SOCIETÀ

Vivere in un ambiente sano: un diritto umano essenziale

L’inquinamento atmosferico sta causando una crisi sanitaria globale. Ogni minuto, un bambino muore per una malattia causata dall’inquinamento atmosferico. Ogni minuto, dieci adulti muoiono prematuramente a causa dell’aria sporca inalata durante la loro vita. Secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente, nella sola Unione Europea muoiono prematuramente, ogni anno, oltre 500.000 persone (di cui oltre 50.000 in Italia) a causa dell'esposizione eccessiva ad inquinanti atmosferici come le polveri sottili (in particolare il PM2,5), gli ossidi di azoto (in particolare l’NO2) e l’ozono troposferico (O3). In totale, si stimano nel mondo almeno cinque milioni di morti all’anno: una cifra superiore al totale annuale dei decessi causati da guerre, omicidi, incidenti stradali, incidenti aerei, malaria, tubercolosi, HIV/AIDS ed Ebola messi insieme.

Oltre il novanta per cento della popolazione mondiale vive in regioni in cui l’inquinamento atmosferico supera gli standard di sicurezza individuati dall’Organizzazione mondiale della sanità. Una qualità dell’aria particolarmente bassa è stata misurata all’interno delle abitazioni nelle regioni in cui ancora oggi la popolazione è costretta a ricorrere a combustibili solidi per cucinare e riscaldarsi. Così, proprio nella presunta sicurezza delle proprie case, sono soprattutto donne e bambini ad essere esposti all’inquinamento atmosferico, che in alcuni casi tocca livelli molto più alti di quelli riscontrati anche nelle città più devastate dallo smog.

Da tempo, ormai, la comunità scientifica accumula evidenze sulla correlazione tra l’inquinamento atmosferico e gli effetti negativi che questo ha sulla salute; è ormai evidente che tale problema, che ha costi sanitari enormi, può essere prevenuto.

Una delle più ovvie ed immediate ragioni che dovrebbero spingere società e governanti a mettere in pratica il più rapidamente possibile le più efficaci misure per la tutela della natura è strettamente egoistica: in mancanza di un ambiente sano, infatti, la salute umana non può essere assicurata. Dopo decenni di studi e di divulgazione su questo tema, che si sta rivelando un nodo dirimente per la governance globale nel XXI secolo, finalmente esso sta guadagnando una posizione di primo piano nelle agende politiche di tutto il mondo. Ne è prova l’ingresso di temi legati alla tutela della natura umana e delle generazioni future nel corpus legislativo di diversi Paesi: tra questi, a partire dal 9 febbraio 2022, possiamo annoverare anche l’Italia, che ha modificato la propria Costituzione riconoscendo in essa il principio della tutela di “ambiente, biodiversità e ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”.

Per decenni i governi hanno trattato l’inquinamento atmosferico, così come l’inquinamento dell’acqua e del suolo, i cambiamenti climatici e il declino della biodiversità, come questioni unicamente ‘ambientali’. Solo recentemente è stato riconosciuto il legame tra questi problemi e la salute pubblica. In ogni caso, entrambi questi approcci identificano ancora la questione soltanto come un obiettivo politico. Questa cornice, tuttavia, rischia di risultare inadeguata: gli obiettivi politici sono indeboliti da flessibilità, discrezionalità e deficit di responsabilità. Per affrontare la questione, dunque, considerare il diritto all’aria pulita come un ‘obiettivo politico’ non è sufficiente. Deve essere considerato, piuttosto, come un diritto umano essenziale, sullo stesso piano dei diritti alla vita, alla salute, a un ambiente sicuro, sano e sostenibile.

