MONDO SALUTE

Vaccini su minori? Prima anziani e persone fragili nel resto del mondo

Il primo studio nazionale sull’impatto della vaccinazione anti Covid-19 – condotto su 13,7 milioni di persone vaccinate dal 27 dicembre 2020 al 3 maggio 2021 dal Gruppo di lavoro ISS e Ministero della Salute “Sorveglianza vaccini COVID-19” – dimostra che nelle persone vaccinate il rischio di infezione da Sars-CoV-2, di ricovero e di decesso diminuisce progressivamente dopo le prime due settimane e, a partire dai 35 giorni dall’inizio del ciclo vaccinale, si assiste a una riduzione dell’80% delle infezioni, del 90% dei ricoveri e del 95% dei decessi, sia negli uomini che nelle donne di diverse fasce di età. Proseguire con le vaccinazioni dunque è fondamentale per un auspicato ritorno alla normalità e, se il piano stabilito a livello ministeriale definisce le priorità, si comincia a ragionare anche sulla vaccinazione dei più piccoli.

La Food and Drug Administration (Fda) il 10 maggio scorso ha ampliato l’autorizzazione all’uso in emergenza del vaccino anti Covid-19 della Pfizer-BioNTech, includendo anche la fascia di età compresa tra i 12 e i 15 anni. “Avere un vaccino autorizzato per una popolazione più giovane – ha dichiarato Peter Marks, direttore del Center for Biologics Evaluation and Research della Fda – è un passo fondamentale per continuare a ridurre l’immenso peso sulla salute pubblica causato dalla pandemia da Covid-19”. Intanto trial clinici sono in corso anche su ragazze e ragazzi di età inferiore. Proprio Pfizer-BioNTech, per esempio, pochi mesi fa ha avviato studi su bambini di età compresa tra i sei mesi e gli 11 anni e, se la sicurezza e l’immunogenicità del vaccino saranno confermate, conta di ricevere l’autorizzazione all’impiego in questa fascia di età all’inizio del 2022. Nella stessa direzione si muove anche la casa farmaceutica Moderna, che ha avviato la sperimentazione nei bambini dai 6 mesi ai 12 anni a metà marzo. Di questi giorni, invece, l’annuncio da parte dell’azienda che sugli adolescenti di età compresa tra i 12 e i 18 anni non compiuti il vaccino mRNA-1273 è risultato altamente efficace nel prevenire Covid-19 (al 100% dopo due dosi), al punto che l’intenzione è di presentare i dati per l’autorizzazione alla Fda già a giugno. 

Si prevede che il 28 maggio l'Ema rilasci l’autorizzazione al vaccino Pfizer per la fascia 12-15 anni – ha dichiarato recentemente il ministro della Salute Roberto Speranza. Per il momento solo questo immunizzante è previsto a partire dall'età di 16 anni, gli altri dai 18. È un fatto molto importante perché vaccinare i giovani è altamente strategico ed è essenziale per la riapertura in sicurezza del prossimo anno scolastico”. Sottolinea inoltre che, con l’arrivo di altri 20 milioni di dosi di vaccini a giugno, dopo gli operatori sanitari, gli anziani e i più fragili, sarà dunque possibile pensare di estendere l’immunizzazione anche alle categorie più giovani. E il sottosegretario alla Salute Andrea Costa non esclude l’ipotesi di effettuare le vaccinazioni nelle scuole da settembre.

Sull’opportunità di vaccinare i più piccoli, dunque, si esprimono in molti. Già all’inizio di quest’anno, in un’intervista rilasciata a Barbara Paknazar de Il Bo Live, anche Paolo Rossi, direttore del dipartimento di Pediatrico universitario-ospedaliero dell'ospedale Bambino Gesù di Roma e docente di pediatria all’università Roma Tor Vergata, dichiarava che senza vaccinare i ragazzi è difficile pensare di raggiungere l’immunità di gregge: “Personalmente – sosteneva in quell’occasione il docente – punterei molto a vaccinare i più giovani. Per prima cosa perché è un loro diritto e poi perché è presente nel regolamento pediatrico […]. Cercherei di accelerare la vaccinazione sui giovani, magari con un meccanismo di approccio a stadi che parta dagli adolescenti dai 12 ai 16 anni per poi scendere verso i più piccoli. L'estensione della copertura vaccinale deve raggiungere quasi l'80% della popolazione e se non includiamo anche queste fasce non la raggiungeremo mai”.

