L’Uganda rischia di scivolare nel caos, nel pieno di una campagna elettorale già avvelenata dalla violenza e dalla repressione imposta dall’attuale presidente, Yoweri Museveni, 76 anni, da 35 ininterrottamente al potere. Museveni, nel solco segnato dai dittatori che lui stesso contribuì a rovesciare (Idi Amin e Milton Obode) sta tentando di ostacolare in ogni modo qualsiasi forma di opposizione, utilizzando il potere che ancora detiene, facendo arrestare i suoi oppositori e bloccando le manifestazioni di protesta, politiche e sociali, in diversi centri del paese. Gli scontri in piazza sono ormai all’ordine del giorno, con un bilancio gravissimo di morti e feriti dallo scorso 18 novembre, il giorno in cui Bobi Wine, 38enne musicista assai popolare, candidato per il National Unity Platform (NUP) alle elezioni presidenziali, in programma il 14 gennaio 2021, è stato arrestato per l’ennesima volta, al termine di un comizio nel distretto di Luuka, nell’Uganda orientale. Wine (pseudonimo di Robert Kyagulanyi Ssentamu) è stato accusato di aver organizzato il comizio in violazione delle norme che impediscono assembramenti di persone, in base a quanto disposto per arginare la pandemia da Covid-19. Un arresto brutale, secondo quanto hanno riferito i testimoni. E subito sono scoppiate rivolte in diverse città, compresa la capitale, Kampala, dove i rivoltosi hanno saccheggiato alcuni negozi. Ma le forze di sicurezza non si sono limitate al lancio di lacrimogeni; hanno usato proiettili veri per disperdere i rivoltosi. Da allora la scia di sangue non s’è più fermata.
Caccia agli oppositori e ai giornalisti
Le fonti ufficiali parlano di 70 morti, ma verificare la notizia è impossibile: per i giornalisti, soprattutto stranieri, la situazione è sempre più pericolosa. Martedì scorso sono stati prima arrestati e poi espulsi tre giornalisti canadesi della CBC News, che erano nel Paese africano per coprire le elezioni generali del 2021. Il ministero dell’Interno ha rifiutato di fornire spiegazioni sul perché dell’espulsione. L’unico commento è arrivato da Ofwono Opondo, direttore esecutivo dell’Uganda Media Center, che sul suo profilo Twitter ha dichiarato: «Abbiamo bisogno che giornalisti stranieri controllino il nostro processo elettorale perché sia qualificato come credibile? L'Uganda si riserva il diritto di ammettere persone straniere, giornalisti inclusi». Altri reporter sono stati aggrediti con spray al peperoncino, un freelance ferito da un proiettile di gomma: tutti stavano documentando le attività dei candidati dell’opposizione. L’African centre for media excellence (Acme) ha condannato le violenze: «Queste azioni non minacciano solo i giornalisti, ma anche la libera circolazione delle informazioni». Anche il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha condannato le violenze: «Invito le autorità ugandesi a garantire che tutti gli autori di violazioni dei diritti umani siano ritenuti responsabili», ha scritto in una nota. Chiedo inoltre il rilascio immediato di qualsiasi individuo che possa essere stato arbitrariamente arrestato».
L’ipotesi di un “complotto straniero” per sovvertire il governo sta diventando l’ossessione del presidente Museveni, che continua a denunciare “infiltrazioni” (addirittura scivolando nel grottesco quando denuncia “finanziamenti di gruppi omosessuali stranieri”), soprattutto a sostegno della candidatura di Bobi Wine, senza però fornire prova alcuna. Ma gli attacchi delle forze di sicurezza ormai avvengono senza più nemmeno il bisogno di un pretesto, forti anche delle dichiarazioni del presidente, che ha definito “bande criminali” tutti i partiti di opposizione. Martedì scorso, 1 dicembre, il convoglio di auto su cui viaggiava Bobi Wine nel distretto di Kayunga, a circa 65 km a nord della capitale, è stato attaccato da un gruppo armato delle forze di sicurezza. I proiettili di gomma, come riporta Al Jazeera, hanno ferito diversi membri dello staff del candidato, tra i quali il suo produttore, Daniel Oyerwot. «Le nostre vite sono in pericolo!», ha poi twittato lo stesso Wine, pubblicando foto delle auto colpite dai proiettili, sul parabrezza, sulle gomme. Il portavoce della polizia, Patrick Onyango, ha dichiarato che sono stati i sostenitori del National Unity Platform ad attaccare la polizia, e che tre persone, tra le quali Oyerwot, sono state ferite da “frammenti di gas lacrimogeni”. Il comizio di Wine si è poi concluso in un clima di altissima tensione: qui un video che testimonia i colpi d’arma da fuoco sparati verso il candidato. La scorsa settimana invece un camion della polizia ha deliberatamente investito un gruppo di sostenitori di Bobi Wine, a Mayangayanga, in strada per applaudirlo al suo passaggio: testimoni oculari hanno riferito che una persona, che si trovava a bordo di una moto, è morta sul colpo, mentre altre 5 sono state portate in ospedale con gravi ferite. La polizia ha ammesso l’incidente, parlando però di “guida pericolosa” del motociclista e di “strada scivolosa”.
