SCIENZA E RICERCA

Vaccini a mRna per combattere Hiv

Di vaccini a mRna abbiamo sentito parlare spesso nell’ultimo anno, dato che alcuni tra quelli sviluppati contro Covid-19 si basano proprio su questa tecnologia. Si tratta di una metodica che gli scienziati studiano in realtà da tempo – a cominciare dagli anni Novanta – e a cui si guarda non solo per la produzione di vaccini ma anche per lo sviluppo di farmaci. Sono in fase di studio vaccini a Rna messaggero contro la rabbia, contro Zika, contro il citomegalovirus, l’influenza e altri virus. E ora un gruppo di scienziati del National Institute of Allergy and Infectious Diseases (Niaid) - National Institutes of Health, coordinati da Paolo Lusso nell’ambito di una collaborazione internazionale che include anche ricercatori di Moderna, ha sviluppato un vaccino a Rna messaggero contro il virus dell’Hiv, dimostrandone tollerabilità ed efficacia nei primi esperimenti condotti su animali. Lo studio è stato recentemente pubblicato su Nature Medicine con il titolo A multiclade env–gag VLP mRNA vaccine elicits tier-2 HIV-1-neutralizing antibodies and reduces the risk of heterologous SHIV infection in macaques.


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Il vaccino sperimentale funziona come i vaccini a mRna sviluppati contro Covid-19. In questo caso le molecole di Rna messaggero, iniettate nel nostro corpo all’interno di una nanoparticella lipidica attraverso il vaccino, forniscono alle nostre cellule le istruzioni necessarie per produrre la proteina Spike, la “chiave” che Sars-CoV-2 utilizza per “aprire la serratura” delle nostre cellule (i recettori Ace2) e infettarle. In questo modo il sistema immunitario viene allenato a riconoscere il virus pur senza mai esserne venuto in contatto.

Nel caso del virus dell’Hiv, il vaccino fornisce istruzioni codificate per produrre invece due proteine chiave dell'Hiv, Env e Gag, che nell’organismo si assemblano e formano particelle del tutto simili a quelle virali (viral like particles – VLP). “La prima (Env) – spiega Sara Richter, professoressa del dipartimento di Medicina molecolare dell'università di Padova e tra le massime esperte in questo ambito di studi – è la proteina che serve al virus per riconoscere la cellula da infettare ed è proprio verso questa proteina che vogliamo produrre anticorpi, così da impedire il legame del virus con la cellula bersaglio. La seconda (Gag), invece, costituisce la capsula del virus. Ciò che si fa è sfruttare una delle caratteristiche delle proteine virali di struttura e cioè che queste raggiungono la stabilità energetica quando si assembrano in particelle del tutto simili a quelle virali”. In questo caso sulle particelle formate da Gag, dunque, si inserisce e viene esposta la proteina Env. “Il vantaggio di questa strategia è che il sistema immunitario si trova a riconoscere Env in un contesto che è più simile a quello reale, quindi in teoria il sistema immunitario dovrebbe diventare più efficace. Questo tipo di vaccino, inoltre, in nessun modo può dare infezione, perché non contiene il materiale genetico del virus”. Anche se non possono causare infezioni o malattie, tuttavia, le particelle simil-virali corrispondono al virus intero e infettivo in termini di stimolazione di risposte immunitarie adeguate.

Gli esperimenti sono stati condotti prima sui topi e in questo caso gli scienziati hanno rilevato che due iniezioni del vaccino mRna hanno indotto anticorpi neutralizzanti in tutti gli animali. Le proteine Env prodotte nei topi dalle istruzioni dell'mRna assomigliavano molto a quelle del virus intero, e questo rappresenta un miglioramento rispetto ai precedenti vaccini sperimentali dell'Hiv.  

Intervista completa a Sara Richter, docente del dipartimento di Medicina molecolare dell'università di Padova. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Elisa Speronello

Il team ha poi testato il vaccino Env-Gag VLP mRNA nei macachi. Nel corso dell’anno sono state iniettate più dosi di vaccino, che è stato via via modificato durante gli esperimenti per stimolare anticorpi attivi contro Env presente in diversi ceppi virali. “Questo – sottolinea la docente – serviva a fare in modo che gli anticorpi stimolati avessero la proprietà di riconoscere la regione più conservata di Env. Gli anticorpi di questo tipo vengono chiamati broad neutralizing antibodies e sono quelli che nei pazienti si è già visto essere i migliori per controllare l'infezione. Non tutti i pazienti riescono a sviluppare naturalmente questi anticorpi, perché di fatto i loro precursori sono presenti in piccolissime quantità. Con questa strategia, quindi, l’intento era proprio quello di stimolare il più possibile quelli di questo tipo”.

Gli animali sono stati successivamente esposti per 13 volte (una a settimana) al virus simian-human immunodeficiency virus (Shiv), un patogeno particolarmente affine all'Hiv capace di infettare i primati non umani, i quali non sono suscettibili invece ad Hiv. Ebbene, gli scienziati hanno constatato innanzitutto che il vaccino è stato ben tollerato e ha prodotto solo lievi effetti avversi temporanei come la perdita di appetito. In termini di efficacia, è stato poi rilevato che il vaccino ha diminuito il rischio di infezione per ciascun evento di esposizione al virus del 79%. Due dei sette macachi immunizzati non hanno sviluppato l’infezione. Gli altri animali immunizzati avevano invece un ritardo complessivo nell'infezione, che si è verificata in media dopo otto settimane. Al contrario, gli animali non immunizzati si sono infettati in media dopo tre settimane.  

