La presente pandemia da SARS-CoV-2, con la vastità del contagio, il grave peso di vittime a livello mondiale e l’estremo impatto socio-economico, dovrebbe convincere l‘opinione pubblica e i governi a recepire l’allarme degli esperti sulla minaccia alla stabilità strategica e alla sicurezza comune posta dallo sviluppo tecnologico dell’ingegneria genetica e in particolare dalla potente nuova tecnica CRISPR-Cas9.
CRISP è l’acronimo di "clusters of regularly interspaced short palindromic repeats" e individua speciali regioni del DNA caratterizzate dalla presenza di ripetute sequenze di nucleotidi intervallate da frammenti di DNA “spaziatori”. Nel caso dei batteri, gli spaziatori sono porzioni dei virus che hanno in precedenza attaccato l’organismo e servono come un banco di memorie, che permettono ai batteri stessi di riconoscere i virus e combatterne futuri attacchi. La proteina Cas9 è un enzima che agisce come un paio di forbici molecolari, in grado di tagliare filamenti di DNA. I batteri utilizzano l’RNA derivato dal CRISPR e varie proteine Cas, incluso la Cas9, per contrastare gli attacchi di virus e altri corpi estranei, tagliando e distruggendo il DNA dell’invasore.
La tecnologia CRISPR-Cas9, appunto adattata dai meccanismi naturali di difesa di batteri e archei, è uno strumento semplice ma potente per la manipolazione dei genomi, alterando e modificando le sequenze di DNA con funzione genica. Questa tecnica è stata applicata per la prima volta a cellule umane nel 2013, e ha già cambiato radicalmente la ricerca biologica. Funziona praticamente in tutte le specie in cui è stata provata ed è attualmente in fase di sperimentazione clinica. Le sue numerose potenziali applicazioni includono la correzione di difetti genetici, il trattamento e la prevenzione della diffusione di malattie e il miglioramento delle colture.
Tuttavia, le sue potenzialità, oltre a sollevare serie preoccupazioni etiche, in particolare se utilizzate per manipolazioni dei genoma che possono essere ereditate dalle generazioni future (manipolazione germinale), possono avere un gravissimo impatto di ordine militare e rischi di terrorismo biologico.
Ingegneria genetica e armi biologiche
Esistono migliaia di specie di micro-organismi potenzialmente patogeni, ma solo un numero estremamente piccolo è stato sviluppato per applicazioni militari e praticamente le uniche armi preparate per un effettivo impiego hanno finora impiegato il solo antrace, un batterio in grado di generare il carbonchio.
Le peculiari caratteristiche degli agenti biologici comportano che un bio-patogeno ideale per un impiego militare dovrebbe essere in grado di: generare in modo consistente un preciso effetto: morte o malattia; essere altamente letale o morboso, produrre l’effetto con una bassa concentrazione; essere altamente contagioso; avere un periodo di incubazione preciso e breve; superare l’immunità della popolazione attaccata; rendere difficile la profilassi a chi viene attaccato; rendere difficile l’identificazione; permettere la protezione di chi lo impiega; ammettere una produzione economica in grande scala; rimanere stabile nelle fasi di produzione, immagazzinamento e trasporto sugli obiettivi; garantire una disseminazione efficace; sopravvivere e rimanere stabile nella disseminazione; avere una persistenza limitata, in modo che la zona infetta possa venir occupata rapidamente.
“ La presente pandemia da SARS-CoV-2 dovrebbe convincere i governi a recepire l’allarme degli esperti sulla minaccia alla stabilità strategica e alla sicurezza comune posta dallo sviluppo tecnologico dell’ingegneria genetica
Naturalmente tali condizioni sono spesso incompatibili fra di loro e pertanto si impongono compromessi fra capacità patogena, tempo di incubazione, capacità inibitoria, capacità letale, velocità di trasmissione, resistenza a trattamenti e vaccinazioni, sopravvivenza dopo il rilascio e controllabilità degli effetti. L’ottimizzazione della scelta dipende dal tipo di operazioni che si intendono condurre, strategiche, di sabotaggio ovvero di impiego tattico, aperte o clandestine. In pratica le armi biologiche pongono tali sfide tecniche e operative che hanno portato a porre in dubbio il loro effettivo valore militare e strategico, per cui sono state via via radiate dagli armamenti di quasi ogni stato.
