SOCIETÀ

Uganda: una riserva naturale Unesco contro fame e inquinamento

C’è una foresta da salvare: dateci una mano altrimenti qui scoppia una guerra civile”. È la richiesta di aiuto che Pierluigi Rossanigo – referente della diocesi cattolica di Moroto per i servizi sanitari e già medico del Cuamm – rivolge nel 2017 al docente dell'università di Padova Alberto Lanzavecchia e a Giulia Cau, allora laureanda del corso di laurea magistrale in 'Human Rights and multi-level governance'. L’area è quella del monte Moroto, nella regione del Karamoja in Uganda, luogo meraviglioso dal punto di vista naturalistico ma degradato: qui la popolazione del posto è sempre più in conflitto con soggetti che vengono da fuori per praticare deforestazione e bracconaggio, arrivando persino ad aprire miniere illegali. Una situazione tanto più pesante perché per i karamojong il Moroto è una montagna sacra e si rischia che il conflitto latente prima o poi esploda: negli ultimi anni si è infatti assistito a un incremento degli episodi di violenza con sparatorie e uccisioni.

Di fronte all’appello di Medici con l’Africa – Cuamm non abbiamo resistito; con il collega Alberto Lanzavecchia abbiamo deciso di occuparci della situazione: è partita così una straordinaria avventura”. A parlare è Giorgio Andrian, docente universitario a Padova di progettazione europea del paesaggio con una lunga esperienza come funzionario internazionale presso l’Unesco. “Siamo così andati in Uganda e abbiamo scoperto un contesto molto difficile, fatto di abbandono e di sfruttamento selvaggio delle risorse – continua lo studioso –. Quando però siamo tornati a Kampala abbiamo deciso di non gettare la spugna ma anzi di rilanciare, trasformando una situazione difficile in opportunità”.

È nata così l’idea, evolutasi poi in progetto, di candidare l’area del Moroto al programma Unesco Man and Biosphere (MaB), che proprio quest’anno compie cinquant’anni e che al momento raccoglie e mette in rete 714 riserve naturali in 129 Stati dei cinque continenti. Si tratta di aree di ecosistemi terrestri, costieri e marini in cui si cerca di conservare e tutelare l'ecosistema e la sua biodiversità, promuovendo al contempo l'utilizzo sostenibile delle risorse naturali a beneficio delle comunità locali, tramite attività di ricerca, controllo, educazione e formazione; il tutto in accordo con i documenti e le dichiarazioni internazionali in materia, a partire dall’Agenda 21 e dalla Convenzione sulla diversità biologica. Da questo punto di vista l’area del Moroto si presenta come un ottimo candidato, non solo perché ricca di flora e di fauna selvatica (tra cui leopardi, antilopi dik-dik e babbuini), ma anche perché ospita i Tepeth, un sottogruppo dell’etnia Karamojong che vive nelle foreste sulla cima della montagna.

Da subito sono apparsi evidenti i benefici per il territorio e la comunità di un percorso per il riconoscimento internazionale, che tra le altre cose potesse stimolare il confronto tra i diversi interessi in conflitto: “Grazie a un progetto internazionale siamo riusciti a far dialogare le persone del Karamoja con la capitale Kampala – spiega Andrian, project manager dell’iniziativa –; si tratta di un esempio di quel connubio tra diritti umani e Multi-level Governance di cui proprio il Centro per i diritti umani padovano è considerato all’avanguardia”. Un team di esperti, provenienti in larga parte dall’università di Padova, si è dunque messo al lavoro, grazie al sostegno dell’Undp (il programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo) e alla collaborazione della nostra ambasciata e della diocesi cattolica di Moroto. Un progetto quindi all’insegna della sinergia tra pubblico e privato, in cui Padova – sfortunata capitale europea del volontariato nel 2020 – vanta buone prassi conosciute a livello internazionale.

Intervista di Daniele Mont D'Arpizio; montaggio di Elisa Speronello

Natura e sviluppo non sono in antitesi; tutelare l’ambiente non significa buttare fuori le comunità

La speranza è che progetti come questo possano anche aiutare la pacificazione e la democratizzazione della regione: proprio in Uganda si sono svolte da poco le elezioni presidenziali, che hanno visto l’affermazione del presidente Yoweri Museveni per il sesto mandato consecutivo; a pochi chilometri c’è inoltre la Repubblica Democratica del Congo, da anni preda di lotte tra fazioni e recentemente teatro dell’attentato all’ambasciatore italiano Attanasio e alla sua scorta. “Pace e democrazia sono i veri ultimate goals, gli obiettivi di tutto quello che facciamo – continua il docente padovano –. Violenze e attentati si verificano nelle zone abbandonate a se stesse, fuori da ogni controllo. Perché questo non accada più c’è un solo modo: riportare l’Africa al centro di una serie di attività, ed è quello che nel nostro piccolo stiamo cercando di fare”. Ciò che serve oggi, secondo Andrian, è un cambio di passo che porti a un nuovo modo di fare cooperazione allo sviluppo: “L’importante è confrontarsi su un piano di parità: in Uganda hanno competenze che noi non abbiamo e viceversa. Perché l’Africa, continente estremamente dinamico che cresce a ritmo doppio rispetto al nostro, può anche essere un’opportunità per tutti noi”.

Intanto la prima fase del percorso di progettazione si è conclusa lo scorso dicembre con la presentazione di uno studio di fattibilità (Feasibility Study), cui dovrebbe seguire la preparazione del dossier completo per la presentazione della candidatura presso l’Unesco. “Tutelare l’ambiente non significa buttare fuori le comunità – ribadisce Andrian –. Per questo durante la prima fase di progettazione siamo andati a confrontarci con gli anziani delle comunità del Karamoja, sedendoci a parlare con loro sotto l’albero sacro fuori dal villaggio. Certo bisogna anche offrire alternative di sviluppo sostenibile: ad esempio promuovendo l’eco-turismo, come stiamo facendo, oppure aiutando le amministrazioni ad implementare una tecnologia per produrre energia dagli scarti delle biomasse. Cose concrete che la gente può subito apprezzare”.

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