Sull’argomento si sofferma anche Nature. I più piccoli, si legge, probabilmente non sono dei superdiffusori come lo sono per altri virus tra cui quello dell’influenza. Tuttavia, con l'emergere di varianti che si diffondono più rapidamente, insieme all'aumento dei tassi di vaccinazione degli adulti in alcuni Paesi, bambini e adolescenti potrebbero presto contribuire maggiormente alla diffusione del contagio e il virus potrebbe trovare il modo per diffondersi se non viene bloccata questa strada.

Non tutti, però, sono sulla stessa linea. Nel Regno Unito, in una lettera indirizzata pochi giorni fa all’Agenzia regolatoria nazionale sui medicinali (MHRA) e riportata da The Telegraph, un gruppo di oltre 40 medici e scienziati esprimono la loro preoccupazione davanti alla possibilità di vaccinare i più piccoli. Sostengono che mentre i benefici di un vaccino per gli anziani e le persone vulnerabili sono chiari, il rapporto rischi benefici per i più giovani è abbastanza diverso, poiché i bambini sani non corrono quasi nessun rischio di contrarre Covid-19. I bambini non trasmettono l’infezione da Sars-CoV-2 con la stessa facilità degli adulti, scrivono i firmatari. Inoltre, secondo quanto dichiarato, le scuole avrebbero dimostrato di non essere degli hotspot per la diffusione del nuovo coronavirus in comunità e gli insegnanti, inoltre, avrebbero un rischio minore di contrarre Covid-19 rispetto ad altri adulti in età lavorativa. Gli autori della lettera concludono affermando che gli studi clinici nei bambini pongono “enormi dilemmi etici”, se si considera la mancanza di potenziali benefici per i partecipanti allo studio e i rischi sconosciuti.

Per approfondire l’argomento, Il Bo Live si è rivolto ad Alberto Giubilini, ricercatore all’Oxford Uehiro Centre for Practical Ethics e al Wellcome Centre for Ethics and the Humanities dell’università di Oxford. Giubilini è autore, oltre che di articoli scientifici sul tema, di un volume dal titolo The Ethics of Vaccination, edito nel 2019, e ha contribuito al libro Etica dei vaccini. Tra libertà e responsabilità, a cura di Marco Annoni, pubblicato nel 2021 da Donzelli Editore.

Intervista completa ad Alberto Giubilini dell’Oxford Uehiro Centre for Practical Ethics. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Barbara Paknazar

“La questione principale – esordisce Giubilini – è se il vaccino debba essere obbligatorio o meno. Il vaccino come libera scelta non è particolarmente problematico dal punto di vista etico, perché i genitori sono liberi di fare la propria valutazione dei rischi. Dobbiamo prendere in considerazione che, se noi vacciniamo i bambini ciò che stiamo facendo è proteggere i più giovani, non tanto perché sia nel loro interesse, ma perché è nell'interesse della collettività, delle persone più vulnerabili, dei sistemi sanitari. I bambini sono una categoria a bassissimo rischio Covid, quindi stiamo facendo qualcosa che non è nel diretto interesse dei bambini”. È giustificato, dunque, imporre un minimo costo ai bambini per proteggere l'interesse della comunità o di altre persone? Si interroga il ricercatore.

“Dipende da quali sono i rischi di questo vaccino e la questione è problematica, perché non sappiamo molto a riguardo. Abbiamo visto, per esempio, che con il vaccino di Oxford Astrazeneca, vaccino molto sicuro, molto efficace, ci sono stati dei problemi, emersi solo dopo l'approvazione del vaccino stesso. Si tratta di un rischio minimo di trombosi, che non era emerso durante i trial. Il vaccino Pfizer è stato approvato in America sui ragazzi tra i 12 e i 15 anni, è molto probabilmente sicuro, ma non sappiamo molto riguardo i rischi, perché i trial vengono sempre condotti su un gruppo di migliaia di soggetti. Quando si vaccinano centinaia di milioni di persone, però, ci sono dei rischi che non possono emergere nella fase dei trial. Dunque, c'è molta incertezza riguardo questo vaccino. Dobbiamo imporre un costo, un rischio ai bambini per proteggere interessi altrui? Dipende molto da quanto grande è questo rischio e al momento non lo sappiamo. Per questo, sono un po’ scettico riguardo l’opportunità di vaccinare i bambini contro Covid-19 al momento, perché non sappiamo abbastanza su quali siano i rischi”.