La biologia sintetica, nata e sviluppata in ambito civile, nella sua natura duale ammette applicazioni militari che possono portare a superare le limitazioni per scopi bellici di molti agenti biologici naturali, modificandoli opportunamente, nonché a creare ex-novo nuove armi estremamente efficaci.
Un esempio dei potenziali rischi della biologia sintetica viene dalla creazione nel 2002 di un virus artificiale della poliomielite da parte di un gruppo di biologi americani a partire dalla sequenza genetica dell’agente; ottenuti piccoli tratti di DNA, li ricombinarono per ricostruire il genoma completo del virus; infine dal DNA sintetizzato venne creato un virus vitale con l’aggiunta di un opportuno “cocktail” di sostanze chimiche. Il virus della poliomielite non è un’efficace arma biologica e il suo genoma è relativamente semplice, ma l’esperimento dimostra le tremende potenzialità dell’ingegneria genetica.
Accanto alla creazione artificiale di virus, una tecnica potenzialmente più pericolosa è la generazione di virus fortemente patogeni da virus innocui, come è stato fatto nel 2005 ricreando il virus estinto della spagnola del 1918 corredando un virus influenzale relativamente non virulento con la sequenza completa degli otto geni virali del ceppo del 1918. Nel 2017 il virologo David Evans ha annunciato la sintesi del virus del vaiolo equino, simile a quello del vaiolo umano, dichiarato estinto nel 1980.
Un altro preoccupante sviluppo è anche l’uso di tecniche di ricombinazione per inserire in micro-organismi geni per la produzione in massa di tossine di origine non microbiotica, finora sintetizzabili artificialmente solo in quantità troppo piccole per un uso militare.
Edwin Kilbourne nel 1985 avvertì del pericolo estremo della generazione di un virus da incubo, il “maximally malignant (mutant) virus” o MMMV, con qualità tali da garantirgli la stabilità ambientale del poliovirus, l’alto tasso di mutazione del virus dell’influenza, l’illimitata gamma di ospiti del virus della rabbia e il lungo periodo di latenza del virus dell’herpes; inoltre l’MMMV sarebbe trasmesso attraverso l’aria e replicato nel tratto respiratorio inferiore, come l’influenza, e inserirebbe i propri geni direttamente nel nucleo dell’ospite, come l’HIV.
Per fortuna un MMMV non esiste, ma le nuove tecnologie genetiche possono appunto mirare alla costruzione a costo limitato di agenti biologici aggressivi in grado di ottimizzare le qualità militari e di permetterne sicure forme di immagazzinamento ed efficaci mezzi operativi di dispersione. Ciò creerebbe un rilancio delle armi biologiche, cui praticamente tutti gli stati hanno rinunciato, per i limiti prima considerati. La reintroduzione di tali armi creerebbe un grave attacco alla stabilità del confronto militare presente, e il solo il sospetto che un paese intenda farlo può indurre una corsa agli armamenti biologici a scopo deterrente.
Il rischio è gravissimo e la comunità internazionale dovrebbe necessariamente prevenirlo con strumenti efficaci. I fattori combinati di una tecnologia a costo inferiore, più facilmente accessibile e maggiormente efficace potrebbero non essere sufficienti per influenzare le potenze maggiori, ma potrebbero incentivare stati piccoli, in particolari situazioni di sicurezza, a riconsiderare l’utilità marginale di investire in armi biologiche. Di conseguenza, qualsiasi strategia per affrontare il rischio di armi biologiche geneticamente modificate deve tenere conto di un’ampia gamma di stati potenzialmente interessati, non solo le maggiori potenze.