Violazioni sistematiche delle libertà di associazione
Museveni, sostenuto dal Movimento di resistenza nazionale (NRM), è un leader autoritario che negli anni è riuscito a professionalizzare e politicizzare l’esercito (L’Uganda People’s Defence Force ha 10 rappresentanti in Parlamento, da lui nominati), con un ruolo che va ben oltre il mantenimento dell’ordine pubblico: dall’agricoltura all’ingegneria, all’edilizia (perfino l’organizzazione di concorsi di bellezza). Le sue pratiche dittatoriali sono finite spesso sotto i riflettori delle organizzazioni per i diritti dell’uomo. Come Human Right Watch, che nel Rapporto 2020 parla di “violazioni sistematiche della libertà di associazione, riunione ed espressione”: «Le autorità hanno introdotto nuove normative che limitano le attività online e soffocano i media indipendenti. Il governo ha arrestato i suoi oppositori politici e bloccato le manifestazioni politiche e studentesche. Queste restrizioni ai diritti di espressione e di assemblea, le detenzioni arbitrarie e i procedimenti giudiziari nei confronti di chi critica il governo, non sono di buon auspicio per le elezioni generali del 2021».
Non è la prima volta che “l’eterno Presidente”, come viene chiamato Museveni, tenta di sbarrare la strada con ogni mezzo all’avversario politico più pericoloso. Era già accaduto nel 2006 quando si candidò Kizza Beseyge, ex medico personale di Museveni e leader del Forum per la Democrazia, già finito nel mirino dei militari (con arresti e campagne di diffamazione) quando ruppe i rapporti con il presidente denunciandone gli abusi. Beseyge fu arrestato e a lungo detenuto, il che gli impedì di fare campagna elettorale. Stesso schema con Bobi Wine, ma con una differenza: i Servizi di sicurezza questa volta hanno consigliato al presidente di liberare, su cauzione, Wine: una condanna, o comunque la prolungata detenzione del candidato, avrebbe portato a una rivolta popolare in tutto il paese, difficilmente arginabile se non con violenze ben più gravi delle attuali. Perché gli ugandesi sono stufi dell’ingombrante Museveni, che governa dal 1986, che ha fatto cambiare due volte la Costituzione per potersi ricandidare (l’ultima nel 2017, per rimuovere il limite dei 75 anni di età), accusato di aver gestito la pandemia più per fini politici che sanitari, con un lockdown generale che ha paralizzato il paese, bloccando i trasporti pubblici e qualsiasi possibilità di spostamento per i più poveri (anche raggiungere gli ospedali), mandando sul lastrico piccoli commercianti.
La popolarità in aumento di Bobi Wine
Ma questa volta Museveni rischia grosso. L’Uganda, con i suoi 42 milioni di abitanti, è un Paese giovane: circa il 75% della popolazione ha meno di 30 anni, più giovani del “regno” di Museveni. E un candidato popstar come Bobi Wine ha certamente un enorme seguito. I candidati alla presidenza sono in realtà 11, e proprio su questo conta l’entourage del presidente: frammentare l’opposizione, disperderla, metterla contro per continuare ad avere una maggioranza, che gli ultimi sondaggi stimano al 48%. Ma più tempo passa più i seguaci di Wine aumentano. Piace la sua musica, il suo coraggio, il suo impegno sociale, civile e politico, con espliciti inviti alla ribellione contro le politiche liberticide dei governanti. Domenica scorsa il musicista, in una diretta streaming su Facebook, ha detto: «Non ascoltate quello che vi dice il signor Museveni che siamo finanziati da stranieri; siamo finanziati dagli ugandesi che sentono che siamo sulla strada giusta. Combattere un dittatore non è facile perché oggi ti ricatterà accusandoti di essere violento e l'altro giorno dirà che sei finanziato da stranieri». Infine un consiglio al “vecchio Presidente” che sa di sfida e di minaccia: «Hai la possibilità di farti da parte e salvare così la tua dignità: non è troppo tardi. Ma se rifiuti farai la fine di Gheddafi».