Servizio di Sofia Belardinelli, montaggio di Barbara Paknazar

Diritti umani essenziali

Il problema di fondo, oggi, è che l’attuale dimensione dei problemi ambientali – dall’inquinamento dell’aria, del suolo e delle acque ai cambiamenti climatici, dalla perdita dell’integrità biologica del pianeta all’acidificazione degli oceani, dal consumo di suolo al buco dell’ozono (mai definitivamente risolto) – vìola chiaramente i diritti alla vita e alla salute, i diritti del bambino e il diritto a vivere in un ambiente sicuro, pulito, sano e sostenibile. La prospettiva di inserire il diritto all’ambiente sano nel novero dei diritti umani porta la discussione su un nuovo piano, poiché in questo modo i governi si trovano di fronte a un obbligo chiaro, da rispettare legalmente: proteggere e soddisfare i diritti umani.Nel 2010, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò una risoluzione rivoluzionaria, riconoscendo per la prima volta l’accesso all’acqua pulita come diritto umano essenziale. In tutto il mondo, da allora, sono stati compiuti progressi reali nel fornire acqua pulita a decine di milioni di persone ogni anno. Sorprendentemente, però, le Nazioni Unite non hanno mai approvato alcuna risoluzione simile circa il diritto a respirare aria pulita o, più in generale, il diritto a vivere in un ambiente sano.

Quali conseguenze deriverebbero dal riconoscere che tutti, ovunque, hanno il diritto di respirare aria pulita, bere acqua potabile e sicura e vivere in un clima stabile e in una natura resiliente?

Lo stato di diritto ambientale è fondamentale per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Le leggi in materia ambientale sono aumentate notevolmente negli ultimi tre decenni, poiché vi è una sempre più diffusa comprensione dei legami vitali tra ambiente, crescita economica, salute pubblica, coesione sociale e sicurezza.

A partire dal 2017, 176 paesi si sono dotati di leggi quadro in materia ambientale; più di 90 paesi hanno sancito nelle loro costituzioni la tutela dell'ambiente o il diritto a un ambiente sano; e 164 paesi hanno creato organi di gabinetto deputati alla protezione ambientale. Questi strumenti hanno contribuito a rallentare, e in alcuni casi a invertire, il degrado dell’ambiente, e a ottenere quei benefici di salute pubblica, economici, sociali e in tema di diritti umani che derivano dalla protezione ambientale.

Il Rapporto globale delle Nazioni Unite “Environmental Rule of Law”, pubblicato nel 2019, ha rilevato che, nonostante il numero di leggi ambientali sia aumentato di 38 volte rispetto al 1972, l’applicazione soltanto parziale di queste leggi è una delle principali cause del mancato raggiungimento degli obiettivi di mitigazione dei cambiamenti climatici, di riduzione dell’inquinamento ambientale e della prevenzione della perdita di specie e habitat. Quindi, laddove le leggi ambientali non vengono messe in pratica, anche regole apparentemente rigorose sono destinate a fallire, e il diritto umano a un ambiente sano non sarà rispettato.

Vivere in un ambiente sano: un nuovo paradigma

Cinquant’anni fa, la possibilità che vivere in un ambiente sano venisse considerato un diritto umano era un’idea del tutto nuova, persino radicale. Oggi, invece, è un concetto ampiamente riconosciuto nel diritto internazionale e approvato da gran parte delle nazioni. È degno di nota che, attualmente, i diritti ambientali siano inclusi in più di novanta costituzioni nazionali. Tali disposizioni stanno avendo impatti notevoli: negli ultimi anni si sono susseguite leggi ambientali sempre più rigorose e sono stati emessi giudizi storici; inoltre, si è finalmente dato avvio a interventi di assoluta urgenza, come la pulizia dei ‘punti caldi’ dell’inquinamento e la fornitura di acqua potabile sicura.

I diritti e le responsabilità ambientali sono da sempre una pietra angolare dei sistemi legali dei popoli indigeni. Eppure, del diritto a un ambiente sano non si trova traccia in documenti pionieristici sui diritti umani come la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948), il Patto internazionale sui diritti civili e politici (1966) o il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (1966). Il motivo è che, all’epoca in cui questi accordi furono redatti, non vi era sufficiente consapevolezza dell’entità, del ritmo e delle conseguenze negative del degrado ambientale per giustificare l’inserimento al loro interno delle preoccupazioni ecologiche.

Il primo stimolo a riconoscere il diritto umano a un ambiente sano è contenuto nel libro di Rachel Carson “Silent Spring”, pubblicato nel 1962. Fu proprio Carson, durante il suo ultimo discorso pubblico, a esortare Kennedy, allora presidente degli Stati Uniti, a prendere atto di un problema allora molto trascurato: il diritto del cittadino ad essere protetto dall’intrusione, persino nella propria casa, di veleni applicati da altre persone.