“ Il rischio è gravissimo e la comunità internazionale dovrebbe necessariamente prevenirlo con strumenti efficaci
Il regime di prevenzione delle armi biologiche e suoi problemi
Esiste un insieme articolato di vincoli sociali e formali agli armamenti chimici e biologici, composto di un diffuso rifiuto interculturale di base, una famiglia di norme, regole e procedure, sia nazionali che plurinazionali e internazionali, il tutto a costituire un “regime” preventivo, che appare oggi inadeguato ad affrontare le sfide poste dalla biologia sintetica.
I capisaldi legali internazionali consistono del Protocollo di Ginevra del 1925, che proibisce l’impiego in guerra di “metodi di guerra batteriologica”, ed è considerato far parte delle norme consuetudinarie e quindi universale, e la “Convenzione sulla proibizione dello sviluppo, la produzione, e lo stoccaggio di armi batteriologiche (biologiche) e tossine e sulla loro distruzione” (BTWC), in vigore dal 26 marzo 1975, con 183 stati parte; mancano in particolare Egitto, Israele e Siria, assieme a significativi paesi africani.
La BTWC è uno strumento complesso che opera a più livelli, mettendo insieme problematiche scientifiche e sociali, salute e sicurezza, prevedendo azioni sia nazionali che internazionali, coinvolgendo competenze non solo diplomatiche, militari e di controllo degli armamenti, ma anche sanitarie, in agricoltura, veterinaria, educazione, diritto, industria, commercio, oltre naturalmente in vari campi scientifici e tecnologici di base.
L’articolo I obbliga le parti a non mettere a punto, fabbricare, tenere in deposito o acquistare né agenti microbiologici e tossine, tranne che a fini profilattici, di protezione o pacifici, né armi e vettori specifici per tali agenti; entro nove mesi si devono distruggere o convertire a usi pacifici tutti gli agenti e gli impianti esistenti, garantendo la sicurezza della popolazione e dell’ambiente (art. II). L’articolo III previene la proliferazione, con l’impegno delle parti a non trasferire agenti, tossine, o armi biologiche, né ad assistere, incoraggiare o indurre altri paesi o organizzazioni ad acquisire capacità militari biologiche. Gli stati si impegnano ad aggiornare la propria legislazione interna nella prospettiva del rispetto della convenzione (art. IV) e a cooperare per il suo rispetto (art. V); sospetti di violazioni vanno trasmessi al Consiglio di sicurezza dell’ONU (art. VI), che può individuare paesi esposti a pericoli a seguito di violazioni, nel qual caso ogni altro stato deve fornire assistenza (art. VII). All’articolo X la Convenzione prevede piena collaborazione fra le parti e scambio di informazioni e materiali per usi pacifici di agenti biologici e per l’applicazione delle scoperte scientifiche alla prevenzione delle malattie. Ogni 5 anni vanno indette conferenze di riesame per verificare lo stato di applicazione della convenzione e considerare eventuali aggiornamenti a seguito di sviluppi scientifici e tecnologici (art. XII).
La Convenzione, dunque, non vieta lo sviluppo di agenti biologici patologici ma solo proibisce la loro finalità a scopi militari, introducendo il criterio di “intenzione d’uso”, una novità assoluta nel contesto degli accordi internazionali e di controllo degli armamenti. Pertanto non viene definita una lista di agenti biologici e tossine proibiti, ma sono invece definiti gli scopi permessi vietando di immagazzinare quantità di agenti maggiore di quella consistente con le applicazioni civili. Questa impostazione è resa necessaria dall’ambivalenza militare-civile degli sviluppi della biologia e permette inoltre di comprendere a priori nuovi, e al momento imprevedibili, sistemi, agenti e tecnologie futuri; ciò si è rivelato di estrema importanza visti gli enormi sviluppi della biologia negli anni successivi.