Quello sviluppato dal gruppo di Paolo Lusso, non è il primo vaccino contro Hiv che sfrutta la tecnologia a mRna. Già qualche mese fa, infatti, Moderna ha avviato sperimentazioni cliniche per due vaccini anti-Hiv. “Trattandosi di una ditta – sottolinea Sara Richter – non si possiedono le pubblicazioni scientifiche in itinere e quindi i dati vengono resi pubblici con molta parsimonia. Difatti, non è dato sapere come sono stati disegnati questi vaccini. Per ora sappiamo che ne stanno testando due a mRna, e che l'intento è sempre quello di stimolare i broad neutralizing antibodies, mediante diverse dosi. Ora sono in fase di sperimentazione clinica 1, quest’anno cioè vengono sperimentati su un numero ristretto di persone sane, per valutarne la sicurezza. La sperimentazione è iniziata a novembre, e si prevede che terminerà ad aprile del 2023. Leggendo le informazioni che gli autori hanno indicato sui documenti pubblici del trial, questi vaccini sembrano molto simili a quelli già pubblicati”.


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Il vantaggio principale di un vaccino rispetto a un farmaco è innanzitutto quello di prevenire l’infezione. “Questo – spiega Sara Richter – è particolarmente importante per Hiv, perché il virus, una volta che infetta un paziente, inserisce il suo materiale genetico all'interno della cellula della persona, per cui anche se i farmaci impiegati sono efficaci e riescono a impedire la replicazione virale, dunque che il virus prodotto vada a infettare altre cellule, non riescono a eliminare il virus che ha inizialmente infettato le prime cellule”. Il paziente, pertanto, dovrà comunque continuare ad assumere farmaci proprio per bloccare la replicazione virale.   

Ma i vantaggi specifici del vaccino a mRna sono più di uno. La docente spiega che impiegando la tecnica a mRna si induce all’interno del corpo umano la produzione di proteine più naturali rispetto a quelle che si riuscirebbero a ottenere in provetta. In ogni caso, per avere lo stesso tipo di proteina in laboratorio sarebbero comunque necessarie tecnologie più complesse. Un vaccino a mRna, inoltre, può essere facilmente adattato e modificato nel caso in cui sopraggiungano mutazioni del virus, con vantaggi dunque anche in termini di tempi e di costi.  

Sara Richter spiega poi che con i vaccini classici, costituiti da virus inattivato o modificato, in linea di principio potrebbe esserci il rischio che il virus possa revertire e causare la malattia, anche se questi eventi oggi sono estremamente rari, e con i vaccini attuali non sussistono di fatto questi problemi. “Nel caso di Hiv, tuttavia, potrebbe esserci un rischio maggiore a causa della sua alta capacità di mutazione. Con un vaccino a mRna, questo pericolo non esiste, perché non è presente materiale genetico, quindi manca la centrale del virus, che dunque non può replicare. Credo che i vaccini a mRna possano essere il futuro per combattere l’infezione di un gran numero di virus”.  

Le difficoltà che si incontrano nello sviluppo di vaccini o di farmaci per contrastare Hiv sono direttamente proporzionali all’estrema mutevolezza del virus. “Si stima che ad ogni replicazione del suo genoma venga inserita una mutazione – spiega la docente – e che in una persona infetta che non segue una terapia antivirale vengano prodotti 10 miliardi di nuove particelle virali, quindi ognuna con una mutazione. A fronte di ciò, secondo una visione pessimista si potrebbe dire che esistono già mutanti resistenti a qualsiasi farmaco, anticorpo che abbiamo o che potremo sviluppare nel futuro. Secondo una visione ottimista, invece, si può affermare che in realtà ci sono regioni del virus che sono necessarie come tali e che non possono mutare, perché altrimenti il virus sono sarebbe più in grado di sopravvivere, di replicare, non sarebbe più infettivo. Quindi se noi andiamo a sviluppare anticorpi contro queste (regioni ndr), possiamo avere una buona probabilità di successo. Proprio su questa base è stato sviluppato il vaccino nel lavoro di Lusso. Io credo che, probabilmente, la verità stia nel mezzo. Sicuramente ci sono regioni conservate che mutano meno e meno velocemente di altre, tuttavia anche queste alla fine possono mutare se sottoposte a pressione selettiva. Con i vaccini a mRna, però, potremmo seguire queste mutazioni del virus e quindi prevenire nuove varianti virali”.

I vaccini, in generale, sono dunque uno strumento importante per la lotta all’Hiv, tuttavia non l’unico: “Più le nostre conoscenze e competenze si ampliano – sottolinea Sara Richter –, più affiniamo gli strumenti per combattere il virus e quindi sicuramente ha senso continuare a investire sul vaccino, perché risolverebbe il problema alla radice. D'altra parte, però, penso anche che abbia senso continuare a investire sulla ricerca di farmaci in grado di eradicare il virus dal paziente e non solo su quelli esistenti che fermano la replicazione, perché in questo modo potremmo dire di poter veramente curare i pazienti. Questi, quindi, sono entrambi fronti su cui vale la pena investire”.

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