Il primo riconoscimento formale in ambito internazionale del diritto a un ambiente sano arriva un decennio dopo con la Dichiarazione di Stoccolma, frutto del pionieristico eco-vertice globale del 1972. In questo documento si riconosce all’uomo il diritto fondamentale alla libertà, all’eguaglianza e a condizioni di vita adeguate, da realizzare in un ambiente di qualità che consenta una vita dignitosa; inoltre, per la prima volta si attribuisce all’uomo la solenne responsabilità di proteggere e migliorare l’ambiente per le generazioni presenti e future.

Nei quattro decenni che hanno seguito la Dichiarazione di Stoccolma, il riconoscimento del diritto a un ambiente sano si è diffuso rapidamente in tutto il mondo. A partire dal 2013, 182 dei 193 paesi membri delle Nazioni Unite hanno riconosciuto questo diritto mediante la loro Costituzione, la legislazione ambientale, le decisioni dei tribunali o la ratifica di un accordo internazionale. Sono pochi gli Stati che ancora oppongono resistenza: Stati Uniti, Canada, Giappone, Australia, Nuova Zelanda, Cina, Oman, Afghanistan, Kuwait, Libano e Corea del Nord. Anche tra questi Paesi ‘ritardatari’, tuttavia, già alcuni governi subnazionali riconoscono il diritto a un ambiente sano. Inoltre, gli accordi regionali sui diritti umani che riconoscono anche il diritto a un ambiente sano sono stati ratificati da più di 130 nazioni in Europa, Asia, Americhe, Medio Oriente.

Sebbene il diritto internazionale svolga un ruolo vitale nello stabilire norme e offrire un tribunale di ultima istanza per giudicare le violazioni dei diritti umani, la maggior parte delle azioni per proteggere e soddisfare tali diritti si svolge a livello nazionale. Sul piano nazionale, infatti, la Costituzione è la legge più alta, e tutte le altre leggi, i regolamenti e le politiche devono essere coerenti con essa. Una Costituzione protegge i diritti umani, stabilisce gli obblighi dello Stato e limita i poteri del governo. Inoltre, le Costituzioni riflettono i valori più profondamente radicati nella storia e nella cultura di una società.

Il Portogallo (1976) e la Spagna (1978) sono stati i primi paesi a includere il diritto a un ambiente sano nelle loro costituzioni. L’articolo 66 della Costituzione portoghese afferma: “Ogni individuo ha diritto a un ambiente sano ed ecologicamente equilibrato e ha il dovere di difenderlo”. Dalla metà degli anni Settanta, 95 paesi hanno riconosciuto il valore costituzionale di questo diritto; l’Italia si è aggiunta a questo novero nel 2022. Gli esperti di diritto costituzionale osservano che, negli ultimi cinquant’anni, il riconoscimento dei diritti ambientali è cresciuto più rapidamente di qualsiasi altro diritto umano.

Riconoscere i diritti ambientali?

Nonostante questi progressi, il dibattito sulla portata e la potenziale utilità del diritto a un ambiente sano è ancora in atto. I sostenitori enumerano, tra i potenziali benefici dei diritti ambientali, leggi e politiche ambientali più forti e una loro migliore attuazione e applicazione; un’accresciuta partecipazione e responsabilità dei cittadini ai processi decisionali; la riduzione delle ingiustizie ambientali; migliori performance ambientali.

Al contrario, i critici dei diritti ambientali costituzionali sostengono che essi siano troppo vaghi per essere utili; che siano ridondanti, poiché già esistono sia diritti umani che leggi ambientali; che possano rappresentare una minaccia per la democrazia, poiché spostano il potere dai legislatori eletti ai giudici; che siano non esecutivi, e probabilmente inefficaci.

Dunque, chi ha ragione? Davvero il diritto costituzionale a vivere in un ambiente sano è solo una ‘tigre di carta’ con poche conseguenze pratiche, oppure può rivelarsi un potente catalizzatore per accelerare i progressi verso un futuro sostenibile? Il modo migliore per rispondere a queste domande è esaminare le esperienze delle 95 nazioni in cui questo diritto gode di statuto costituzionale.