“ La Convenzione non vieta lo sviluppo di agenti biologici patologici ma solo proibisce la loro finalità a scopi militari
Un aspetto critico della Convenzione, come pure del Protocollo di Ginevra, è la mancanza di meccanismi di verifica del rispetto delle varie clausole: sia della proibizione di intraprendere iniziative non permesse e di fornire a terzi materiali sensibili, sia delle imposizioni positive per misure efficaci per ridurre i rischi di attività proibite e per lo sviluppo collaborativo delle biotecnologie pacifiche.
Le uniche azioni previste dalla BTWC a fronte di sospetti di infrazione si riducono a consultazioni fra le parti ed eventualmente al ricorso al Consiglio di sicurezza. Anche per questa debolezza della BTWC, si sono verificate gravi violazioni protratte nel tempo, senza che i paesi violatori abbiano dovuto sopportare alcuna conseguenza: gli enormi programmi offensivi dell’URSS dal 1972 al 1992, le significative produzioni dell’Iraq dal 1974 al 1991 e del Sud Africa dal 1980 al 1993 hanno messo in dubbio la stessa validità della Convenzione. Un’ulteriore effetto negativo della mancanza di forme istituzionali di verifica e controllo è che ciò dà adito a sospetti e diffidenza reciproci.
In reazione a questi limiti sono stati sviluppati strumenti esterni alla Convenzione, quali il potere assegnato al Segretario generale dell’ONU (novembre 1987) di investigare su denunce d’uso di questi tipi di armi e, almeno per le tossine, nella Convenzione per il bando delle armi chimiche del 1993, ma anche iniziative unilaterali da parte di gruppi di paesi esportatori. Il Gruppo Australia nel 1990 decise di estendere il controllo delle esportazioni di materiali e di licenze di tecnologie per la produzione di armi chimiche anche a quelle biologiche; attualmente vi sono 4 liste di controllo riguardanti le armi biologiche: attrezzature biologiche ambivalenti militari-civili, agenti biologici, patogeni vegetali e patogeni animali. Dal 1996 agenti e tecnologie biologiche potenzialmente d’interesse militare sono incluse anche nelle liste di controllo alle esportazioni dell’Accordo Wassenaar. Va osservato che queste limitazioni unilaterali agli scambi internazionali sono viste da molti paesi importatori in contrasto all’articolo X della BTWC, e danno luogo ad accesi dibattiti in ogni conferenza di revisione.
L’irrisolto problema dei controlli
La scoperta dei programmi militari russi, iracheni e sudafricani ha portato la Conferenza di revisione del 1994 a creare un gruppo di lavoro (Ad Hoc Group - AHG) con il compito di negoziare un protocollo legalmente vincolante per “rafforzare l’efficacia e migliorare l’adempimento della Convenzione”.
L’AHG ha continuato i suoi lavori per 5 anni, con posizioni contrastanti e incompatibili fra loro, spesso diametralmente opposte su definizioni, elenchi di agenti, portata ed estensione delle dichiarazioni, visite, indagini, controlli sulle esportazioni, misure per attuare l’articolo X e poteri degli organi decisionali, con proposte che di fatto svuotavano di significato gli articoli I e III, creando in pratica “santuari” inaccessibili al controllo e facilitazioni per la proliferazione delle armi. Di fronte alle divergenti posizioni, il 30 marzo 2001, dopo 23 sessioni di lavoro, il presidente dell’AHG, l’ambasciatore ungherese Tibor Tóth, tentò la procedura, rivelatesi utile in altri negoziati, di presentare un “testo del presidente” su una bozza di compromesso, che prevedeva anche la creazione di un’Organization for the Prohibition of Biological Weapons (OPBW) analoga all’OPCW esistente per le armi chimiche.
Il documento estremamente complesso (273 pagine), e in parte contradditorio, trovò nella 24 sessione la decisa opposizione da parte di molti paesi, che chiesero di riprendere i negoziati per raggiungere un consenso universale su tutte le questioni. In questa situazione, il 25 luglio 2001 il nuovo presidente americano George W. Bush respinse il testo di Tóth, dichiarò futile e impraticabile la ricerca di una forma efficace di controllo delle attività militari che non pregiudichi lo sviluppo di quelle civili e ritirò la delegazione USA dall’AHG, decretandone la sospensione dei lavori.