Giubilini pone anche una questione di altro tipo: oggi si dispone di una quantità di vaccini ancora molto limitata e dunque ci si interroga se vaccinare una parte della popolazione a bassissimo rischio Covid, quando invece quei vaccini potrebbero essere usati in altro modo. “Paesi come gli Stati Uniti o l'Inghilterra hanno vaccinato soggetti molto giovani, adesso qui (in Inghilterra, ndr) stanno vaccinando le persone di 30 anni, ma ci sono Paesi come l'India, Paesi delle parti povere del mondo, dove non sono ancora state vaccinate le persone anziane e vulnerabili. C'è un’iniziativa che si chiama Covax, per esempio, una piattaforma creata dall’Organizzazione mondiale della Sanità per garantire una distribuzione equa dei vaccini a livello mondiale, che richiede ai Paesi più benestanti come l'Inghilterra, gli Stati Uniti, l'Italia di dare parte dei loro vaccini a questi Stati, perché la pandemia è un problema globale, non locale”.

E, in questa direzione, proprio nei giorni Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms, ha esortato alcuni Paesi a riconsiderare la possibilità di vaccinare bambini e adolescenti e a donare invece i vaccini a Covax.

“Sono d’accordo per due motivi – dichiara Giubilini –: prima di tutto perché c’è una questione di bene pubblico globale. I bambini in America, in Inghilterra non sono rischio, gli anziani in India lo sono e ha più senso proteggere gli anziani in questo Stato, da un punto di vista etico. In secondo luogo è anche nel nostro interesse, nell’interesse dei Paesi ricchi, perché se non teniamo il virus sotto controllo in India, in Africa, in Sudamerica, il problema ci tornerà indietro: nel momento in cui si aprono le frontiere e si ritorna viaggiare, se un Paese come l'India con milioni di persone non è adeguatamente protetto dalla malattia, il Covid e le varianti ritorneranno anche da noi. Pertanto ci sono due ordini di considerazioni da fare, uno di tipo etico, ma anche uno di tipo strategico che è nell'interesse nazionale. Non ha senso vaccinare i bambini qui, o in America, quando ci sono persone anziane in altri Paesi che non sono state ancora vaccinate”.

Nei Paesi in cui le  categorie più fragili sono immunizzate, Giubilini ritiene che i più piccoli non costituiscano un problema rilevante nella catena di contagio: “Nel momento in cui noi vacciniamo con due dosi i gruppi vulnerabili, il rischio che i bambini trasmettano il virus esiste, ma non è un rischio che comporta problemi troppo seri, perché sappiamo che i vaccini sia Pfizer, che Astrazeneca, che Moderna, anche quando non proteggono dalle infezioni, hanno una efficacia vicina al 100% nel proteggere le persone dai sintomi gravi, quindi nel prevenire morte e ricoveri ospedalieri. Il fatto, dunque, che i bambini restino dei vettori del virus nel momento in cui le persone vulnerabili sono adeguatamente protette non credo sia una considerazione troppo rilevante. Covid-19 è una malattia che colpisce in modo grave una fetta molto piccola popolazione, non è un grosso rischio per i giovani, per la popolazione sotto i 40 anni, lo è per le persone molto anziane. Queste sono vaccinate con due dosi al momento, il rischio di trasmissione del virus esiste, ma con la protezione fornita dai vaccini abbiamo di fatto trasformato il Covid in qualcosa che è simile all'influenza, e le persone che contraggono la malattia con due dosi non hanno sintomi molto gravi. Vorrei ridurre l'entità di questo rischio, che esiste, ma le conseguenze nel caso il rischio si attualizzi non sono gravi come l'anno scorso, quando non avevamo i vaccini per le persone vulnerabili”.

E a proposito dei trial clinici che vengono condotti sui più piccoli Giubilini afferma: “La sperimentazione clinica nei bambini è sempre particolarmente problematica, innanzitutto perché sono i genitori a dover dare il consenso e a decidere per i propri figli, in secondo luogo perché si pone un rischio a un gruppo di persone che in questo caso non è ad alto rischio per Covid e qualunque effetto collaterale in un bambino potrebbe avere ripercussioni per il resto della sua vita”. E conclude il ricercatore: “Considerato ciò che sappiamo su Covid-19 adesso e considerata l'incertezza sui vaccini, secondo me avere condotto i trial sui bambini a questo punto è stata una scelta sbagliata eticamente, perché si impongono dei rischi a una fetta di popolazione che non è ad alto rischio Covid per un beneficio molto incerto al momento, dato che i vulnerabili sono stati vaccinati. Credo che tutte queste risorse sarebbero state meglio investite in un altro tipo di ricerca, per esempio per studiare diversi vaccini, per migliorare quelli esistenti contro le varianti e distribuire i vaccini in modo più efficace a livello globale”.

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