Leggi ambientali più severe

In 78 nazioni su 95, le leggi ambientali sono state rafforzate dopo che il diritto a un ambiente sano ha ottenuto lo status di diritto costituzionale. In virtù di questo passaggio, le leggi sono state modificate con un focus più specifico sui diritti ambientali, sull’accesso alle informazioni ambientali, sulla partecipazione al processo decisionale e sull’accesso alla giustizia.

Questi tratti della legislazione in materia ambientale sono stati riscontrati in tutte le nazioni esaminate nell’Europa orientale (19 su 19), in quasi tutte le nazioni dell’Europa occidentale (8/9), dell’America Latina e Caraibi (16/18), dell'Asia (12/14), e in una netta maggioranza di quelle in Africa (23/35). Tra il piccolo numero di nazioni in cui non è riconoscibile alcuna influenza costituzionale sulle leggi ambientali vi sono paesi in cui i cambiamenti costituzionali sono molto recenti (Giamaica-2011, Marocco-2011, Zambia-2012) e paesi devastati dalla guerra civile e da altre difficoltà sociali, crisi economiche o politiche (è il caso della Repubblica Democratica del Congo).

In alcune nazioni, il diritto costituzionale a un ambiente sano è diventato un principio unificante, che permea l'intero corpus di leggi e politiche ambientali. È questo, ad esempio, il caso dell’Argentina, dove la riforma della costituzione (1994) “ha innescato la necessità di una nuova generazione di legislazione ambientale”. Dopo il 1994, l’Argentina ha approvato una nuova legge ambientale globale che disciplina l’accesso alle informazioni ambientali e definisce degli standard minimi su diverse questioni ambientali, dai rifiuti industriali all’acqua pulita. La nuova Costituzione nazionale ha generato una serie di effetti a cascata: le costituzioni provinciali sono state modificate per incorporare il diritto a un ambiente sano, e le leggi ambientali provinciali sono state modificate per identificare tale diritto come principio guida. Processi simili si sono verificati anche in altri paesi, tra cui Portogallo, Costa Rica, Brasile, Colombia, Sud Africa e Filippine. Un’analoga trasformazione è in corso in Francia a seguito dell’emanazione, nel 2005, della Carta per l’ambiente.

Una strada ancora in salita

Troppo spesso, tuttavia, l’attuazione e l’applicazione di tali leggi e regolamenti è molto indietro rispetto a quanto richiesto per affrontare le sfide ambientali. A volte, gli strumenti legislativi sono privi di standard chiari, o dei necessari mandati. In altri casi, leggi generali non vengono adattate ai contesti locali, non risultando perciò adeguate per far fronte ai problemi esistenti. I ministeri deputati all’attuazione delle leggi ambientali sono spesso sotto-finanziati e politicamente deboli rispetto ai ministeri responsabili dello sviluppo delle risorse economiche o naturali. In breve, l’applicazione del diritto ambientale è ancora oggi una sfida per tutti i paesi.

Lo stato di diritto ambientale è indissolubilmente connesso ai diritti costituzionali e umani. Molti di questi dipendono direttamente dall’ambiente: senza un ambiente sano, aria pulita, acqua pulita e i beni che questi servizi ecosistemici forniscono, verrebbero a mancare, per molti, le più basilari fonti di sostentamento per la vita. Il diritto costituzionale e l’attenzione ai diritti umani offrono un quadro che consente di rafforzare lo stato di diritto ambientale: molti danni ambientali, infatti, possono essere affrontati proprio ponendo l’ambiente naturale sotto la protezione dei diritti costituzionali e umani. Inquadrare le questioni ambientali in un contesto costituzionale o di diritti umani può conferire una maggiore gravità legale e morale alle violazioni ambientali, nonché aprire ulteriori vie per far fronte a tali violazioni.

A ben guardare, i vantaggi dello stato di diritto ambientale si estendono ben oltre il settore strettamente ambientale. Sebbene gli effetti più diretti riguardino la protezione dell'ambiente, l’impegno in tale direzione rafforza anche lo stato di diritto in senso più ampio, promuove uno sviluppo economico e sociale sostenibile, protegge la salute pubblica, contribuisce alla pace e alla sicurezza evitando o disinnescando i conflitti, e protegge i diritti umani e costituzionali. In quanto tale, dunque, implementare questa possibilità giuridica è una priorità crescente per tutti i paesi.

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