La decisione di Bush rispecchiava la sua globale diffidenza dei vincoli internazionali, ma i punti specifici della critica riflettono la complessità intrinseca del controllo degli armamenti biologici. Data l’ambivalenza della ricerca, l’esiguità della quantità di agenti biologici sufficienti per un’arma, producibili in laboratori di minime dimensioni, e la possibilità di convertire a scopo militare in pochi giorni impianti per la produzione di vaccini e prodotti farmaceutici in genere, controlli adeguati dovrebbero essere estremamente intrusivi e coprire un numero enorme, e in continuo veloce aumento, di laboratori, centri di ricerca, industrie in tutto il mondo, un problema di dimensione incomparabile con le attività di salvaguardia della IAEA per il trattato di non proliferazione o della OPCW per la convenzione sulle armi chimiche.
Anche se alcuni stati continuano a insistere sull’opportunità di riprendere i lavori dell’AHG sulla base del testo del 2001, causando anche il fallimento della Conferenza di revisione del 2016, un’OPBW appare troppo costosa e comunque inadeguata; nella sesta conferenza di riesame (2006) si è creata una piccola unità di sostegno all’applicazione della convenzione (Implementation Support Unit – ISU), che tuttora è composta da sole tre persone e con difficoltà ottiene i minimi finanziamenti necessari alla sua operatività.
Per rafforzare e garantire il rispetto della convenzione sono stati adottati provvedimenti volti a favorire la trasparenza, attraverso i quali costruire la fiducia reciproca (confidence–building measures CBM), basati sullo scambio volontario di dati relativi ai programmi e ai centri e laboratori di ricerca e di informazioni su eventuali epidemie eccezionali, sulla presentazione della legislazione e regolamentazione nazionali specifiche, su dichiarazioni riguardanti le attività pregresse, attuali e quelle programmate e sulla promozione di scambi e visite di ricercatori nei campi della microbiologia. La portata di questi misure rimane comunque limitata, visto il carattere volontario e non sistematico, e il loro insufficiente rispetto da parte della maggioranza degli stati.
Di fatto dal 2001 l’attenzione della comunità internazionale per le armi biologiche è andata scemando a fronte delle più urgenti problematiche degli armamenti nucleari (con i casi della Corea del Nord e dell’Iran, la crisi dei trattati e i nuovi programmi di ammodernamento) e chimici, con la violazione del tabù del loro impiego nel corso delle guerre in Siria e Iraq.
La molteplicità degli incontri svolti da allora nell’ambito della BTWC (Conferenze di revisione, incontri annuali degli stati parte e sessioni di esperti), anche se ha consentito la continuità dei rapporti internazionali sulle tematiche bio-militari, non ha portato a risultati significativi, ma ha registrato continue contrapposizioni sull’importanza relativa di argomenti come scienza e tecnologia, CBM, attuazione nazionale, controlli sulle esportazioni, cooperazione e assistenza e conformità alle norme previste. Ciò ha impedito qualsiasi progresso significativo nel concordare un’azione efficace negli stessi programmi di lavoro.
Possiamo sperare che la presente pandemia induca i governi mondiali, che dovrebbero preparasi alla nona conferenza di revisione dells BTWC, prevista per il 2021, a un deciso impegno per creare un efficace regime di prevenzione di ogni possibile sviluppo di armi biologiche? Il panorama attuale delle personalità politiche mondiali non appare particolarmente incoraggiante, per cui sono assolutamente necessari seri e propositivi lavori di ricerca da parte della comunità scientifica per nuove efficaci misure in grado di prevenire anche i pericoli insiti nelle tecnologie genetiche, ma soprattutto che l’opinione pubblica, sottoposta alla presente “livella” universale, riaccenda l’orrore e il totale rifiuto culturale per le armi biologiche e li imponga ai suoi governanti.