CULTURA

Venezia1600. Nascite e rinascite a Palazzo Ducale

Regina del mare, gloriosa Serenissima, capitale dell'arte. Eletta, giusta, città potente ma anche fragile, divorata da incendi, colpita da inondazioni e crolli, decimata dalla peste. Tra splendori e cadute Venezia è sempre risorta dalle proprie ceneri, come la Fenice, creatura mitologica e Gran Teatro, distrutto dalle fiamme nel 1836 e nel 1996, che proprio nel nome custodisce un destino di rinascita. 

La narrazione comincia dalla leggendaria data di fondazione, il 421, con la posa della prima pietra della Chiesa di San Giacometo a Rivo Alto, il giorno dell’Annunciazione alla Madonna, per poi attraversare le epoche, ripercorrendo fasti, conquiste, crisi, rotture e altrettanti rinnovamenti. Venetia 1600. Nascite e rinascite (fino al 25 marzo 2022) - curata da Robert Echols, Frederick Ilchman, Gabriele Matino, Andrea Bellieni, con allestimento di Pier Luigi Pizzi e la direzione scientifica di Gabriela Belli - è un racconto accurato e ben svolto nella sua complessità, grazie a un percorso che soddisfa al tempo stesso il pubblico dell'arte e l'appassionato di storia veneziana. Sono circa 300 le opere esposte, provenienti da musei e collezioni private italiane, per la maggior parte dal patrimonio storico-artistico e culturale di musei, chiese, biblioteche e archivi veneziani, tra tutti quello delle collezioni dei Musei civici di Venezia.

Suddiviso in dodici sezioni, distribuite nelle sale dell'appartamento del Doge a Palazzo Ducale, offre un viaggio nel tempo che raggiunge e supera la caduta della Repubblica Serenissima del 1797, spingendosi oltre, arrivando a considerare le fragilità dell'oggi per immaginare un futuro sostenibile e consapevole capace di tutelare e proteggere una città unica. Qui le opere si mettono al servizio della storia, e sono molte quelle restaurate per l'occasione, grazie al sostegno di Save Venice Inc: il Leone di San Marco andante "da tera e da mar" di Vittore Carpaccio (lungo oltre 3 metri), con l'inscrizione sul libro "Pace a te, Marco, mio Evangelista", il Ritratto di famiglia di Cesare Vecellio e la pala di Jacopo Palma il Giovane con la Madonna col Bambino in gloria, San Magno che incorona Venezia affiancata dalla Fede, ma anche un mosaico cinquecentesco, manoscritti miniati, disegni, un vaso cinese della dinastia Yuan del XIV secolo. "È un progetto che parla di una città che si è rigenerata combattendo nemici esterni e difficoltà interne - ha spiegato Gabriella Belli, direttrice della Fondazione Musei Civici di Venezia -. Una città che ad ogni momento di difficoltà ha saputo rispondere portando dei miglioramenti e che oltre a ricostruire le sue bellezze architettoniche è riuscita a rinnovare, ogni volta, la sua organizzazione sociale ed economica".

L’anno sopradetto 421 il giorno 25 del mese di Marzo nel mezzo giorno del Lunedì Santo, a questa Illustrissima et Eccelsa Città Christiana, e maravigliosa fù dato principio ritrovandosi all’hora il Cielo in singolare dispositione Chronicon Altinate, XI-XII secolo

Carpaccio, Bellini, Tiziano, Veronese, Tiepolo, Guardi, Canaletto, Canova, Hayez, Appiani. E ancora Jackson Pollock, Emilio Vedova, Tancredi Parmeggiani, Carlo Scarpa, Bill Viola. L'arte prima di tutto, poi mappe, carte nautiche, documenti, libri, progetti di architetti, letterati e musicisti. La mostra di Palazzo Ducale rintraccia la storia puntellando il percorso di opere e suggestioni. 

