SOCIETÀ

Venti anni dall'11/9. Il fallimento della guerra al terrore

Quasi 3.000 persone uccise nel corso degli attacchi, i simboli del potere economico e militare dell’unica iperpotenza colpiti al cuore: gli attentati dell’11 settembre 2001 rappresentano un punto di svolta anche nella storia del terrorismo internazionale, sempre più attento agli effetti mediatici delle sue iniziative. Secondo la storica Valentine Lomellini, che a Padova insegna Terrorism and security in international history, “tra gli elementi più interessanti di quegli attacchi ci sono da una parte l’elevato livello di mediatizzazione, capace attraverso le immagini in diretta di traumatizzare l’opinione pubblica mondiale, dall’altra l'impreparazione dell’America. Eppure non vennero dal nulla ma furono la prosecuzione di una strategia in qualche modo avviata negli anni precedenti”. Già nel 1993 il World Trade Center era stato oggetto di un sanguinoso attentato, che però non riuscì a provocare il collasso delle due torri; cinque anni più tardi, il 7 agosto 1998, le esplosioni nelle sedi diplomatiche statunitensi in Kenya e Tanzania aevano provocato complessivamente oltre 200 morti e 4.000 feriti, ed erano stati rivendicati da un ancora semisconosciuto Osama bin Laden e dall'organizzazione da lui guidata: al-Qaida.

Intervista di Danieele Mont D'Arpizio; montaggio di Elisa Speronello

Oggi, mentre abbiamo ancora negli occhi le immagini dell’evacuazione di Kabul, da più parti ci si chiede se la cosiddetta ‘guerra al terrorismo’ e la conseguente l'invasione di Afghanistan e Iraq siano servite a qualcosa. “È una domanda sulla quale tutti ci stiamo interrogando – risponde Lomellini –. Visto il tragico evolversi degli eventi credo sia molto difficile parlare di qualcosa di diverso da un fallimento. Non solo i conflitti in Afghanistan e in Iraq non hanno portato democrazia e stabilità nelle rispettive aree: non sono riusciti nemmeno ad eliminare il terrorismo internazionale. L'11 settembre è infatti lo starting point di una serie di attacchi terroristici che in seguito si sviluppa soprattutto in Europa in due ondate principali: la prima con gli attentati di Madrid nel 2004 e di Londra nel 2005, la seconda con quelli di Parigi nel 2015 e di Nizza e Berlino nel 2016”.

Oggi ci si interroga sul futuro: dopo l’abbandono dell’Afghanistan più di qualcuno paventa una recrudescenza del terrorismo internazionale, così come l’affermarsi dell’Isis tra Iraq e Siria era stato all’origine della serie di azioni molto sanguinose a metà degli anni ’10. “Su questo punto bisogna partire da una premessa – continua Lomellini –: il terrorismo, per quanto possa apparirci mostruoso e crudele, è uno strumento razionale. Mettiamo da parte l’idea di fanatici che agiscano esclusivamente per una causa irrazionale, chi pianifica gli attentati ha sempre un obiettivo in mente”. Sin dalla fine dell'Ottocento e soprattutto durante il corso della guerra fredda, argomenta la studiosa, il terrorismo è stato utilizzato da gruppi o Stati nei conflitti asimmetrici: la vera domanda quindi è se oggi esso e la sua esportazione possono tornare utili politicamente ai potenziali perpetratori.

Il terrorismo, per quanto possa apparirci mostruoso e crudele, è uno strumento razionale

Come si comporterà da questo punto di vista il nuovo regime talebano, e cosa faranno i gruppi concorrenti come l’Isis-Khorasan, al quale è stata attribuita l’ultima sanguinosa azione all’aeroporto di Kabul? Secondo la storica “Abbiamo già visto che in loco saranno possibili attentati terroristici, come mezzo di pressione da parte non solo dei talebani ma soprattutto delle formazioni movimentiste loro avversarie. Quanto invece alla possibilità di una nuova ondata di attacchi all'estero, in particolare nei Paesi occidentali, sarei molto più cauta. Quale convenienza potrebbe ricavarne un governo talebano che si sta insediando e che vuole essere tutto sommato riconosciuto a livello internazionale? I claim che abbiamo sentito formulare da Kabul vanno al momento in un'altra direzione, che è quella di rassicurare la comunità internazionale al fine di poter proseguire nella costruzione di uno Stato talebano. E anche per quanto invece riguarda gli altri gruppi, bisogna considerare che essi hanno appena conseguito il proprio obiettivo principale, cioè l'evacuazione delle truppe occidentali”.

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