del conflitto tra la Federazione Russa e l’Ucraina vi è la possibilità che la cooperazione internazionale per l’ambiente venga drammaticamente indebolita dalle tensioni diplomatiche. Secondo un Policy Brief pubblicato a febbraio 2023 sulla rivista scientifica Frontiers in Conservation Science, l’isolamento della Russia potrebbe avere conseguenze molto negative per il raggiungimento degli obiettivi internazionali in materia di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico (Accordo di Parigi) e di tutela della biodiversità (Global Biodiversity Framework). La Russia è stata, ad oggi, esclusa da diversi organismi internazionali di conservazione della biodiversità; molte collaborazioni scientifiche con ricercatori di nazionalità russa sono state sospese come conseguenza delle sanzioni; i contributi economici destinati ad attività di conservazione in territorio russo sono stati considerevolmente ridotti. Molti progetti di conservazione in fase di avvio nei territori russi e ucraini sono stati sospesi: è il caso, ad esempio, di un grande progetto di reintroduzione del bisonte europeo in una vasta area tra Polonia, Bielorussia, Russia e Ucraina. Molte delle risorse che, prima della guerra, erano destinate ad attività di tutela della natura sia a livello locale che internazionale sono state spostate verso il sostegno delle attività belliche o il rafforzamento della sicurezza.

Inevitabilmente, in situazioni di crisi o emergenza la protezione della biodiversità occupa uno dei posti più bassi nella scala di priorità dei decisori politici.

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