Il Leone alato di Vittore Carpaccio, avanzando tra terra e mare, si offre come simbolo di San Marco e della città. Nell'828 alcuni mercanti veneziani trafugarono il corpo di San Marco da Alessandria d'Egitto, collocando le reliquie in strutture culminate con la basilica a lui dedicata. Diventato patrono della Repubblica, l'Evangelista, con il suo leone alato, diviene simbolo di una città considerata così eletta. Esistono diverse leggende su San Marco e Venezia: una racconta di un angelo che, svelandosi in sogno a San Marco, gli rivelò il suo destino dopo la morte, indicando Venezia come ultima dimora per le sue spoglie, secondo un'altra leggenda invece l'Evangelista apparve in basilica per svelare il luogo in cui erano state nascoste le sue reliquie. 

Restando in un unico luogo si viaggia nel tempo tra le sale del Doge, esplorando le trasformazioni e le tante anime di Venezia, che si presenta come città della giustizia, virtù di cui era garante attraverso le magistrature e il sistema di governo repubblicano, e regina dei mari e dei marinai, con gli antichi portolani in mostra, le carte nautiche, gli astrolabi, i modellini di galere da guerra, le vedute dell’Arsenale e, tra tutti, l'antico atlante di Pietro Vesconte del 1318 con raffigurazioni del Mar Nero, del Mar Mediterraneo e dell'Oceano Atlantico. È città dei mercanti, con i richiami alla figura di Marco Polo, i prodotti diffusi e apprezzati come i ducati d'oro e i libri, e la parete allestita con le insegne dei diversi mestieri, da quella dei Vagineri, ovvero i fabbricanti di astucci, ai Pestrineri, i lattai, dai Passamaneri, i fabbricanti di passamanerie, agli intagliatori di legname, e i Fruttaroli, i Peteneri, i Feraleri, i Bombaseri, ovvero i filatori di cotone (le corporazioni rimasero attive fino alla caduta della Repubblica).

Ascese, cadute e risalite. Il Cinquecento si apre con una serie di drammatici eventi, l’incendio del Fondaco dei Tedeschi (1505), quello del mercato di Rialto (1514) e il crollo del ponte sul Canal Grande (1524), e continua con l'impegno per la ricostruzione e la Renovatio Urbis, prima con il doge Leonardo Loredan, poi con Andrea Gritti (dogato 1523-1538), che dà il via a un rinnovamento dell’organizzazione urbanistica e dell'immagine cittadina a partire dalla reinvenzione di Piazza San Marco affidata a Jacopo Sansovino, nominato proto, massimo architetto della Repubblica.

Tra i numerosi incendi che segnano la storia di Venezia, quello di Palazzo Ducale del 20 dicembre 1577 è devastante. Domate le fiamme, la Serenissima decide che il simbolo di stabilità e permanenza dell’ordinamento politico e civile della Repubblica deve al più presto tornare al suo splendore. Palladio vuole riedificarlo in stile classico, altri propongono interventi di consolidamento. Si sceglie la seconda via e la decorazione pittorica viene realizzata grazie all’intervento dei migliori artisti del tempo. Rimasto dopo l'incendio il San Cristoforo di Tiziano rimaste è tra le poche opere eseguite a fresco conservate a Venezia (nel tempo l'aria salmastra ha cancellato le tracce degli affreschi su facciate di case e palazzi): il gigante barbuto che porta sulle spalle Gesù ha sullo sfondo la laguna col campanile di San Marco e Palazzo Ducale. Si tratta di un piccolo tesoro nascosto, sorge sulla scala che dalla chiesetta personale del Doge portava all'appartamento privato. 

Il racconto raggiunge poi i tempi oscuri della peste, del Lazzaretto, della quarantena e, considerando il nostro presente, ci fa tremare. La peste travolge Venezia e i veneziani nel 1576 e nel 1630, causando nel primo caso oltre 46mila vittima e nel secondo 47mila. E proprio durante le due grandi epidemie vengono costruite la chiesa dedicata al Cristo Redentore, progettata da Palladio, con la prima processione del 1577 e la consacrazione nel 1592, e la chiesa dedicata a Santa Maria della Salute, progettata da Baldassarre Longhena, la cui a prima pietra venne posta il primo aprile 1631, per essere consacrata molti anni più tardi, nel 1687. Nella grande tela di Domenico Tintoretto Venezia supplica la Vergine di intercedere con Cristo per fermare la peste e l’olio del Padovanino vi è Il doge Alvise Mocenigo inginocchiato davanti al modello del Redentore (1631). San Sebastiano e San Rocco sono i protettori dalle malattie contagiose e vengono dipinti da artisti come Pietro Vecchia e Bernardo Strozzi.

