La Bulgaria si appresta a vivere le sue quarte elezioni europee da fanalino di coda dell’Unione. Gli indicatori economici ne certificano lo status di paese più povero, con un Pil pro capite di poco sopra agli 8.000 dollari (per dare un’idea, il Pil pro capite medio di tutta l’Unione è superiore ai 36mila dollari). Quello bulgaro è inferiore di oltre duemila dollari rispetto a quello rumeno ed è quasi la metà di quello ungherese. I dati della Banca Mondiale mostrano come 4 bulgari su 10 siano a rischio di povertà o di esclusione sociale e che si tratti del Paese con il più alto livello di disparità di reddito. È vero che, negli ultimi anni, le tendenze sembrano positive: negli ultimi tre anni la crescita del Pil è stata sempre superiore al 3% e il tasso di disoccupazione è passato dal 13,5% del 2013 al 4,8% di oggi. La Bulgaria ha però anche il più alto indice di percezione della corruzione tra tutti gli Stati membri dell’Ue, e, come molti altri Paesi dell’Est Europa, il Paese soffre di un declino demografico dovuto ai bassi tassi di natalità e all’emigrazione dei giovani tra i 18 e i 30 anni.
Sofia non sembra aver tratto benefici tangibili dall’adesione all’Unione Europea, soprattutto perché non ha saputo ottenere i cospicui fondi di coesione offerti da Bruxelles agli stati più sofferenti che avrebbero certamente dato sollievo all’economia. Semplicemente, autorità e istituzioni sono stati incapaci di presentare grandi progetti finanziabili e la Bulgaria non è stata capace di replicare le eccellenti performance economiche di Paesi come Polonia e Ungheria che hanno nettamente migliorato la loro condizione grazie soprattutto alla capacità di attrazione di fondi europei. Inoltre, i cittadini bulgari non hanno fin qui goduto di uno dei più visibili benefici dell’appartenenza alla UE: la libera circolazione delle persone. La Bulgaria non è ancora membro dell’Area Schengen ed è tutt’ora soggetta a clausole di salvaguardia collegate alla necessità di riformare il sistema giudiziario e a introdurre meccanismi efficaci di lotta al crimine organizzato e alla corruzione. Non è quindi un caso che solo il 51% dei bulgari si senta “cittadino dell’UE”, la percentuale più bassa di tutta l’Unione. Infine, sebbene il Paese dovrebbe adottare l’Euro entro la fine del 2022, solo il 35% dei bulgari la ritiene una cosa positiva ed è quindi possibile che l’antieuropeismo vada ulteriormente a rafforzarsi.
L’euroscetticismo sembra perciò dominare la campagna elettorale in corso. Nella migliore tradizione populista, l’Unione Europea funge da capro espiatorio per i numerosi problemi del Paese e serve soprattutto ai partiti al governo per scrollarsi di dosso ogni responsabilità politica. Il Paese è retto da due anni da un governo di destra guidato dal Primo Ministro Bojko Borisov. La coalizione che lo sostiene fa perno sul partito di centro-destra GERB, ma in maggioranza ci sono anche forze nazionaliste considerate di estrema destra come Ataka, VMRO e il Fronte Nazionale per la Salvezza della Bulgaria (NFSB). Tutte assieme contano 27 decisivi deputati all’Assemblea Nazionale. In maggioranza c’è anche il movimento Volya (12 parlamentari su 240) che, nonostante si definisca populista e post-ideologico, è ascrivibile alla stessa area politica. All’opposizione vi sono i socialisti del BSP, che sono stati più volte al governo, i liberali del DSB - che a queste Europee si presenteranno in una lista comune assieme ai Verdi - e il partito della minoranza turca DPS, che a Bruxelles aderisce all’ALDE e che a Sofia ha attualmente ben 25 deputati (la minoranza etnica dei turchi di Bulgaria è pari a quasi il 10% della popolazione).
I sondaggi indicano una situazione a ridotta frammentazione politica. Sia GERB (membro del PPE) che i Socialisti sono pronosticati oltre il 30% e dovrebbero conquistare 7-8 seggi ciascuno. Il partito turco dovrebbe mantenere il suo blocco etnico e garantirsi un paio di eurodeputati. Tutti gli altri lotteranno per superare la soglia di sbarramento, posta all’elevato livello del 5,8%. La coalizione DSB+Verdi è data attorno al 5%, mentre i piccoli partiti nazionalisti che appoggiano il governo Borisov, dopo mesi di negoziato, non sono riusciti a formare una lista unica e questo dovrebbe penalizzarli pesantemente e lasciarli senza rappresentanza in Europa. Recentemente, inoltre, l’ennesimo scandalo, stavolta fatto di corruzione e proprietà immobiliari, ha portato alle dimissioni di importanti dirigenti del GERB e minato il sostegno pubblico al governo. Questo dovrebbe ulteriormente avvantaggiare le forze di opposizione e penalizzare i componenti della maggioranza di governo.
Quel che è facile da prevedere è l’ennesima bassa affluenza al voto. Nel 2014 votò il 36% degli aventi diritto. Nel 2009 poco più del 37%. Nelle elezioni “speciali” del 2007 (quelle organizzate subito dopo l’ingresso nell’Unione per permettere al Paese di avere subito una rappresentanza attiva al Parlamento Europeo) appena il 28,6%.