Negli ultimi 150 anni prima della fine della Serenissima Venezia è regina dei mari, centro artistico e culturale con Canaletto, Guardi, Longhi e Tiepolo (splendido l'olio su tela Venezia riceve da Nettuno le ricchezze del mare di Giambattista Tiepolo, 1756 -1758, scelto anche per la copertina di questo articolo). Nel 1637 viene inaugurato il primo teatro pubblico dell'Europa moderna, il Teatro San Cassiano. Il Settecento è il secolo di Carlo Goldoni (in mostra il ritratto realizzato da Alessandro Longhi) e, nel 1792, appena un lustro prima della sua caduta, Venezia inaugura il Gran Teatro La Fenice. Nel 1789 Venezia deve affrontare un ulteriore drammatico incendio, quello che colpisce e devasta il quartiere di San Marcuola: lo racconta il dipinto Incendio dei depositi degli olii a San Marcuola di Francesco e Giacomo Guardi. Infine, nel 1797, cede alle pressioni napoleoniche: il 12 maggio l'ultimo doge Ludovico Manin pone fine alla Serenissima: significativi i dipinti di Giuseppe Borsato Veduta della Piazza S. Marco il giorno dell’innalzamento dell’albero della libertà (1797) e Ingresso di Napoleone a Venezia il 29 novembre 1807 (un ingresso dalla terraferma che interrompe la tradizione dell'arrivo dall'acqua).

Cade la Serenissima ma Venezia continua a nascere e rinascere, decine di volte. Passa di mano in un avvicendarsi tra francesi e austriaci (Canova riuscirà a riportare in patria i cavalli della basilica di San Marco sottratti da Napoleone) e attraversa il Risorgimento desiderando l’annessione al Regno d'Italia proclamato nel 1861 (che per Venezia e il Veneto arriverà cinque anni più tardi).

La Venezia che spera realizzata nel 1861 da Andrea Appiani jr ci dice molto del sentimento che animava i veneziani in quel periodo: non vi è traccia di trionfo, qui la personificazione della città è tormentata, provata dai tanti torti subiti, e nell’intensità del suo sguardo si legge il desiderio di liberarsi dal dominio austriaco e unirsi al Regno d’Italia appena unificato.

Venezia lascia l'Ottocento ed entra nel XX secolo assistendo al crollo nel 1902 del Campanile di San Marco, ricostruito e inaugurato il 25 aprile 1912 "com'era e dov'era", così come avviene per il Teatro La Fenice dopo entrambi gli incendi.

Affronta il Novecento trovando, con determinazione, un rinnovato splendore: dalle attività della Biennale (istituzione nata alla fine dell'Ottocento), alle eccellenze in campo architettonico, tra tutti si pensi a Carlo Scarpa, fino all'arrivo travolgente dell'americana Peggy Guggenheim che, scegliendo di vivere in laguna, trasforma la città in uno straordinario centro d'arte, crocevia di artisti e critici, intrecciando le esperienze di veneziani di talento come Santomaso e Vedova, e quelle di artisti internazionali come Pollock.

Ricordando l’Acqua Granda del 4 novembre 1966 (194 centimetri) e dell'11 novembre 2019 (187), alla fine del percorso espositivo ci si interroga sul futuro, stimolati dall'installazione video-sonora in slow motion La zattera di Bill Viola, realizzata nel 2004, che offre ulteriori spunti di riflessione sulla sopravvivenza di Venezia che diviene specchio del pianeta: diciannove persone attendono, nello stesso luogo, inconsapevoli dell'imminente inondazione che li travolgerà. Solo contando su un comune senso di appartenenza e collaborazione potranno salvarsi.

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